17.
Alle due del mattino ero sempre sveglia. Babsi russava come se volesse segare tutta la foresta di Fahlenberg, ma non era questo a disturbarmi.
Il mio cervello lavorava instancabile. Continuavo a riflettere sulla mia conversazione con Cordelia, sulle nostre esperienze dall’altra parte e sull’ombra nella sua stanza. E poi pensai a quello che mi aveva spiegato Sascha.
Naturalmente era una spiegazione logica, ma mi domandavo perché lui fosse tanto contrario alla nostra versione delle cose. Ero sicura che non dipendesse esclusivamente dalla sua volontà di basarsi solo su fatti scientifici. Doveva esserci dietro qualcos’altro.
Senza dubbio in questo momento il monitor del dottor Sander avrebbe rilevato un sacco di zone rosse e arancioni nel mio cervello. E di certo il neurologo avrebbe trovato la cosa interessante, ma personalmente mi sentivo esausta. Soprattutto perché, nonostante la febbrile attività cerebrale, continuavo a non ricordare niente di quella sera. Non avevo nessun ricordo dell’accaduto. Non sapevo come fosse successo che mi ritrovassi in ospedale.
E come erano finite nel mio bicchiere quelle maledette gocce?
E poi, avevo davvero bevuto?
Evidentemente sì.
Ma non avrei mai accettato qualcosa da uno sconosciuto.
Mi sembrava di agitare un recipiente di acqua nera nella speranza che affiorasse qualcosa. Ma non succedeva niente.
Se il dottor Mehra aveva ragione, non sarebbe affiorato niente. Almeno per il momento. Perché soffrivo di una maledetta amnesia.
Accidenti, quanto mi faceva incavolare!
Guardai verso Babsi, che russava nel buio.
Ti piace risolvere enigmi? Allora ne ho uno per te. Di sicuro non ti annoierà. Chi vuole uccidermi e poi rapisce la mia migliore amica?
Improvvisamente udii di nuovo il familiare fruscio sul soffitto. Mi venne la pelle d’oca. Mi alzai a sedere di scatto e avvertii una singolare tensione, come se l’aria si fosse improvvisamente caricata di elettricità.
No. Non ora. Per favore non ora! Non ne posso più!
Poi però lo vidi. Tuta di pelle era di nuovo appeso al soffitto a testa in giù e mi osservava. Poi avanzò strisciando lentamente verso di me fino a entrare nell’alone fioco della luce notturna.
Vidi di nuovo la sua faccia orrendamente maciullata e scarnificata. Vidi il suo occhio chiaro che mi fissava imperterrito.
Ero paralizzata dalla paura. Avevo il viso madido di freddo sudore e non riuscivo a respirare.
«Vattene» bisbigliai. «Sparisci e lasciami in pace una buona volta!»
Lui però non si mosse. Continuò a stare appollaiato lassù e a fissarmi.
Mi tornarono in mente le parole di Cordelia. Se adesso è con te, deve esserci di sicuro un motivo. E credo che non appena lo scoprirai, ti libererai di nuovo di lui.
«E va bene» dissi, facendomi coraggio. «Che cosa vuoi da me? Parla!»
Lui rimase in silenzio e cominciò a battere con un dito sul soffitto.
«Cosa?» sibilai. «Cosa diavolo significa?»
Cominciò a battere con più impeto, tanto che mi sembrava di sentire il rumore sull’intonaco. Ma non riuscivo a capire il significato di quel gesto.
A un certo punto Babsi nel sonno emise una specie di fragoroso grugnito che mi fece sussultare. Quando guardai di nuovo sul soffitto, Tuta di pelle era sparito.
Ma forse non c’era mai stato.