52

«Non ci posso credere» disse Caro quando Simon le raccontò dell’incontro con Henning. Era sconvolta e pallidissima. «Maledetto psicopatico! Spero che il diavolo se lo porti via.»

Uscirono dalla confusione del centro commerciale e furono investiti dall’ondata di calore del parcheggio inondato di sole.

«Devo sedermi un attimo» disse Simon, guardandosi intorno alla ricerca di una panchina.

Aveva le gambe molli. Gli sembrava di essere appena uscito da un brutto sogno ma la realtà, purtroppo, si era trasformata in un incubo.

Raggiunsero uno dei tavoli di plastica della rosticceria. L’afa estiva era immobile sotto l’ombrellone e c’era puzza di grasso bruciato, ma sedersi gli fece bene.

«Va già meglio» disse. «Prima non ti ho detto tutta la verità. Stanotte non è stato solo l’incubo a ridurmi così.»

«Cos’è successo?»

«Ho preso la bicicletta e sono uscito... e ho visto Melina salire su un’auto.»

Caro lo guardò incredula. «Tu eri lì?»

«Non proprio, ma abbastanza vicino» rispose Simon mentre un’ombra si proiettava su di lui. Un uomo grosso quanto un armadio era in piedi davanti a loro con le mani sui fianchi. Portava un grembiule bianco impiastricciato di ketchup e grasso e la faccia tonda come una luna piena era sormontata da un berretto bianco con la scritta: HAI FAME: CHIEDI A WILLY.

«Allora? Cosa prendi?» chiese grattandosi l’addome sporgente.

«Vorremmo solo stare seduti un pochino» rispose Simon.

Willy scosse la testa. «Niente da fare, giovanotto, questa non è una panchina pubblica. Se vuoi sederti qui, devi ordinare qualcosa.»

«Ma non ti ricordi di me?» intervenne Caro. «Ho appena preso una Coca e un würstel con patatine fritte da te, te lo sei già dimenticato? E poi i tavoli sono tutti liberi. Quindi non fare tante storie!»

L’uomo rimase del tutto indifferente di fronte alla protesta della ragazza. Sembrava una statua e fissava Simon grattandosi la pancia.

«D’accordo» cedette Simon. «Prendo una limonata.»

«E da mangiare?»

«Prendo una limonata» ripeté Simon. «Ho ordinato qualcosa e posso rimanere seduto qui.»

Willy schioccò la lingua contrariato, poi tornò al chiosco borbottando qualcosa come «moccioso pidocchioso».

«Che stronzo» commentò Caro, parlando sottovoce in modo che Willy non la sentisse.

«Non prendertela» disse Simon, posando sul tavolo i soldi contati. «Se non altro non ha insistito che tu prendessi ancora qualcosa.»

Aspettarono che Willy tornasse con la limonata e poi li lasciasse soli. Solo allora Simon raccontò la sua avventura notturna.

Caro lo ascoltò attentamente, mentre lui cercava di spiegarle che cosa lo avesse spinto a prendere la bicicletta di notte nel bel mezzo di un temporale.

«Ehi, non c’è bisogno che ti giustifichi» lo interruppe lei. «Non so quale stupidaggine avrei fatto io al posto tuo. Tuo fratello si comporta esattamente come i miei genitori. Questo ritornello del ‘sei abbastanza grande per cavartela da solo’ fa maledettamente male e loro non se ne accorgono nemmeno. Io di sicuro avrei sfasciato qualcosa per la rabbia.»

«Avrei dovuto farlo anch’io.» Simon sospirò, fissando la bottiglia di limonata. «Adesso infatti mi sento in colpa per non essermi avvicinato alla macchina. Avrei potuto farmi notare. Forse Melina non sarebbe salita.»

«Chi ti dice che le cose sarebbero andate diversamente?» obiettò Caro. «Magari il tizio si sarebbe allontanato e l’avrebbe aspettata da un’altra parte. Vai avanti a raccontare. Che cos’è successo dopo? Hai riconosciuto l’auto?»

«No, era troppo buio, e diluviava.» Simon le raccontò il ritorno sotto la pioggia, la stanchezza e i dolori e di come poi avesse dormito come un sasso.

«Se vuoi sapere la mia opinione» disse Caro quando Simon ebbe terminato il racconto, «non hai assolutamente niente da rimproverarti. Chi poteva immaginare che sarebbe salita proprio sulla macchina di quel pazzo? Avrebbe potuto essere chiunque, magari qualcuno che conosceva. Inoltre non sei nemmeno sicuro che fosse proprio Melina.»

Simon bevve un sorso di limonata. Era fredda e dolce e gli fece bene. La offrì a Caro.

«Ne vuoi un po’?»

Lei scosse la testa.

«Forse dovrei andare alla polizia» disse Simon. «Anche se non ho visto molto, sono comunque un testimone.»

Caro si chinò verso di lui e si guardò intorno con aria circospetta.

«Non credo sia una buona idea» disse sottovoce. «Come pensi di giustificare la tua presenza di notte sulla pista ciclabile? Per di più sotto un temporale. Non crederebbero a una parola di quello che dici. E, anche se fosse, potrebbero sospettare di te. In fondo avevi un’ottima ragione per avercela con Melina.»

«Ma c’era la macchina...»

«Che hai visto solo tu» lo interruppe lei. «E che non sei in grado di descrivere, per non parlare della targa. Come pensi che qualcuno potrebbe credere a una storia del genere?»

Per di più raccontata da un membro del rispettabile club dei fuori di testa, pensò Simon. Probabilmente Caro stava pensando la stessa cosa, ma fu abbastanza sensibile da non dirlo a voce alta.

«Forse non ci crederei nemmeno io» disse lui abbattuto.

«Appunto. Se fossi in te, aspetterei di vedere che cosa scoprono. Tanto con la tua testimonianza non potresti aiutarli. Dopotutto non è detto che tu abbia visto qualcosa.»

Simon bevve un sorso di limonata e si voltò verso Willy. L’uomo stava servendo una porzione maxi di patatine fritte a due ragazzini e guardava lui e Caro con espressione truce, come a dire: «Decidetevi a sparire una buona volta».

Simon tirò fuori il cellulare dalla tasca e compose il numero di Mike. Dopo tre squilli sentì la voce del fratello.

«Ciao, questa è la segreteria di Mike. Sai che cosa devi fare. Quindi fallo, magari ti richiamo.»

Era quello il Michael che conosceva. Ironico e insolente. Chissà come stava suo fratello e dove si trovava in quel momento. Di sicuro era con Melina.

«Sarà meglio che torni a casa» disse alzandosi. «Michael ha bisogno di me.»

«Hai ragione.»

Caro lo seguì in silenzio fino alla fermata dell’autobus. Simon si accorse che non lo aveva perso di vista nemmeno per un attimo. Sembrava volesse dirgli qualcosa.

«Che c’è?» le chiese quando giunsero sotto la pensilina. «Perché continui a fissarmi così?»

Lei continuò a guardarlo assorta, poi scrollò le spalle. «No, niente.»

«Niente? Non ti credo. Avanti, dimmi a cosa stavi pensando.»

Lei distolse gli occhi e si guardò le scarpe con il motivo dei teschi.

«Be’, sei stato molto fortunato. Ti saresti potuto fare male con quella caduta. Mi stavo domandando se avrei provato qualcosa...»

Lasciò la frase in sospeso e con la punta della scarpa spinse giù dal marciapiede una cicca di sigaretta. Era chiaro che parlare le costava fatica.

«E penso che ci avrei sofferto molto» disse alla fine. «Promettimi che in futuro sarai più prudente, okay?»

«Lo farò» rispose Simon incrociando le dita davanti al petto. «Parola d’onore...»

«Guarda che dico sul serio!» lo interruppe lei con impeto e, quando alzò gli occhi per guardarlo, lui intuì la sua paura. «Devi essere prudente e fidarti delle persone giuste, e devi stare attento a chi racconti quello che è accaduto stanotte. Sono sicura che il tizio è di queste parti. Se venisse a sapere cos’hai visto, saresti in pericolo!»

Incubo
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