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Sebbene Richard Henning non gli stesse particolarmente simpatico, e suo fratello Mike sembrasse odiarlo, su un punto Simon doveva dargli ragione: fare movimento era utile per sgombrare la mente.

Mike si era chiuso nel suo appartamento ed era meglio lasciarlo tranquillo per un po’.

Tilia aveva terminato di fare la doccia, quindi si era piazzata davanti alla televisione con un bicchiere di tè ghiacciato e alcuni tramezzini. Così si sarebbe calmata, aveva detto. Era stata una mattinata difficile.

Seduta in poltrona, fissava lo schermo con espressione rapita, addentando di tanto in tanto un panino al salame e lasciando che l’aria di un ventilatore da tavolo la rinfrescasse.

Simon capiva entrambi, ciascuno affrontava lo stress a modo suo. Per quanto lo riguardava, non avrebbe resistito chiuso in casa. Doveva fare qualcosa. Qualcosa per aiutare Melina e Mike. Soprattutto Mike, ingiustamente sospettato.

Prese la bicicletta appena riparata e ripercorse il tragitto della notte precedente. Forse gli sarebbe tornato in mente qualcosa di utile.

Il sole splendeva rovente e la pista ciclabile asfaltata rifletteva il calore. Simon sudava copiosamente. Avanzava con fatica e, quando arrivò alla salita, fu costretto a scendere e spingere la bici a mano.

Raggiunto finalmente il punto più alto, si fermò ansimando e aspettò di riprendere fiato. Boccheggiava e il sudore gli bruciava gli occhi.

Avrebbe dovuto affrontare l’impresa verso sera, quando la temperatura si sarebbe abbassata. Quel giorno il tasso di ozono era così alto che la radio aveva consigliato di astenersi dall’attività fisica all’aperto. Tuttavia, starsene in casa con le mani in mano gli sarebbe risultato più insopportabile di quel tour de force.

Quando il battito tornò normale, montò in sella e si lasciò scivolare per la discesa, stavolta con la massima attenzione, i piedi ben saldi sui pedali e i freni leggermente tirati.

Aveva promesso a Caro che non avrebbe più corso rischi.

Cercò di orientarsi. Fin dove era arrivato la notte prima? Di giorno la pista ciclabile appariva completamente diversa e ora era molto più lento.

Gli sembrò tuttavia di riconoscere una delle betulle piantate sulla striscia d’erba tra la pista e la strada. Aveva il tronco biforcuto e con un po’ di fantasia somigliava a una donna vestita di bianco con lunghi capelli ricci che tendeva le braccia verso il cielo.

Simon si fermò e scese dalla bicicletta. Quello doveva essere il punto in cui era caduto.

Si avvicinò al fosso sulla destra della pista e ancora una volta si rese conto dell’enorme fortuna che aveva avuto.

Il fosso era molto largo e ricoperto su entrambi i lati di morbida erba. Doveva essere profondo all’incirca mezzo metro. Sul fondo uno spesso strato di fango stava seccando al sole, creando un bizzarro disegno di linee spezzate sulla superficie. Senza il fango e l’erba, la caduta avrebbe avuto conseguenze assai più gravi.

Istintivamente Simon si portò una mano alla spalla che aveva sbattuto e pensò a suo padre.

Sei proprio nato con la camicia.

Rivolse lo sguardo verso il punto in cui aveva visto Melina e richiamò alla mente la scena. Melina era in piedi accanto all’auto scura e parlava con la persona al volante. Lo scooter era appoggiato sulla destra, accanto al fosso.

Portava il casco? Simon non ne era sicuro. Probabilmente sì. Ma forse se l’era tolto per parlare con l’automobilista.

Bene, cosa aveva visto esattamente? La sua chioma bionda o un casco?

I capelli. No, il casco... Oppure erano i capelli? Pioveva e di sicuro le si erano appiccicati alla testa. Ma forse non si era tolta il casco proprio perché pioveva... Cazzo!

Avrebbe dato qualunque cosa per ricordare meglio. L’immagine nella sua testa era vaga e quasi irriconoscibile. Era come se cercasse di ricordare la scena di un sogno. La caduta doveva averlo stordito più di quanto credesse. Il dolore alla testa e la pioggia dovevano averlo confuso, e in più era buio pesto.

Il caldo torrido non gli permetteva di concentrarsi. Avvertiva fitte pulsanti alle tempie e la pista ciclabile davanti a lui tremolava come un miraggio.

Si asciugò il sudore dal viso. Aveva la pelle secca e salata. Sulla strada accanto a lui il traffico del pomeriggio scorreva lento rilasciando scie di smog nell’aria.

La macchina, pensò. Com’era quella maledetta auto?

Si concentrò più che poteva sull’immagine nella propria testa. Vide l’auto davanti a sé. Una sagoma confusa sotto la pioggia, rischiarata a tratti dai lampi.

Era nera, forse blu scuro. Grossa. Di certo non era una vecchia Mercedes.

Almeno di questo era sicuro.

Nel suo ricordo l’auto aveva la freccia accesa. Ma Simon non avrebbe potuto giurare che fosse proprio così.

Che cosa ricordava ancora?

I fanalini di coda. Al buio somigliavano a occhi malvagi. Sottili e sinistri.

Non bastava. Doveva ricordare di più. Molto di più!

Invece non c’era niente.

Osservò i veicoli che passavano sulla strada e si accorse che c’erano diverse auto scure. Ma, se un’auto uguale a quella del colpevole gli fosse passata davanti in quel momento, non l’avrebbe riconosciuta con sicurezza.

La conversazione. Cosa aveva detto Melina all’automobilista?

Simon cercò di concentrarsi ancora di più. Aveva la sensazione che la testa stesse per scoppiargli. Ma non gli venne in mente niente. Non ricordava la voce di Melina. Era troppo lontano e aveva sentito solo che stava parlando, ma non cosa stesse dicendo.

Melina conosceva l’automobilista?

Era possibile. Nel cuore della notte non si sale sulla macchina di uno sconosciuto. Certo, era un’emergenza. Pioveva forte e Melina non poteva proseguire con il motorino. Ma sicuramente avrebbe accettato un passaggio soltanto da qualcuno di cui si fidava.

Chi poteva essere?

Ricordava di aver visto accendersi la luce dentro l’abitacolo per un istante, quando Melina aveva aperto la portiera. Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare se avesse visto il volto del guidatore oppure no. O almeno il suo profilo.

C’era da impazzire.

Mi sarei dovuto avvicinare, pensò con rabbia. Il solito maledetto vigliacco. Sarei dovuto andare da lei, e allora non sarebbe successo niente! Sarei...

All’improvviso la pista ciclabile sembrò alzarsi, come un’onda che si muoveva verso di lui. Come se l’asfalto fosse un tappeto e qualcuno l’avesse sollevato.

Fu assalito da una fitta lancinante alle tempie e da una violenta nausea.

«Ti prenderai un’insolazione» sentì dire dalla voce di sua madre. Già, aveva ragione. Era sul punto di svenire per il caldo.

Non aveva più bevuto niente dalla mattina, e di colpo si accorse che la lingua gli si era trasformata in un grumo spesso e ruvido. Doveva bere qualcosa e soprattutto doveva ripararsi dal sole.

Il più in fretta possibile!

Si appoggiò goffamente al manubrio della bicicletta per mantenere l’equilibrio. Non sarebbe riuscito a rifare tutta la strada fino a Kössingen in quelle condizioni. Fahlenberg era molto più vicina.

Devi metterti all’ombra, ragazzo!

Era stato suo padre a pronunciare quelle parole con voce preoccupata.

Alla fine gli venne in mente un posto dove poteva andare. Si mise in cammino con le ultime forze che gli restavano.

Incubo
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