20
Intristito, Simon si mise a sedere sui gradini dell’ingresso. Alzò il capo verso il sole e guardò il cielo socchiudendo gli occhi.
In alto sopra di lui uno stormo di colombi volava in tondo. Il fruscio regolare delle ali creava una lieve melodia.
In altre circostanze sarebbe stata una perfetta giornata estiva. Il cielo limpido, il fogliame che frusciava nella brezza leggera, gli uccelli che cinguettavano, api e calabroni che ronzavano nel mare di fiori sul prato.
Ma quello era il parco del collegio Serling. Era il luogo dove avrebbe vissuto, perché non aveva più una casa.
Il capolinea temporaneo della mia esistenza, pensò.
«Ehi, guarda un po’ chi c’è.»
Simon si girò nella direzione da cui proveniva la voce. Riconobbe la ragazza del cimitero. Veniva dagli impianti sportivi. Stava bevendo da una lattina di Coca-Cola, nera come tutto il suo aspetto. Solo la pelle scintillava diafana.
«Ancora tu» disse lui. Voleva dare un’impressione di indifferenza, ma non riuscì a nascondere del tutto la gioia nella voce. «Da chi stai scappando stavolta?»
Lei piegò la testa di lato e alzò un sopracciglio. «Scappare? Io?»
«Stamattina era Frankenstein» ribatté Simon. «Oggi chi ti sta inseguendo? Dracula?»
Lei si strinse nelle spalle. «Non mi sorprenderei se in questa catapecchia vivessero davvero dei vampiri. Ma, a giudicare dal tuo nuovo completo da detenuto, vedo che hai intenzione di scoprirlo di persona.»
Con un cenno del capo indicò i regali di benvenuto di Henning che Simon aveva posato accanto a sé.
Lui sospirò. «‘Volerlo’, mica tanto, piuttosto ‘doverlo’ scoprire. Secondo mia zia è la soluzione migliore per me. E mio fratello maggiore ha già la sua vita.»
«Benvenuto nel club degli scaricati» disse la ragazza. Poi indicò verso gli alberi nel parco. «Ti va se ci mettiamo all’ombra? Non ho voglia di farmi venire il cancro alla pelle restando qui sotto il sole.»
Il club degli scaricati, pensò Simon. Somiglia al rispettabile club dei fuori di testa. Appartengo già a due associazioni esclusive.
«Va bene» rispose alzandosi. La seguì, lasciando sulle scale la giacca e la polo ancora incartate. Che fosse qualcun altro a prendersi la divisa da detenuto.
Giunti sotto gli alberi, la ragazza gli porse la lattina. «Ne vuoi un sorso?»
«No, grazie. Fa venire la tachicardia.»
Lei rise. «Chi te l’ha detto?»
«Mia madre.»
«Credi sempre a tutto quello che ti dicono gli adulti?»
«Non a tutto, ma i miei genitori di solito avevano ragione. A proposito, mi chiamo Simon. E tu?»
«Caro.»
«Come mai non sei a casa durante le vacanze?»
«Perché non ho più una casa.»
«Anche i tuoi genitori sono morti?»
«Più o meno.» Caro alzò lo sguardo verso il fogliame, così fitto da nascondere completamente il cielo. «Non sono loro a essere morti, bensì io.»
«In che senso?»
Lei bevve un sorso di Coca. «Be’, mi trattano come se non esistessi più. Mia madre ci ha lasciati quando avevo quattro anni. È andata a vivere in una comune di artisti, prima a Berlino, poi negli Stati Uniti. Per il mio settimo compleanno mi ha spedito un biglietto da San Francisco dipinto da lei. Roba astratta. Da allora non ho più avuto sue notizie.»
«E tuo padre?»
Caro schioccò la lingua e diede un calcio a una pietra sul sentiero davanti a lei. «È uno di quegli individui per cui è stata inventata la definizione ‘vivere al di fuori della realtà’. Quando non scrive un libro, viaggia per presentarne un altro. Non si è mai interessato veramente a me. I personaggi dei suoi romanzi sono sempre stati più importanti per lui. Mi fanno ridere quelli che dicono che è una figata essere la figlia di uno scrittore.»
«Ne parli al passato. Non vi sentite più?»
Caro alzò gli occhi al cielo. «Ti dico solo una cosa, Sherlock Holmes: da quando sono qui, non è mai venuto a trovarmi.»
Finì di bere la Coca, quindi sistemò la lattina sul coperchio di un bidone della spazzatura.
È quello che fanno nelle grandi città, in modo che chi raccoglie i vuoti a rendere li trovi più facilmente, pensò Simon, ma evitò di chiedere a Caro di dove fosse. Non voleva darle l’impressione di sentirsi sotto interrogatorio al loro primo incontro.
«Per questo per me le vacanze sono una vera tragedia» proseguì lei. «Non certo qualcosa di cui rallegrarsi. Te ne accorgerai anche tu quanto sia mostruosamente noioso vivere qui. Soprattutto durante le vacanze di Natale, quando è tutto chiuso. Al massimo puoi andare al cinema, sempre che tu abbia i soldi.»
«Magari ogni tanto possiamo vederci» propose Simon. «Mia zia abita a Kössingen, non è tanto lontano.»
Lei lo scrutò, come se volesse assicurarsi di potersi fidare di lui.
Simon riconobbe quell’espressione. Era uguale alla sua. Di sicuro nella vita di Caro c’era stato qualcuno simile a Ronny, solo con un altro nome. Forse erano state addirittura delle ragazze. Le ragazze potevano essere crudeli almeno quanto i maschi.
«Come te la cavi in matematica?» gli domandò.
«Bene.»
«Davvero?»
«Direi molto bene. È la mia materia preferita.»
«Fantastico. Allora puoi darmi ripetizioni. Io non ci capisco niente. Sono convinta che chi ha inventato la geometria mi odiasse.»
«Ti aiuto volentieri. La geometria non è così difficile.»
Simon prese il cellulare dalla tasca dei calzoni, aprì la pagina dei contatti e tenne lo schermo in modo che lei non potesse leggere. Caro non doveva vedere che finora c’erano solo quattro nomi: Mike, Tilia e i genitori. «Dammi il tuo numero. Poi ti mando un messaggio con il mio, così possiamo sentirci.»
«Niente da fare» disse lei agitando le mani. «Non ho il cellulare.»
Lui la guardò sorpreso. «Non hai il cellulare? Veramente?»
«No, non ce l’ho.»
«E perché?»
Caro allargò le braccia in un ampio gesto. «Credi che voglia essere controllata in ogni momento? Ai servizi segreti e alle multinazionali non deve fregare un tubo di quello che faccio e con chi mi vedo.»
Simon sogghignò. «Te l’ha mai detto nessuno che sei paranoica?»
«Certo che sì. Tutti i giorni.» Lei ricambiò il sorriso. «Hai paura di me adesso?»
«No.»
«Bene. Allora facciamo che mi dai il tuo indirizzo e io passo da te.»
«An der Fahle 19.»
«Capito» disse Caro. «E guai a te se hai detto una bugia vantandoti della tua bravura in matematica! Ho bisogno di qualcuno che me la spieghi, altrimenti l’anno prossimo mi bocciano.»
In quel momento Simon sentì Tilia che lo chiamava. Era all’ingresso, aveva raccolto la polo e la giacca della scuola e stava agitando un braccio verso di lui.
«Tua zia?» chiese Caro.
«Sì. Devo andare.»
«Allora ci vediamo.» La ragazza indicò il cellulare di Simon. «Se fossi in te, rifletterei se tenere quel coso. Adesso Google, l’Agenzia per la sicurezza nazionale e chissà chi altro sanno che hai avuto contatti con me. Giusto per dire.»
Simon scrollò il capo. «Credimi, nemmeno a loro interessa dove e con chi sto.»
«Forse ha i suoi vantaggi non contare niente per nessuno» disse Caro. «Io comunque un cellulare non lo voglio. Non lo prenderò nemmeno per te.»
Lo guardò brevemente negli occhi, poi si allontanò. Simon la seguì con lo sguardo, poi rimise a posto il telefono. Quando la vide scomparire dietro l’edificio, tornò dalla zia.
Se non altro la giornata aveva preso una piega un po’ migliore.