58

I parcheggi lungo il giardino pubblico erano tutti occupati. Auto e moto erano in coda come in un ingorgo. Chi poteva cercava refrigerio e ombra al laghetto di Fahlenberg. La superficie dell’acqua luccicava come un enorme specchio in mezzo al parco.

Simon appoggiò la bicicletta a un albero. La legò in fretta e si diresse verso il chiosco. Stava morendo di sete, gli sembrava di aver attraversato un deserto e di aver trovato la salvezza in un’oasi.

Il vecchio chiosco di legno, dove i suoi nonni tanti anni prima gli compravano gelati, bibite e a volte anche patatine fritte, non esisteva più. Al suo posto c’era un camioncino bianco con un’insegna colorata: MR SOFTEE − GELATI E BIBITE FRESCHE.

La mamma avrebbe avuto da ridire anche stavolta, pensò Simon. Non sopportava tutti quegli anglicismi.

Il venditore rimase a bocca aperta quando Simon ordinò due bottiglie d’acqua minerale, posò gli spiccioli contati nella ciotola sul bancone, stappò una bottiglia e la bevve d’un fiato.

«Dovevi avere proprio sete» disse con un sorriso quando Simon gli restituì la bottiglia vuota.

Simon rispose con un cenno del capo. Aveva trangugiato così in fretta l’acqua frizzante che lo stomaco sembrava stesse per scoppiargli. Sorrise imbarazzato e poi fece un rutto tremendo. Due bambini in costume che erano in fila dietro di lui si unirono alla risata del gelataio.

Simon si vergognava, ma non era riuscito a trattenersi. Si strinse nelle spalle per scusarsi e si diresse a passi veloci verso il laghetto per sfuggire agli sguardi divertiti dei presenti.

«Alla salute!» gli gridò dietro il gelataio. «Come minimo era di intensità 10 sulla scala Richter.»

Poi la sua risata e quella dei bambini si persero nel brusio della conversazione.

Le rive del laghetto erano affollatissime. Asciugamani e materassini gonfiabili erano distesi ovunque, mentre l’aria era pervasa dall’odore di crema solare.

Simon fu costretto a percorrere quasi metà della sponda per trovare un posto libero, un po’ appartato su una collinetta da cui si godeva un’ottima vista. Proprio quello che gli serviva.

Si lasciò cadere sull’erba e stappò la seconda bottiglia. Mentre beveva, stavolta a piccoli sorsi, osservava il vivace brulicare dei bagnanti sotto di lui.

Tutto somigliava a quando veniva lì con i genitori e i nonni. C’erano soprattutto coppie giovani e famiglie. Di adolescenti se ne vedevano ben pochi.

Lentamente Simon cominciò a sentirsi meglio. Il senso di nausea e il mal di testa diminuirono. Finì anche la seconda bottiglia guardando i bambini nell’acqua. Giocavano spensierati, si lanciavano la palla, si spruzzavano e si tuffavano. Proprio come facevano lui e Mike tanto tempo prima.

Probabilmente all’epoca Mike non aveva più paura dell’acqua, pensò Simon. La paura di cui lui fino a poco tempo prima non sapeva nulla. Mike invece gli aveva raccontato che molti anni prima una ragazza era annegata nel laghetto. In pieno inverno. Il ghiaccio si era rotto e quando l’avevano tratta in salvo il suo corpo era congelato. All’epoca Mike si era divertito a mettergli paura. «È una cosa che ti segna per la vita, piccolo» aveva detto.

Adesso, però, Simon considerava l’episodio con altri occhi. Forse Mike all’epoca aveva solo cercato di scacciare le proprie paure. E il fratellino, che tra l’altro era diverso da tutti gli altri bambini della sua età, era la vittima perfetta. Quando ci si misura con i più deboli, ci si sente più forti. Simon lo aveva imparato anche grazie a Ronny.

In ogni caso il racconto di Mike era bastato per togliere a Simon la voglia di fare il bagno nel laghetto di Fahlenberg. Da quel momento era sempre rimasto sulla riva a leggere o a guardare gli altri bambini giocare nell’acqua.

Era sempre stato d’ostacolo a se stesso, come aveva detto Caro, e solo per colpa di una stupida storia di paura raccontata da suo fratello. D’altro canto non poteva nemmeno rimproverare Mike di niente, era stato il suo modo di aiutarlo a smettere di essere «troppo tenero per questo mondo».

Nonostante il ricordo delle paure infantili, Simon provò il desiderio improvviso di tornare al passato, a quando il suo mondo era ancora spensierato. Quando ancora niente lo preoccupava sul serio e quando la sua famiglia era ancora unita. Padre, madre e due fratelli.

Guardò malinconico i bambini. Un ragazzino si stava facendo spiegare dal padre come usare il telecomando di una barca a motore. Una bambina si stava lasciando spalmare la crema solare dalla madre. Un’altra era in piedi insieme al fratello davanti a un frigo portatile, l’aria trepidante, mentre il padre trafficava con qualcosa lì dentro. Tutti quei bambini non potevano ancora sapere cosa sarebbe stato loro tolto in futuro.

La morte è invadente e subdola, pensò Simon. Una volta entrata nella tua vita, non te ne liberi più.

All’improvviso notò un volto familiare sulla riva opposta. Richard Henning si stava facendo largo tra la folla. Teneva sottobraccio un ombrellone chiuso e una coperta da picnic, ed era alla ricerca di un posto libero.

La moglie lo seguiva tenendo in braccio la bambina e con una borsa frigo a fiori sulla spalla sinistra. A chiudere la fila c’era il figlio di Henning. Anche lui aveva un plaid sottobraccio. Probabilmente voleva stenderlo lontano dai genitori, come faceva sempre Mike da bambino.

Dopo una breve ricerca, gli Henning trovarono un posto e si sistemarono fra altre due famiglie.

Henning scrutò il cielo, quindi aprì l’ombrellone e lo conficcò nel terreno, mentre la moglie si metteva a parlare con la bambina.

Barbara Henning era una donna attraente. Alta, magra, con lunghe gambe e capelli biondi. Da lontano somigliava un po’ a Melina, con la differenza che aveva i capelli più corti e naturalmente era più vecchia. Doveva essere intorno ai quarant’anni.

«Eh, sì, non è forse un perfetto quadretto familiare?»

Simon si girò di scatto, sorpreso. Caro gli fece un cenno di saluto e si sedette sull’erba accanto a lui.

«Papà, mamma e due teneri figlioletti» disse in tono sarcastico, indicando gli Henning con il cono gelato. «Sembrano una pubblicità. Manca solo il cameraman.»

«Che ci fai tu qui? Credevo che non ti piacesse il sole, e ancor meno la folla.»

«Potrei dire lo stesso di te» ribatté lei leccando il gelato. «Ti ho già detto che da queste parti non c’è molto da fare durante le vacanze. E non avevo voglia di tornare all’hotel da sola. Non dopo la nostra esperienza. E poi qui fanno il gelato migliore di tutta la città. E costa poco. Vuoi assaggiare?»

Gli porse il cono.

«No, grazie. Ho appena bevuto dell’acqua e non vorrei che mi venisse mal di stomaco.»

«Un’altra delle perle di saggezza di tua madre?»

«No, brutte esperienze personali» rispose lui tornando a guardare Henning che si stava dirigendo verso il camioncino dei gelati tenendo per mano il figlio. «A proposito dell’hotel. Sapevi che una volta apparteneva al padre di Henning?»

Caro, che aveva addentato un bel morso al cono, scosse la testa. Aveva l’espressione stupita.

«L’ho letto per caso su un articolo» disse Simon. «Henning mi ha raccontato che i suoi genitori sono morti a poco tempo di distanza l’uno dall’altro. Poi l’hotel è stato venduto al Comune. Ora lo hanno comprato altri e verrà demolito.»

Caro annuì in silenzio e guardò il cono mordicchiato che teneva in mano, come se di colpo le fosse passato l’appetito. Posò gli occhi su Simon e lui notò di nuovo quella strana espressione.

«C’è qualcosa di cui dobbiamo parlare» annunciò seria. «Ma non qui.»

«Di che si tratta?»

«Te lo dirò quando saremo da soli.»

Il cellulare di Simon suonò. Lo estrasse dalla tasca dei calzoni, sorpreso, e lesse il nome di Tilia sullo schermo. Rispose con un brutto presentimento.

«Simon, dove sei?» gli chiese la zia. Dalla voce si capiva che stava per piangere. Prima che Simon potesse rispondere, lei proseguì: «Potresti tornare subito a casa, per favore?»

Simon capì subito che doveva essere successo qualcosa. Non avrebbe saputo descriverlo a parole, ma intuiva che si trattava di qualcosa di brutto.

«È accaduto qualcosa a Mike?» domandò accorgendosi che gli tremava la voce.

«Per favore, puoi venire subito?»

Simon le promise di raggiungerla all’istante e si alzò di scatto.

Caro lo guardò spaventata. «Che c’è?»

«Mi spiace, devo andare. È Mike. Parliamo un’altra volta, okay?»

«Ma certo» rispose Caro.

Simon tornò il più in fretta possibile alla bicicletta. Sperava di non arrivare troppo tardi. Qualunque cosa fosse accaduta.

Incubo
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