9

La casa di Tilia sorgeva all’estremità orientale del villaggio di Kössingen, non lontano dalle rive del Fahle. La vecchia fattoria con il tetto sporgente era una semplice costruzione a L con una dépendance sul retro, dove Michael si era trasferito due anni prima.

In origine la fattoria apparteneva ai nonni di Simon. Il padre di Simon e Tilia erano cresciuti qui. In un certo senso è come tornare alle mie origini, pensò Simon.

Nonostante questo, si sentiva un estraneo. La camera che Tilia aveva preparato per lui era piccola e arredata con mobili vecchi. L’armadio con le ante dipinte doveva avere almeno un secolo e la scrivania sistemata davanti alla finestra che dava sul cortile era quella dove suo padre aveva studiato da ragazzo.

Tilia aveva lavato e spolverato, ma l’aroma di limone del detersivo non bastava a coprire l’odore della camera. Sapeva di lavanda e canfora, un profumo che Simon legava ai ricordi della nonna.

Fu assalito all’improvviso dalla nostalgia per la sua camera nell’appartamento di Stoccarda, mentre la tristezza per i genitori cresceva. Il ricordo della vita di un tempo gli provocava una sofferenza quasi fisica.

Per l’ennesima volta capì che cosa intendeva dire la gente quando parlava di un dolore «che straziava il cuore».

«Ti piace?» chiese Tilia appoggiando la borsa di Simon sul letto.

«È carina» disse Simon. Gli venne in mente ciò che Mike diceva sempre: «Carino» è il cugino di «fa schifo». Per non sembrare ingrato, si affrettò ad aggiungere: «Ti ringrazio davvero tanto di poter stare qui da te».

La zia annuì seria. «Figurati, è naturale. Spero che ti troverai bene.»

Simon si guardò intorno ancora una volta. Era un estraneo in un ambiente estraneo.

«Che ne è stato del nostro appartamento?» domandò.

«Ecco...» Tilia gli lanciò una breve occhiata, quindi distolse lo sguardo. «Noi, cioè Michael e io, abbiamo pensato che fosse meglio venderlo. Abbiamo versato il ricavato su un conto destinato a voi due. Nel caso tu voglia andare all’università o abbia bisogno di qualcos’altro.»

«Che cosa?» Simon non credeva alle proprie orecchie. «Avete venduto la casa? Senza chiedermi niente?»

Tilia distolse nuovamente lo sguardo. «Veramente... Ecco, pensavamo che fosse meglio non darti un simile pensiero. Non stavi bene. Temevamo che ti avrebbe sconvolto.»

Ma che bel modo per dire che non volevate prendere sul serio l’opinione di un membro del rispettabile club dei fuori di testa, pensò, mentre un impeto di collera lo faceva tremare da capo a piedi.

«E le nostre cose? I mobili, i libri di papà...»

«Michael li ha donati a un’associazione di beneficenza di cui faceva parte tuo padre. Sono convinta che Lars sarebbe stato d’accordo.»

«Avete dato via proprio tutto? Tutto quello che...»

Simon ammutolì. Strinse i pugni e fece un respiro profondo. Doveva calmarsi. Se si fosse lasciato andare adesso, avrebbe solo creato altri problemi, e ne aveva già abbastanza.

Ciò nonostante provava un dolore terribile all’idea di non essere stato consultato in merito a quella decisione e che ora non fosse rimasto più niente della sua vera casa. Tutto ciò con cui aveva costruito un legame nel corso del tempo era sparito, e a volte le cose potevano essere più affidabili e soprattutto più comprensibili delle persone. Un cd rimaneva sempre un cd e un libro rimaneva sempre un libro, non potevano cambiare. Le persone invece sì, e questo lo metteva spesso in difficoltà. Proprio per tale motivo, per lui era importante essere circondato da oggetti familiari, oggetti da cui non si sarebbe mai potuto separare, non da tutti almeno.

Su una cosa doveva dare ragione alla zia: il padre avrebbe voluto che le sue cose venissero donate in beneficenza. Da anni era impegnato in un’associazione che aiutava i malati di cancro. C’era qualcosa che legava Simon a tale scelta, ma non riusciva a ricordare cosa. Il ricordo era lì, a portata di mano, ma arrivarci continuava a sfuggirgli.

Un altro di quegli odiosi vuoti di memoria. Gli sembrava di avere il cervello bucherellato come un groviera.

Ma perché?

Era solo una conseguenza dello choc?

Si sorprese a grattarsi di nuovo le cicatrici e infilò le mani nelle tasche dei calzoni.

«Le tue cose naturalmente le abbiamo tenute» si affrettò a dire Tilia. «Michael ha messo via tutto e gli scatoloni sono qui in cantina. La camera degli ospiti era troppo piccola per farci stare tutto.»

Proprio in quel momento risuonò dal pianterreno la voce di Mike. «Ciao, dove vi siete cacciati?»

Si udirono dei passi veloci su per le scale e un attimo dopo Michael comparve sulla porta. Veniva direttamente dal lavoro e indossava ancora la tuta da meccanico.

Dall’ultima volta che si erano visti a Capodanno, non era affatto cambiato. L’unica differenza era la faccia abbronzata, i capelli scuri tagliati corti e un’aria più curata, anche se era evidente che tra lui e il rasoio era guerra aperta.

Vedendo Simon, il suo viso si illuminò in un sorriso. «Ciao, piccolo.»

Il cuore del ragazzo fece una capriola per la gioia. «Mike!»

Si abbracciarono di slancio. Simon fu scosso da un brivido. Solo in questo momento si rendeva conto di quanto gli fosse mancato il fratello. Era tutto ciò che gli restava della sua vita precedente.

«Mike» bisbigliò. «Accidenti, Mike!»

«È bello rivederti, piccolo. Sai, ho temuto che fossi arrabbiato con me.»

«Arrabbiato? E perché?»

«Perché non sono mai venuto a trovarti in ospedale.»

«Ma va’» rispose Simon. «Giusto un po’ deluso, ma non arrabbiato. Sapevo che non ti piacciono gli ospedali. Però almeno avresti potuto mandarmi qualche messaggio.»

Michael si staccò dal fratello e rimase a osservarlo per un po’. «Hai ragione, avrei dovuto. Ma non sapevo cosa... come... insomma, non so spiegartelo.» Scrollò le spalle sconfortato.

«Ti capisco» disse Simon. Se non altro il fratello era sincero e non cercava scuse. «L’importante è che non pensi che io sia matto.»

Mike sorrise. «Anche se lo sei sempre stato?»

«Esattamente come te.» Simon sorrise a sua volta, poi tornò serio. «Mike, devi promettermi che d’ora in avanti rimarremo sempre insieme.»

«Per te ci sarò sempre, piccolo. Lo giuro! Non dimenticarlo mai.»

C’era qualcosa negli occhi di Michael che Simon non riusciva a interpretare. Ma adesso non aveva importanza. Erano di nuovo insieme, contava solo questo.

Con Mike accanto a sé, i brutti sogni sarebbero spariti. Simon lo sperava sopra ogni altra cosa.

Incubo
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