25

Simon si sedette sulla panca in giardino accanto alla porta d’ingresso. Sfogliava annoiato il giornale con le solite notizie: crisi economica, il dramma dei migranti, guerre e naturalmente le dichiarazioni del politico di turno che prometteva crescita e giustizia sociale, ammesso di sapere che cosa volesse dire.

Le pagine locali erano dedicate all’inaugurazione di una mostra al municipio di Fahlenberg, alla demolizione di un vecchio hotel che avrebbe fatto posto a un nuovo progetto edilizio e alle condizioni meteo, che sarebbero rimaste stabili ancora per un po’.

Sulla scomparsa di Leonie non c’erano novità. L’articolo dedicato alla ragazza era piuttosto succinto. Le ricerche erano state allargate. I compagni di scuola avevano distribuito manifesti e aperto una campagna su Facebook. I genitori chiedevano il sostegno della popolazione per il ritrovamento della figlia.

Simon pensò al sogno, alla foto di Leonie che gli aveva parlato dal manifesto. Alla sua somiglianza con Jessica e all’espressione atterrita nei suoi occhi.

E se Leonie avesse subito lo stesso destino di Jessica? Qualcuno aveva aggredito anche lei, sottoponendola all’indicibile?

Fai attenzione ai lupi, aveva gridato la ragazza nel sogno. Non fidarti di loro per nessun motivo!

Un improvviso scricchiolio sulla ghiaia lo fece voltare di scatto. Con un’abile frenata laterale Caro fermò la bici accanto a lui.

Quel giorno indossava calzoncini neri, da cui spuntavano le gambe sottili come bastoncini bianchi, e una felpa blu troppo pesante per quel caldo. Teneva il cappuccio calato sul viso per proteggersi dal sole. Solo le scarpe con i teschi erano le stesse del loro ultimo incontro.

«Che si dice di nuovo nel mondo?» chiese, lanciando un’occhiata al giornale.

«Tutto orribile come al solito» rispose Simon. «Secondo me nessuno si accorgerebbe se la stessa notizia venisse pubblicata due volte di seguito.»

Caro si strinse nelle spalle. «I giornali mi deprimono. Sempre brutte notizie. Non si può cambiare il mondo, ma si possono modificare i fatti. E, se modifichi i fatti, cambiano le opinioni. E, se le opinioni cambiano, il mondo si trasforma. O qualcosa del genere.»

«Wow!» esclamò Simon ammirato. «Roba tua?»

«No, dei Depeche Mode.»

«Li ascoltava sempre mia madre. Ti piace davvero la musica vecchia?»

«I testi più belli non invecchiano mai.»

Simon sorrise. «Mi fa piacere vederti. Stavo rischiando di morire di noia.»

Caro scese dalla bici e si rifugiò all’ombra sotto la tettoia dell’ingresso.

«Allora, genio della matematica, come te la cavi con questo Pritogola?»

«Intendi Pitagora?»

«È quello che ho detto.»

«Non è roba difficile.»

«Allora spiegamela. Perché non entriamo? Qua fuori c’è troppo sole.»

Simon sorrise soddisfatto. Ora sì che si sarebbe goduto la giornata.

Nella mezz’ora successiva Simon fece del proprio meglio per avvicinare Caro al meraviglioso mondo della geometria euclidea. Le illustrò lo spazio a due e a tre dimensioni, le parlò di cateti e angoli retti. Le spiegò cos’era un’ipotenusa e che dalle ultime scoperte non si era più sicuri che Pitagora fosse stato il primo a dimostrare il teorema che porta il suo nome.

Era completamente a proprio agio. Mentre parlava, gli venivano in mente sempre nuove cose per abbellire e rendere più interessante l’argomento. Amava l’ordine della matematica.

Sì, la matematica per lui era sinonimo di sicurezza. Una volta chiarite, le cose rimanevano com’erano. Naturalmente si evolvevano, ma i fondamenti non mutavano. Avrebbe voluto che anche la vita fosse altrettanto chiara e stabile.

Caro era sdraiata sul letto e lo ascoltava paziente, ma era chiaro che non condivideva il suo entusiasmo. Sembrava avesse la mente altrove. Fece vagare lo sguardo per la stanzetta, quindi tornò a posarlo su Simon che, seduto dietro l’antiquata scrivania, si lasciava trascinare dall’entusiasmo.

«...di conseguenza la somma dei quadrati di a e b corrisponde al quadrato costruito sull’ipotenusa» concluse Simon, prima di guardarla trepidante. «Non è difficile, vero?»

«Per te, forse.» Con un sospiro Caro si mise a sedere sul bordo del letto. «Una cosa però l’ho capita.»

«Ah, sì? E quale?»

«Non mi sorprende che non ti senta bene qui. La tua vita è nel caos e ora sei prigioniero. In un ripostiglio ammuffito. Solo e sperduto.»

Era vero. Per la seconda volta nel corso della mattinata si trovava a dover affrontare la propria situazione, ma stavolta era diverso. L’opinione di Caro era importante per lui e le sue parole lo colpirono come schiaffi che lo riportarono alla realtà.

Non sapeva che cosa risponderle.

«Non prendertela, ma io non riuscirei a passare nemmeno una notte qua dentro.» Caro si alzò, andò alla finestra e guardò fuori. «Di giorno, poi... Questo posto è come il collegio. Un mortorio.»

Simon si rannicchiò sulla sedia. «Non mi resta nient’altro» mormorò. «Questo maledetto incidente mi ha portato via tutto. I miei genitori, la mia casa, tutto.»

Caro si voltò a guardarlo. «Sai che ti dico? Chi se ne frega di questo Pritogola! Qua dentro si muore di caldo. Usciamo.»

Simon era deluso di non essere riuscito a contagiarla con il proprio entusiasmo. Gli sarebbe piaciuto parlare ancora un po’ di matematica. Si era divertito e gli era servito per dimenticare la propria situazione.

Viceversa, doveva ammettere che la proposta di Caro era molto più ragionevole e che continuare a nascondersi dalla vita non sarebbe servito a niente.

«Va bene. Sai già dove potremmo andare?»

Caro lo guardò intensamente negli occhi con un sorriso misterioso. «Dipende da te. Sei un tipo pauroso?»

Simon non poteva sapere a cosa alludesse Caro, ma non voleva fare la figura del vigliacco. «No, non credo.»

«Bene.» Lei gli fece l’occhiolino. «Allora ti farò vedere qualcosa di veramente fico.»

Incubo
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