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A volte qualcosa ci spezza. Non sentiamo alcun rumore, neppure ce ne accorgiamo. Eppure fa malissimo. È un dolore così violento che ci sembra non passerà mai. Nemmeno tra mille anni.

Era quello che provava Simon, in piedi nella cantina di Tilia a frugare a casaccio negli scatoloni del trasloco dove erano custoditi i resti della sua vita precedente. Giocattoli con cui aveva giocato di nascosto, a volte fino a tarda notte. Libri che aveva letto con passione e sulle cui copertine posava gli occhi la sera prima di addormentarsi. Cd di racconti e musica, che aveva ascoltato decine di volte.

In quegli scatoloni c’erano tantissime cose che gli ricordavano un’epoca felice, spensierata. Una casa che lo aveva protetto dal grande e vasto mondo, caotico e spesso minaccioso. Un luogo al quale apparteneva e dove si era sentito al sicuro.

Ora quelle tracce erano abbandonate in un angolo di una cantina fresca e umida che sapeva di frutta troppo matura.

Trovò un libro di fiabe illustrato che la mamma gli leggeva quando era molto piccolo. Troppo piccolo per leggere da solo.

Sfogliò le pagine guardando le figure. Ognuna era legata a ricordi bellissimi.

I musicanti di Brema, per esempio. Una fiaba che aveva amato molto, tanto che i genitori alla fine lo avevano portato in gita in quella città, per ammirare la scultura con l’asino, il cane, il gatto e il gallo collocata davanti al municipio.

Oppure Il gatto con gli stivali, che li aveva fatti ridere di gusto entrambi, quando la mamma imitava la voce dell’astuto protagonista.

E naturalmente Madama Holle, dove Simon si era sempre chiesto quanto dovesse essere freddo il letto se i cuscini erano pieni di neve.

Chiuse il libro e se lo strinse al petto. Poi si mise seduto sul pavimento impolverato davanti agli scatoloni a fissare la parete di fronte, dove una lunga mensola conservava l’eredità dei nonni. Una vecchia lampada a stelo, diversi vasi di fiori, un televisore antiquato, numerose scatole di addobbi natalizi, libri e dischi, e tantissimi attrezzi del nonno.

Tutto era coperto da uno strato di polvere e questo gli fece pensare all’hotel abbandonato nel bosco. Anche questo era un luogo in cui i ricordi del passato sbiadivano per svanire lentamente del tutto.

Aveva chiesto a Caro quale fosse la sua paura più grande.

La solitudine, come per te, gli aveva risposto. E il fatto di essere dimenticata.

«Anch’io sarò dimenticato» bisbigliò nel silenzio tombale della cantina. «Perché nella loro vita non c’è posto per me.»

E poi la stanza si offuscò mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime calde che gli sgorgarono sulle guance.

Finalmente, pensò, finalmente riesco a piangere!

Pianse a lungo. Lasciò che tutto uscisse da lui, gli faceva bene.

Intanto stringeva al petto il libro di fiabe.

Incubo
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