49

Simon si svegliò in tarda mattinata. La luce del sole lo colpiva in faccia e il cielo azzurro e limpido fuori dalla finestra preannunciava un’altra calda giornata estiva.

Si strofinò gli occhi assonnato. Per qualche secondo il giro in bicicletta sotto il temporale, la caduta e il ritorno a piedi sembrarono solo uno dei suoi incubi. Ma, quando si alzò, i dolori e il grosso livido bluastro sulla spalla lo convinsero del contrario.

Il braccio destro e le costole gli facevano male, proprio come quando Ronny lo picchiava. Le gambe erano indolenzite, come dopo un intenso sforzo fisico.

Ma la cosa peggiore era il bernoccolo. Gli pulsava ancora, causandogli un forte mal di testa. Sua madre doveva sentirsi così quando aveva una delle sue terribili emicranie.

«Non fare tante storie, vedrai che passa» gli avrebbe detto Mike, e sua madre avrebbe aggiunto: «Ti saresti potuto rompere il collo, stupido che non sei altro!»

Avrebbero avuto ragione entrambi. Ciò che aveva fatto era stato davvero molto stupido.

Indossò una maglia extralarge e degli ampi calzoncini che non gli premevano sui graffi, e scese di sotto.

Anche quel mattino fu accolto dal silenzio. In corridoio si sentiva solo il lieve ronzio del frigorifero.

Stavolta la zia non gli aveva lasciato messaggi. Nessun torno presto, nessun ti porterò qualcosa di buono da mangiare, e nemmeno uno smiley.

Meglio così. Gli sforzi della zia di essere premurosa avevano un che di offensivo, anche se di certo non era nelle sue intenzioni.

Accanto alla macchina del caffè c’era la sua tazza con il pupazzo Michelin e il logo del concessionario. Era ancora mezza piena. Tilia doveva essere uscita di fretta.

Simon non aveva voglia di fare colazione e si limitò a bere un bicchiere di latte freddo. Poi decise di approfittare di essere solo per fare il bucato.

I vestiti che indossava la notte prima erano incrostati di fango secco. Li avrebbe lavati lui, per non dover spiegare alla zia il motivo di quel disastro. Sua madre gli aveva insegnato a usare la lavatrice. E anche che il bucato molto sporco andava pretrattato nel lavandino.

Un’ora più tardi stese i panni puliti in cortile, soddisfatto.

Poi decise di andare in città a cercare una ruota anteriore nuova per la mountain bike. Mike aveva ragione: in quella landa desolata un’auto o un motorino erano davvero necessari.

Inoltre Simon voleva essere pronto, nel caso in cui Caro gli avesse proposto un’altra gita. Ci contava.

Di sicuro ieri notte non avrei avuto bisogno di un giro in bicicletta sotto il temporale, se Caro fosse stata con me, gli venne da pensare. Probabilmente non avrebbe nemmeno pensato di comportarsi in modo tanto folle. Sarebbe bastata la sua presenza a tranquillizzarlo. Perché Caro lo capiva, lo accettava per quello che era. Perché anche lei era diversa.

Avvertì di nuovo quel senso di benessere interiore. Una sensazione che aveva provato per la prima volta quando aveva conosciuto Caro.

Gli venne in mente una frase che aveva letto da qualche parte. L’amore è la luce che scaccia le tenebre.

«Mi sa che sono proprio cotto» mormorò alla propria immagine riflessa nello specchio del guardaroba e sorrise.

Incubo
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