83.
Sascha dovette sostenermi mentre ci avvicinavamo all’edificio. Il vento freddo ci strappava i vestiti e ci portava il rimbombo dei bassi della musica del club. Davanti all’ingresso c’era qualche persona che fumava, ma nessuno si accorse di noi. Era circa l’una e mezzo ed erano quasi tutti occupati a chiacchierare o a guardare il cellulare. Forse erano anche troppo ubriachi per far caso a due persone avvinghiate che attraversavano incespicando il parcheggio verso il mobilificio, vestiti come due straccioni. Proprio come dovevano aver fatto Vanessa e Zoe.
Probabilmente non si accorgerebbero nemmeno se passassero due giraffe con i lampeggianti blu sulla testa.
Dall’auto fino all’edificio saranno stati cinquanta o sessanta metri, ma quando arrivammo all’ingresso mi sembrava di aver corso la maratona. Essere senza forze in quel momento mi dava proprio sui nervi e feci di tutto per riprendermi.
Sascha mi guardò preoccupato. «Ce la fai?»
«Sì» gli risposi brusca. «Prosegui!»
Come previsto le grandi porte a vetri anteriori erano chiuse a chiave, perciò girammo sul retro per cercare un altro ingresso. La parte posteriore del complesso era ancora recintata, ma fu facile spostare i pannelli che erano solo infilati gli uni negli altri. Per Sascha fu un gioco da ragazzi sollevare la rete di alluminio, perciò doveva esserci riuscita anche Vanessa. Dopotutto quella sera era in condizioni migliori rispetto a me.
Inoltre non bisognava dimenticare che voleva portare a termine a tutti i costi il suo ultimo grande progetto. E quando la forza di volontà non mancava, si poteva fare di tutto, come stavo constatando io stessa.
Proseguimmo fino alla porta metallica indicata come uscita di sicurezza. Sotto c’era scritto LASCIARE LIBERO GIORNO E NOTTE! Ma anch’essa era chiusa a chiave.
Ci restava un’ultima possibilità: una serranda al piano seminterrato in fondo a una discesa ancora sterrata. La saracinesca era abbastanza grande da far passare un camion. Cercai sulle pareti adiacenti, ma non trovai nessun interruttore per azionarla, probabilmente funzionava solo dall’interno o con un telecomando, come quella di un garage. E anche la porta accanto era chiusa.
«Merda, non è possibile!»
Mi appoggiai contro la parete e cercai di combattere un altro mancamento.
«Non credo che Vanessa sia stata qui» disse Sascha, dando voce ai miei stessi timori. «Non esistono ingressi segreti all’edificio, e inoltre ci sono anche quelle.»
Indicò in alto sul muro e allora vidi anch’io le telecamere di sorveglianza. Nonostante fosse buio, era impossibile non notare le sagome sporgenti sulla facciata. Di sicuro servivano a dissuadere i potenziali intrusi. Se Vanessa aveva perlustrato la zona in anticipo, cosa di cui ero sicura, doveva averle viste anche lei. E anche se era impossibile sapere se fossero già in funzione, Vanessa non avrebbe certo corso un simile rischio. A parte questo, non sarebbe comunque riuscita a entrare nell’edificio.
«Maledizione!» Ero prossima alle lacrime per la disperazione e la stanchezza. Se non fossi stata così concentrata a reggermi sulle gambe, avrei preso a calci qualcosa per la rabbia. Dentro di me si agitava una collera come quella che avevo sfogato pochi giorni prima nel parcheggio del bosco.
«Non è possibile!» gridai. «Deve essere qui, da qualche parte, Sascha! L’ho visto!»
Nei suoi occhi tornò l’ombra del dubbio. «Che cosa credi di aver visto precisamente?»
«Te l’ho già detto!» Mi resi conto di aver alzato la voce. Feci un profondo respiro e mi calmai. Non era colpa di Sascha se ancora una volta eravamo finiti in un vicolo cieco.
«Vanessa mi ha mostrato queste immagini» dissi in tono più pacato. «Non so spiegarti come abbia fatto, ma le immagini erano nella mia testa. E ci sono ancora. Sono...»
Mi bloccai. Mentre parlavo erano affiorate di nuovo alla mia mente e adesso ne vedevo due in particolare. Due che in precedenza mi erano sfuggite nella frenesia del momento.
«Che cosa c’è?» chiese Sascha avvicinandosi. Probabilmente temeva che fossi sul punto di svenire.
«Una sfera dorata!» esclamai.
«Cosa?» Mi guardò come se fossi impazzita.
«C’era una sfera dorata» ripetei in preda all’agitazione. «Non l’ho vista chiaramente, perché è successo tutto in un baleno, ma deve essere piuttosto grande e deve essere da qualche parte per terra.»
«Una sfera dorata» mormorò Sascha, come se non sapesse bene quale reazione avere. Di certo pensava che fossi impazzita.
«Tu conosci la zona» dissi. «C’è forse una ditta qui che ha una sfera del genere nel logo?»
Sascha ci pensò su un attimo. Intanto si massaggiava le braccia e si dondolava da un piede all’altro. Le scarpe da ginnastica bagnate producevano una specie di schiocco. Doveva avere un gran freddo, tuttavia non mi chiese di andarcene e di questo gli fui molto riconoscente.
«No, mi spiace» rispose infine. «Ovviamente ormai conosco quasi tutti gli edifici, ma non mi viene in mente nessuna sfera dorata o roba simile.»
Una nuova ondata di disperazione minacciò di sopraffarmi, ma non cedetti. C’era anche la seconda immagine. L’ultima.
«E una S rovesciata ti dice qualcosa?» chiesi disegnando il simbolo con un dito nell’aria. «È grande, rossa e piuttosto larga.»
Sascha alzò le sopracciglia. «Una S?»
«Sì, ma al contrario. Come un punto di domanda rosso senza punto e arzigogolato. Maledizione, se riuscissi a osservarla meglio!»
«Bah» esclamò Sascha. «Scusa, ma non ho la minima idea di quello che vuoi dire.»
«Una cosa del genere.» Accesi la torcia del cellulare e la puntai sul terreno. Poi disegnai la forma che intendevo con la punta della scarpa sulla sabbia. «Di sicuro non è una S al contrario» dissi. «Però non riesco a trovare un paragone migliore.»
Sascha fissò il mio schizzo aggrottando la fronte. «Hai detto che è rossa?»
«Sì. Ti viene in mente che cosa potrebbe essere?»
«Mah, forse.» Si guardò intorno. «Dal club non è la strada più breve, ma passando per le vie laterali si darebbe meno nell’occhio. Vanessa potrebbe avercela fatta.»
«Dal club fino a dove?» chiesi impaziente.
Sascha tornò a guardarmi. «Forse mi sbaglio, ma quella specie di punto interrogativo che descrivi potrebbe essere invece un drago.»
«Un drago?»
Annuì. «Sì, un drago rosso. Meglio che te lo faccia vedere direttamente. Se rimaniamo ancora qui, morirò di freddo. Ce la fai a camminare ancora un pezzetto?»
Eccome!