63.
Per sicurezza avevo controllato un’altra volta l’indirizzo della famiglia di Vanessa prima di partire. Sull’elenco telefonico corrispondeva a quello inserito nei documenti di Anna Wegemann. Rainer e Veronica Strach abitavano sempre al numero 4a di Anselm-Strauss-Strasse.
Avevo inoltre trovato un altro Strach, Walter, domiciliato al numero 4b. Fu lui che vedemmo raggiungendo la villetta bifamiliare.
Doveva avere una settantina di anni e quasi certamente era il nonno di Vanessa.
Era in giardino e rastrellava le foglie sotto un grande ippocastano. Quando ci vide diretti a casa dei genitori di Vanessa, appoggiò il rastrello alla staccionata e ci venne incontro. Era un uomo asciutto, con mani nodose e un’espressione seria. Una ciocca bianca gli ricadeva sulla fronte rugosa e i suoi occhi avevano uno sguardo severo.
«Non c’è nessuno» brontolò.
«Buongiorno» lo salutai con un sorriso quanto più amichevole possibile. «Sa dirci se rimarranno via a lungo?»
Ci fissò con un’espressione imperturbabile. «Mia nuora è andata a prendere i ragazzi all’allenamento. Di che cosa si tratta?»
«Volevamo fare un saluto a Vanessa.»
«Aha.» Socchiuse gli occhi a due fessure, come se non mi credesse.
Mi affrettai a indicare Sascha e me, sforzandomi di risultare convincente. «Il mio amico e io la conosciamo attraverso un forum on-line. Le avevamo promesso da tempo di venire a trovarla. Oggi eravamo da queste parti e abbiamo approfittato per farlo.»
La sua espressione rimase diffidente. «Vi conoscete attraverso Internet?»
«Sì» confermammo entrambi in coro.
«Solo attraverso Internet?»
Il fatto che sottolineasse questa domanda mi inquietò. E anche il modo in cui ci fissava. Come se intuisse che stavamo mentendo.
«Sì» ripetei subito allargando il sorriso. «Volevamo conoscerci di persona finalmente.»
Sbuffò sprezzante. «Allora, a quanto pare, il vostro infallibile Internet non sa tutto.»
«Come dice?»
Stava per rispondere ma in quel momento un suv nero svoltò nel vialetto. Ne scese una donna con una lunga coda castana. Doveva essere Veronica Strach.
Era alta e magra e la sua magrezza era accentuata dall’abbigliamento scuro. Anche lei aveva un’espressione seria.
«Salve, posso aiutarvi?»
«Sono venuti a trovare Vanessa» disse Walter Strach prima che avessi il tempo di rispondere. «Dicono di averla conosciuta su Internet.»
«Su un forum» precisai, prima di ripetere la mia storia. «Le avevamo promesso che saremmo venuti a trovarla e oggi volevamo farle una sorpresa.»
Due bambini scesero dal sedile posteriore del fuoristrada. Dovevano avere sei o sette anni, avevano entrambi la stessa sacca sportiva gettata in spalla e la stessa tuta. Erano praticamente identici.
Gemelli, pensai.
Veronica Strach non ci perdeva di vista. Quando i bambini le andarono vicino, accarezzò loro la testa con un gesto distratto.
«Cominciate a entrare, monelli» disse sottovoce.
«Ma noi abbiamo fame» protestò uno dei due.
«Tirate fuori la vostra roba intanto. Io arrivo subito.»
Aspettò che i due fossero entrati in casa, poi disse: «Quando è stata l’ultima volta che avete avuto contatti con Vanessa?»
Cominciavo a innervosirmi. La domanda di quella donna, il suo atteggiamento e la diffidenza con cui il suocero ci fissava mi facevano capire che ci stavamo muovendo su un terreno insidioso. Doveva essere successo qualcosa.
«Purtroppo è già da parecchio» risposi vaga.
Anche Sascha sembrava condividere il mio pensiero, perché aggiunse, a sostegno della mia storia: «Infatti ci sentivamo in colpa per questo».
Veronica Strach annuì e ci guardò in silenzio per qualche istante. La sua espressione era amareggiata e triste. «Quindi non lo sapete ancora.»
«Che cosa?» domandai, mentre il cuore accelerava i battiti. «È successo qualcosa?»
Fece un profondo respiro, come se cercasse di trovare un contegno.
«Mia figlia...» disse, poi deglutì. «Vanessa è morta. Si è tolta la vita cinque settimane fa.»
«Come? Ma...»
La notizia mi colpì come un pugno togliendomi l’aria dai polmoni. Non era possibile! Ero sul punto di dirle che avevo parlato con lei giusto il giorno prima, ma mi trattenni appena in tempo.
«Mi spiace che dobbiate saperlo in questo modo» proseguì Veronica Strach.
«Ma come...?» Non riuscivo a dirlo, non riuscivo a capacitarmene.
«Si è lanciata sotto un treno» borbottò Walter Strach, guadagnandosi così un’occhiata di rimprovero dalla nuora.
«Non so quanto la conoscevate» disse lei, «ma Vanessa non era una persona facile.»
«Era un’ingrata» aggiunse tetro il vecchio.
Veronica Strach lo guardò indispettita. «Per favore, Walter! Non voglio più sentire certe cose!»
«Ma è la verità! Dopo tutto quello che avete fatto per lei, vi ha mai ringraziato? No che non l’ha fatto!»
«Su Internet è difficile conoscere fino in fondo qualcuno. Per questo non sappiamo molte cose su di lei» dissi, e quella era la verità. Per qualche motivo era importante per me smettere di mentire a quella donna. Sentivo che cercava con tutte le forze di arginare il proprio dolore e non volevo arrecargliene altro.
«Ha mai accennato con voi di volersi...» domandò lei. «Voglio dire, vi ha mai scritto di avere dei problemi?»
Scossi la testa e cercai di essere il più sincera possibile. «No, sapevo soltanto che era malata.» Mi ricordai di avere Sascha accanto a me, perciò mi corressi rapidamente, «cioè, lo sapevamo, voglio dire.»
Veronica Strach fece un profondo respiro. «Sì, Vanessa aveva un difetto cardiaco congenito che non poteva essere corretto.»
«Non si sarebbe potuta sottoporre un trapianto di cuore?» domandò Sascha.
«Quando era molto piccola non fu possibile purtroppo» rispose la donna. «Era molto debole e non sarebbe sopravvissuta a un intervento del genere. Per un po’ abbiamo temuto di perderla. Successivamente, quando le sue condizioni sono migliorate, è stata inserita nella lista dei trapianti. Ma non immaginate nemmeno quanto sia difficile e quanto siano lunghi i tempi di attesa. I donatori sono troppo pochi.»
Sascha annuì. «Lo so. Lavoro in pronto soccorso.»
Ci scambiammo un’occhiata perplessa. Mi ero aspettata tante cose, ma non una storia del genere. All’improvviso mi sentivo da cani a essere andata lì per carpire informazioni da Veronica Strach.
Per qualche secondo regnò un silenzio imbarazzato tra di noi, poi lei disse: «In ogni caso sono contenta che Vanessa avesse almeno qualche amico. Come ho detto non aveva un carattere facile, ma era una brava ragazza, molto intelligente, e una studentessa modello. Prendeva sempre il massimo dei voti. Giusto qualche settimana fa aveva superato al primo tentativo l’esame di guida senza nemmeno un errore. E poi, di punto in bianco...»
Sbatté le palpebre per scacciare le lacrime. «Non riesco a capire. Davvero non vi ha detto mai niente? Vi prego, ho bisogno di saperlo! Deve esserci pur stato un motivo!»
Io scrollai il capo mestamente.
«Vanessa non ci ha lasciato nemmeno una lettera d’addio» proruppe Veronica, scoppiando a piangere.
«Mamma!» Uno dei due bambini spuntò sulla porta facendole un gesto impaziente. «Allora vieni? Noi abbiamo fame!»
«Arrivo subito, tesoro!» rispose lei asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
«Per caso non avrebbe una foto di Vanessa?» domandai, pur consapevole di mentire ancora. «Su Facebook aveva solo un avatar. Mi sono sempre chiesta che aspetto avesse.»
Veronica Strach annuì. «Sì, lo so. Non le piaceva farsi fotografare. Nemmeno io l’ho mai vista farsi un selfie o cose del genere. Era come se non sopportasse la propria vista. Però naturalmente ho qualche sua foto.»
Tirò fuori dalla borsa il cellulare e aprì l’album fotografico.
Magari mi sono sbagliata, mi augurai in segreto. Magari è solo una stupida coincidenza e non parliamo della stessa persona.
Ma sarebbe stata davvero una coincidenza più unica che rara e, quando Veronica Strach alla fine ci mostrò una foto di Vanessa, le mie speranze si dissolsero.
«Questa è la sua ultima foto. Gliel’ho scattata l’estate scorsa. Il giorno del compleanno dei fratelli.»
Vanessa era stata ripresa a pochi metri da noi sulla terrazza degli Strach. Nel punto in cui adesso erano accatastati e coperti i mobili da giardino e l’ombrellone, lei era seduta al sole che guardava nell’obiettivo; in primo piano, un piatto con la torta.
Sì, la somiglianza con Zoe era incredibile. Ma a differenza della sorella, Vanessa portava i capelli biondi lunghi, mettendo in evidenza i boccoli che Zoe non aveva mai sopportato.
Inoltre aveva uno stile completamente diverso. Sembrava più un tipo emo. Nella foto indossava un paio di jeans neri laceri e una maglietta nera con la scritta NON CRESCETE, È UNA TRAPPOLA!
Ma la sua posa ricordava molto Zoe. Vigile ed eretta, le spalle leggermente curve in avanti. A differenza della sorella, tuttavia, Vanessa aveva un’espressione fin troppo seria che era accentuata ulteriormente dal trucco nero. Con tantissimo eye-liner e kajal.
Non era una persona facile.
Già, si capiva chiaramente. Anche a quella festa di compleanno Vanessa sembrava arrabbiata per qualche motivo.
«Ho sempre cercato di essere una buona madre per lei» disse Veronica Strach. «L’avevamo adottata, ma per me è sempre stata mia figlia. Per molto tempo abbiamo pensato di non poter avere bambini, finché, quasi sette anni fa, sono rimasta incinta dei gemelli.»
«Qual è stata la reazione di Vanessa?» chiesi, senza distogliere gli occhi dalla foto.
«Non ne fu molto felice» rispose triste la poveretta. «Evidentemente li vedeva come suoi concorrenti. Rainer e io invece ci siamo sempre dati l’obiettivo di comportarci in maniera identica con tutti e tre. Ma Vanessa era gelosa. Lo era sempre stata. Se non otteneva abbastanza attenzione, si arrabbiava. Era così fin da piccola.»
Sospirò e si asciugò una lacrima dall’angolo dell’occhio. «Ma questo non spiega assolutamente... il suo gesto.»
Uno dei gemelli chiamò di nuovo la madre. Lei gli rivolse un cenno, poi si girò verso di noi abbozzando un sorriso.
«Adesso devo occuparmi dei bambini. Vi ringrazio di essere venuti. Credo che a Vanessa avrebbe fatto molto piacere la vostra visita.»
«Potrebbe inviarmi la foto?» chiesi. «Per ricordo.»
«Ma certo.»
Le diedi il mio numero di telefono e dopo un veloce saluto lei entrò in casa.
Sascha e io la seguimmo con lo sguardo, entrambi scioccati e confusi.
«Ha spezzato il cuore alla sua famiglia» disse all’improvviso Walter Strach. Durante la conversazione era rimasto impietrito accanto a noi, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo chino sugli stivali.
«Prima lavoravo nelle ferrovie» proseguì con un filo di voce. «Mi è capitato di vedere qualche volta che cosa rimane dopo un incidente del genere. Un brutto spettacolo, davvero molto brutto. Non è possibile toglierselo dalla testa. Certa gente non pensa neppure un istante a quello che fa ai parenti. Vanessa è stata riconosciuta solo dalle scarpe. Mio figlio e mia nuora da allora vanno regolarmente dallo psicologo.»
«È successo da queste parti?» chiese Sascha.
Il vecchio annuì. «Già, a quella maledetta curva giù al bosco. Vanno tutti lì, quei pazzi! Fosse per me, ci avrei fatto mettere da tempo una recinzione.»
Detto questo tornò al suo rastrello senza degnarci di un’altra occhiata.