43.

Finito il film andai in camera mia. Ero stanchissima e caddi sul letto a peso morto. Tuttavia continuai a rigirarmi per un bel po’, rimuginando, finché mi addormentai sfinita.

Anche nel sonno continuai a elucubrare e feci sogni agitati. Somigliavano alle storie che Ella mi leggeva sempre prima di andare a dormire da bambina. Solo che la mia era molto più inquietante.

Io ero Biancaneve ed ero sdraiata in una bara di vetro da qualche parte nel bosco. Era buio pesto e non riuscivo a muovermi. I rami degli alberi sopra di me si muovevano in un pallido chiaro di luna, e si sentiva un lieve fruscio. Somigliava molto alle voci da mostro del club, solo che erano molto più lontane.

All’improvviso Tuta di pelle comparve sopra di me e posò una rosa sulla bara, poi arrivò anche il dottor Mehra. Entrambi mi guardarono con aria interessata. Il dottor Mehra con i suoi amichevoli occhi castani e Tuta di pelle con il suo unico occhio che lampeggiava bianco come una pallina da ping-pong nel volto sfigurato.

È stata molto fortunata, sentii dire dal dottor Mehra oltre il coperchio di vetro, e Tuta di pelle, che si chiamava Malte Schuster, annuì.

Già, proprio così disse Malte Schuster, e anche stavolta le sue parole furono distorte dal raccapricciante gorgoglio nel suo petto. Era da me dall’altra parte, ma è tornata indietro. Come l’uomo di quel film, che assomiglia tanto al giardiniere del cimitero.

Mi rincresce, ma un ritorno di quel genere è scientificamente impossibile replicò il dottor Mehra con il suo tono cortese e deciso.

Chi dice che la scienza debba sempre avere ragione? lo contraddisse Tuta di pelle. Dopotutto si basa sulle nostre attuali conoscenze. Che cosa sappiamo, soprattutto della morte? Duecento anni fa nessuno avrebbe ritenuto possibile che un giorno sarebbero esistite le motociclette. E adesso mi guardi...

Indicò se stesso, il corpo morto e martoriato, tenuto insieme soltanto dalla tuta di pelle nera.

Forse ha ragione lei, disse il dottor Mehra. Che cosa ne sappiamo?

Roteai gli occhi disperatamente, era l’unico movimento che riuscivo a fare dentro la bara, ma loro non se ne accorsero. Mi rivolsero un cenno e se ne andarono.

Io li seguii spaventata con lo sguardo. Avrei voluto gridare, battere i pugni contro le pareti di vetro, farmi notare in qualche modo da loro. Ma me ne stavo lì immobilizzata a guardare i due uomini scomparire nel bosco.

All’improvviso Zoe si materializzò nella radura. Era nuda e ballava come la regina cattiva delle fiabe con un paio di pantofole di ferro incandescenti. Le sue grida di dolore erano spaventose.

Fui assalita dal terrore. Dovevo andare da lei, salvarla. Ma, maledizione, non riuscivo a muovermi.

Poi fui svegliata dal temporale.

Presenza oscura
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