14
Tilia non doveva essersi accorta delle grida notturne di Simon. Quanto meno non disse niente in proposito quando lui entrò in cucina il mattino dopo.
Era alla finestra, guardava il giardino inondato di sole e sorseggiava una tazza di caffè.
La piccola radio sopra il lavandino trasmetteva il notiziario. Ancora nessuna traccia della ragazza scomparsa. Nessuno sapeva cosa fosse accaduto a Leonie.
«Cosa vuoi per colazione?» gli chiese. Abbassò il volume e aprì il frigorifero. «Vediamo... C’è della marmellata, miele, un po’ di salame e prosciutto... Oppure preferisci un uovo?»
Simon scrollò il capo. «Hai anche dei cornflakes?»
«Mi spiace, no.»
«Peccato.»
«Andrebbero bene dei fiocchi d’avena?»
«Non avresti del cacao da mettere nel latte?»
«Purtroppo solo latte.»
Simon annuì. «Va bene.»
Prese dal frigorifero un cartoccio di succo d’arancia e se ne versò un bicchiere. Poi si mise a sedere fissando l’aranciata.
Tutti quei cambiamenti... come avrebbe fatto ad affrontarli? Michael aveva detto bene: doveva davvero fare uno sforzo enorme su se stesso. La differenza era che non nutriva la stessa fiducia di Mike. In un modo o nell’altro ce l’avrebbe fatta, come no! Lui invece aveva l’impressione che fosse una battaglia persa. Perché era un maledetto fuori di testa che aveva paura di tutto. Era stupido illudersi. Lui era così. Non c’era niente da fare. Gli mancavano le routine quotidiane e gli oggetti abituali, che per lui rappresentavano un rifugio e gli davano sicurezza. In clinica se l’era cavata, perché era stata una sistemazione temporanea. Ma ora...
La sua colazione consisteva di solito in una ciotola piena di cornflakes spolverata di cacao, su cui poi versava il latte. Latte intero e cacao zuccherato lo avrebbero aiutato a mettere su qualche chilo, diceva sua madre. Da allora si atteneva scrupolosamente a quella regola, anche per quanto riguardava le marche dei prodotti. Voleva fare tutto nel modo giusto, come sempre. Le infermiere in clinica non ne erano state entusiaste. Quella colazione piena di zuccheri non era sana e un giorno sarebbe ingrassato comunque, gli avevano assicurato.
Quanto gli mancava la mamma!
Come si sentiva piccolo e indifeso!
Questo lo faceva arrabbiare tantissimo.
«Magari potresti farmi un elenco delle cose che ti piacciono» propose Tilia, poi si mise seduta a tavola con lui. «C’è un’altra cosa di cui vorrei parlarti.»
Il tono con cui pronunciò quelle parole non piacque per niente a Simon. «Di che si tratta?» domandò.
Tilia gli prese una mano. Aveva l’espressione seria. «Devi cercare di capire che anche per me è tutto molto difficile» cominciò, poi si morse il labbro. Per un istante parve sul punto di scoppiare a piangere. «Sono la tua madrina e ho promesso di essere sempre al tuo fianco, e ci sarò. Ma... ecco... non ho mai avuto figli, come sai. E ho un po’ paura delle responsabilità, ho paura di sbagliare qualcosa. E con te non vorrei sbagliare niente, capisci?»
«Non preoccuparti.» Simon le strinse la mano, come suo padre faceva sempre con lui quando voleva fargli capire bene un concetto. «Non stai sbagliando niente. Me la caverò.»
«Sì, questo lo so» gli rispose lei con un sorriso. «Hai un carattere forte. Ma penso che questo non sia l’ambiente giusto per te. Devi vedere ragazzi della tua età, avere una giornata ben scandita. È quello che ti serve e io non posso offrirtelo. Per ora sono ancora in ferie, ma appena ricomincerò a lavorare... insomma, a volte faccio molto tardi e ho una vita piuttosto sregolata.»
Simon le lasciò la mano. «Che cosa vorresti dire?»
Tilia sorrise di nuovo, ma stavolta il suo era un sorriso pieno di incertezza. «Tra poche settimane ricomincia la scuola» disse, «e pensavo... ecco, credo che un collegio sia la soluzione migliore.»
Simon sussultò, come se fosse stato colpito da un fulmine. «Un collegio?»
«Sì. Il liceo di Fahlenberg dispone anche di un internato. Ne parlano tutti molto bene. Anche tuo padre e io abbiamo fatto la scuola lì.»
«Però non ci avete vissuto.»
«No, naturalmente stavamo dai nostri genitori...» Tilia lasciò la frase a metà ed evitò di guardare Simon negli occhi. Evidentemente le costava troppa fatica. «Cerca di capire, per favore. Voglio solo il meglio per te. Fahlenberg è a pochi chilometri da qui.»
«Se per te sono d’impiccio, potrei anche abitare da Mike» propose Simon. Faceva fatica a nascondere il tremito nella voce. «Sono sicuro che lui sarebbe d’accordo.»
Tilia sospirò e si decise a guardarlo. «Simon, ne ho già discusso con Michael.»
Simon trasalì di nuovo. «Michael sa che devo andare in collegio?»
Lei annuì. «Cerca di capire, tuo fratello ha la sua vita. E anche tu devi costruirtene una tua. Naturalmente ti sosterremo, per quanto possibile, ma tu devi darcene la possibilità.»
Simon la fissava stordito. Un’altra decisione che Tilia e Michael avevano preso a sua insaputa. Perché era meglio non scombussolare uno svitato come lui. Questa volta non si trattava solo delle cose che erano appartenute ai suoi genitori. Questa volta riguardava il suo futuro. Non poteva crederci!
«Ho fissato un appuntamento per oggi pomeriggio» proseguì Tilia. «Vorrei che venissi con me.»
«Oggi pomeriggio? Così presto?»
Simon si reggeva con entrambe le mani al piano del tavolo. Gli sembrava che il pavimento sotto i suoi piedi oscillasse. Gli sembrava che di colpo il mondo girasse troppo in fretta. L’incidente, la clinica, ora Tilia e Mike e poi il collegio... Era un fiume in piena che lo trascinava con sé. E non aveva niente a cui aggrapparsi.
Michael era già d’accordo su tutto.
«Ti prego» disse Tilia, prendendogli di nuovo la mano. «So che sta succedendo tutto molto in fretta, ma non era possibile fissare un altro appuntamento a causa delle vacanze. Almeno prova a dare un’occhiata, vuoi?»
«Quindi posso ancora cambiare idea?»
Simon conosceva già la risposta. Ma la speranza è l’ultima a morire. Sua madre lo diceva spesso.
«Ti piacerà di sicuro» gli garantì Tilia in tono quasi implorante. «Vedrai, è la cosa migliore per te.»
All’improvviso Simon ebbe la sensazione che una mano invisibile gli stringesse la gola. Nel contempo fu assalito dal violento impulso di grattarsi le cicatrici. Con tanta forza da farle sanguinare. Percepire se stesso, per essere sicuro che non fosse solo un incubo.
Non poteva rimanere un secondo di più in quella cucina.
«Devo uscire a prendere una boccata d’aria» disse precipitosamente. Si alzò e corse fuori.
«Simon!» lo chiamò la zia.
Lui si voltò a guardarla. Vide che aveva le lacrime agli occhi.
«L’appuntamento è per le tre» gli disse. «Promettimi che tornerai in tempo.»
Dopo un attimo di esitazione lui assentì. Aveva altra scelta?
Corse fuori, mentre una voce risuonava nella sua testa. Era la stessa voce malvagia che lo perseguitava anche in sogno.
Oh, poverino. Nessuno ti vuole. Nessuno ti sopporta. Nemmeno il tuo fantastico fratello. Vogliono sbarazzarsi di te. Perché saresti dovuto morire anche tu!
Simon avrebbe voluto gridare e dovette fare uno sforzo immane per trattenersi.