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Quando si fa una promessa, bisogna mantenerla. Altrimenti è meglio non promettere niente.
Era una semplice regola che Simon aveva imparato dal nonno e che cercava sempre di rispettare, anche se quel giorno gli costava particolarmente fatica.
Era tornato stravolto e madido di sudore dal suo giro in bicicletta, ma in tempo per fare una doccia e cambiarsi. Una volta pronto, raggiunse Tilia e andarono insieme all’appuntamento.
Durante il tragitto in autobus rimase in silenzio. Simon non sapeva di cosa parlare. In sostanza Tilia aveva già detto tutto quello che c’era da dire.
Anche Tilia tenne la bocca chiusa, ma la sua espressione era più che eloquente.
Da bambino Simon non sapeva interpretare la mimica delle altre persone. Non coglieva la differenza tra una faccia allegra, triste o arrabbiata. Per lui erano tutte uguali. Anche la propria.
Il dottore gli aveva spiegato che era un aspetto tipico delle persone colpite da disturbi autistici. Tuttavia ci si poteva esercitare per ridurre questo deficit.
Simon si era impegnato, duramente e con convinzione. Si rendeva conto che, se non voleva rimanere escluso, doveva in qualche modo stabilire un contatto con gli altri. Il primo passo per farlo era comprendere le persone, e non solo quello che dicevano. Non di rado, infatti, la gente diceva una cosa e ne intendeva un’altra. Doveva comprendere anche il linguaggio dei gesti.
Simon aveva studiato diversi testi sul linguaggio del corpo e la comunicazione non verbale. Aveva guardato dei video sull’argomento e osservato con attenzione gli individui intorno a lui.
A poco a poco aveva compreso ciò che i lineamenti del volto, la postura e i gesti possono rivelare su una persona. E si era reso conto che quelle manifestazioni potevano essere molto diverse da ciò che una persona diceva.
Ora si rendeva conto che Tilia era profondamente combattuta. Da una parte era convinta che il collegio fosse la scelta migliore per lui, ma dall’altra provava anche dei rimorsi. Doveva aver capito che Simon si sentiva scacciato, ma riteneva che fosse una decisione necessaria.
Scesi dall’autobus, camminarono per poche centinaia di metri fino a raggiungere il liceo Serling. La scuola era un edificio molto grande, un’enorme T di mattoni rossi in mezzo a un vasto parco.
Avvicinandosi all’ingresso principale, Simon vide un campo da calcio sul retro del liceo. Accanto c’erano anche un campo da tennis e uno spiazzo sabbioso per il beach volley. Siccome era estate, il complesso era deserto. Si sentiva solo il ronzio degli irrigatori automatici.
Man mano che si avvicinava all’ingresso, Simon sentiva il cuore battergli più forte. Tutto per lui aveva un aspetto spettrale.
Gli tornò in mente un film che aveva visto con Mike. Parlava di un antico castello dove sparivano delle persone. Nessuno sapeva che cosa succedesse loro, e il mistero non veniva svelato nemmeno alla fine del film. C’era solo un video sfocato girato da un gruppo di studenti che volevano indagare sull’enigma. Ma anche loro alla fine sparivano e lo spettatore doveva immaginare che cosa potesse essere accaduto.
Simon lo aveva trovato particolarmente inquietante. Per diverso tempo aveva continuato a fare sogni su quel film. Incubi spaventosi, nei quali la casa divorava e digeriva gli intrusi.
Improvvisamente, in quella scuola che gli ricordava il film, ebbe l’impressione di udire di nuovo quella voce cupa e malvagia.
Ciao, Simon. Entra. Ti divorerò e ti digerirò. Scappare non ti servirà. Nessuno sfugge al proprio destino. E tu dovresti essere morto da tempo. MORTO!
«Non fare quella faccia, avanti» gli disse Tilia, strappandolo da quei tetri pensieri. «Vedrai che ti piacerà, ne sono convinta. Guardami, sono sopravvissuta anch’io.»
Gli sorrise con l’intenzione di rinfrancarlo, ma Simon colse chiaramente i dubbi di Tilia. Neppure lei era sicura che a Simon sarebbe piaciuto vivere lì.
Quando Tilia entrò, Simon dovette forzarsi per seguirla. Accompagnati dall’eco dei loro passi sul pavimento, superarono l’atrio e si diressero in segreteria. A Simon sembrava che l’eco ripetesse ossessivamente un’unica parola.
Morto.
Morto.
MORTO!