50.
Avrei preferito andare dai Wagner quella sera stessa, per smascherare la falsa Zoe. Ma senza un piano non sarebbe servito a niente. Lei avrebbe negato e i genitori di Zoe non mi avrebbero mai creduto. Avevo bisogno di prove per convincerli.
Quella notte l’ombra rimase con me. Vegliava accanto al mio letto, mentre mi lambiccavo il cervello per trovare una strategia. Ogni tanto sfarfallava e avevo la netta impressione che si facesse a poco a poco più diafana.
«Zoe, dove sei?» domandai nel silenzio della mia camera. «Dammi almeno un indizio.»
L’ombra però non rispose, era lì e basta, e, quando il mattino seguente uscii per andare dai Wagner, mi seguì di nuovo. Vidi la sua sagoma fioca sull’autobus e poi a tutti gli angoli di strada mentre attraversavo l’elegante quartiere residenziale.
Durante la notte mi era finalmente venuta un’idea per tendere una trappola alla falsa Zoe. Non ero del tutto sicura che ci sarei riuscita, ma non dovevo lasciare niente di intentato. Prima di raggiungere casa dei Wagner, avevo fatto una sosta al supermercato per comprare qualcosa. L’ombra mi aveva seguito anche lì, spuntando ripetutamente tra gli scaffali.
Solo quando imboccai la strada dei Wagner, sparì all’improvviso.
I giornalisti assediavano ancora la casa, ma avevo l’impressione che nel frattempo fossero diminuiti.
Anche stavolta passai dall’ingresso posteriore e fui fortunata. Le tende davanti alla vetrata erano chiuse, ma le tapparelle erano alzate.
Bussai contro il vetro. La mamma di Zoe sbirciò da dietro le tende. Quando mi riconobbe, mi sorrise e mi aprì la porta della terrazza.
«Nikka! Che bella sorpresa! Hai trovato la via migliore per entrare. Da questa parte i reporter non sono ancora arrivati.»
«Sarebbe il caso che ricominciasse a piovere» dissi. «Forse allora anche quelli rimasti si deciderebbero a levare le tende.»
«Già, sarebbe auspicabile. Figurati che qualcuno di loro ha addirittura dormito in macchina per non perdersi niente. È una vera seccatura.»
«Come sta Zoe?»
«Alla grande.» Sorrise raggiante. «Proprio alla grande. Ma entra, prima che qualcuno ci veda.»
Chiuse la porta alle mie spalle, accostò le tende e mi portò in soggiorno.
Zoe era seduta a tavola con il padre. Discutevano vivacemente chini sul tabellone di Scarabeo. Davanti a loro c’era una grande ciotola di macedonia e sulla tovaglietta di ciascuno una scodella individuale.
Era uno spettacolo insolito. Mi tornò in mente la volta in cui Zoe si era sfogata con me un paio di anni prima al parco. Sua madre aveva letto su una rivista che i giochi di società erano importanti per l’affiatamento della famiglia.
«La mamma si è messa in testa di giocare a Scarabeo» mi aveva detto. «Perché a quanto pare stimola la creatività e amplia il vocabolario. Ma sinceramente, c’è qualcosa di più noioso che passare un intero pomeriggio a comporre parole?»
«Uno solo?» avevo risposto. «Ella voleva sempre giocarci con me.»
Ma a questa Zoe giocare a Scarabeo non creava problemi. Al contrario, era tutta fuoco e fiamme.
«Finalmente arrivano rinforzi» esclamò quando mi vide entrare. Balzò in piedi e mi abbracciò.
«Ti rendi conto che papà non conosce Saruman? Avanti, spiegagli chi è.»
«È... è un personaggio del Signore degli Anelli» balbettai. Mi aveva davvero appena chiesto di Saruman?
Vidi di nuovo davanti a me la Zoe di prima. Eravamo sedute sul suo divano, in una piovosa giornata di vacanza, davanti a noi una scodella di popcorn fatti in casa, e volevamo guardare un film.
Io avevo proposto Il Signore degli Anelli, perché la trilogia mi piaceva davvero un sacco, ma lei aveva detto: «Ti prego, no! Non mi piacciono i nanetti con i piedi pelosi e anche il libro era di una noia mortale. Credo di non averne letto più di venti pagine. Forse trenta, ma non di più. Non riesco a tenere a mente tutti quei nomi fantasy».
E adesso Zoe spiegava a suo papà chi era Saruman. Come se fosse la cosa più naturale del mondo che lei conoscesse quel nome.
«In ogni caso è un nome proprio e non conta» obiettò Rolf Wagner che non doveva essersi accorto del mio stupore. «Devi pensare a qualcos’altro, tesoro.»
Mi riscossi prima che qualcuno notasse il mio turbamento. «Scrivi SAUNA» le proposi. «Saranno almeno dieci punti.»
«Brava!» Mi scoccò un bacio esagerato sulla guancia. «Tu sì che sei la mia astutissima amica!»
E tu chi sei? pensai. Oppure sei veramente cambiata così tanto?
«Adesso sono di nuovo al comando» dichiarò ridendo, dopo aver trasformato SARUMAN in SAUNA.
Le porsi il sacchetto regalo che avevo comprato al supermarket. «Tieni, ti ho portato qualcosa.»
«Che bello, un regalo! Che cos’è?»
«Guarda tu stessa.»
Aprì il sacchetto, dove avevo infilato un pacco doppio di Oreo, e mi guardò raggiante. «Grazie, sei un amore!»
La vera Zoe non avrebbe mai detto una cosa del genere. Mi avrebbe ammiccato ed entrambe avremmo capito che cosa significava.
E di sicuro non avrebbe fatto quello che adesso fece questa Zoe. Perché la vera Zoe avrebbe saputo che cosa si sarebbe scatenato.
«Guarda mamma» disse a Maria, mostrando i biscotti come se fossero qualcosa di speciale. «Non è stata un tesoro Nikka?»
Come c’era da aspettarsi il sorriso sincero di Maria Wagner si trasformò in una maschera di finta cordialità.
«Oh» commentò. «Sono sicura che pensavi di farle un piacere, Nikka. Ma questi zuccheri industriali... tutti questi carboidrati... abbiamo già parlato di come certe cose non vi facciano bene. Soprattutto voi giovani dovreste mangiare più frutta e più verdura.»
«Lo so» dissi, scambiando una breve occhiata con questa Zoe sconosciuta che aveva l’aria confusa e incerta. «Però pensavo che potevamo fare un’eccezione per oggi.»
«Ma certo!» esclamò la mamma di Zoe. «Sono stata maleducata. So che eri benintenzionata. Vorresti giocare con noi e mangiare un po’ della mia macedonia?»
Per un attimo rimasi paralizzata. La storia di Saruman e il piccolo test con gli Oreo avevano rafforzato i miei peggiori sospetti. Dovevo agire, se volevo scoprire la verità. Era il momento di attuare la seconda parte del piano che avevo messo a punto durante la notte. Forse avrei finalmente trovato la soluzione di quell’enigma inquietante.
«Volentieri» risposi. «Prima potrei andare al bagno?»
«Ma certo. Sai già dov’è.»
Mentre raggiungevo le scale, passai proprio accanto alla ragazza che somigliava in maniera incredibile alla mia migliore e più vecchia amica.
Ci misurammo con lo sguardo e il suo sorriso mi sembrò forzato. Mi accorsi che stava riflettendo e mi parve di cogliere nuovamente quella rabbia repressa sotto la superficie del suo sorriso.
«Stavo per andare a preparare una tisana quando sei arrivata» disse, con voce esageratamente gentile. «Ne vuoi una tazza anche tu?»
«Certo.»
«Tisana alla frutta?»
Annuii. «Come sempre.»
Poi salii in bagno. Avvertivo una fastidiosa oppressione al petto, ma non aveva niente a che fare con le costole rotte.
Proveniva dal grido che riuscivo a trattenere solo con enorme fatica.