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Arrivò in vista della casa della zia dopo quella che gli parve un’eternità. Era sfinito e fradicio di pioggia. Il fango gli sgocciolava di dosso come se fosse appena uscito da una tomba.
Portò la bicicletta nella rimessa e nascose la ruota anteriore piegata con un bidone della spazzatura. Si vergognava troppo del suo comportamento. Se Mike o Tilia avessero scoperto cos’era accaduto quella notte, come minimo lo avrebbero rimandato in ospedale.
Prima di entrare, si tolse jeans e maglietta per non lasciare impronte di fango in casa. Poi, in mutande, salì di soppiatto le scale fino in camera sua.
Si lasciò cadere sul letto, distrutto, e si addormentò all’istante.
Dormì un sonno profondo, senza sogni. Solo una volta gli parve di sentire qualcuno che lo chiamava per nome.
«Simon? Siiimon.»
Era una voce di donna, lontana. Avrebbe voluto aprire gli occhi, ma aveva le palpebre troppo pesanti.
Piombò di nuovo nell’oscurità.