4.

Non avevo mai conosciuto i miei genitori. Il giorno dopo la mia nascita, la mamma fu colpita da un’emorragia cerebrale ed entrò in coma. Secondo i medici doveva trattarsi di una conseguenza tardiva del travaglio.

Papà era subito corso all’ospedale e, per l’agitazione, non si era fermato a uno stop per dare la precedenza a un camion. Nell’articolo di giornale che conservavo nella mia scatola di ricordi c’era scritto che era morto sul colpo. La mamma lo aveva seguito due giorni dopo.

Così ero stata allevata dalla nonna, che tuttavia non sopportava di essere definita tale. Si riteneva troppo giovane, era la sua spiegazione, anche se nel frattempo era arrivata all’età di sessantasette anni e per i miei standard era tutt’altro che giovane. Ma fin da subito avevamo deciso che l’avrei chiamata per nome: Ella.

Andavamo molto d’accordo, anche se la sua fede e la sua indole un po’ timorosa a volte mi davano sui nervi. Tuttavia, nonostante la sua ansia costante, mi lasciava le mie libertà e questo lo trovavo davvero fantastico da parte sua, perché ero certa che le costasse un enorme sforzo di volontà.

Quella sera, dopo l’allenamento in piscina, mentre infilavo nello zaino il mio costume da Halloween e l’occorrente per la notte, Ella, in piedi sulla porta della mia camera, mi impartì una quantità infinita di raccomandazioni che avrei dovuto tenere a mente a una «festa del genere», come la chiamò. Soprattutto, ovviamente, per quanto riguardava i ragazzi, che volevano sempre «una cosa» soltanto.

«Il buon Dio protegge solo chi sa proteggersi. Perciò non salire in macchina con degli sconosciuti, capito? E nemmeno con qualcuno che conosci, se ha bevuto.»

«Non lo farò di certo» le assicurai. Presi in braccio il Signor Rossi, che stava annusando il mio zaino facendo le fusa – e prima o poi ci si sarebbe infilato dentro – e lo appoggiai per terra.

«Casomai cambiassi idea e volessi tornare a casa, prendi un taxi» disse, infilandomi una banconota da dieci euro nella tasca del giubbotto.

«Ella, non ce n’è bisogno. Dormirò da Zoe e suo padre ci porterà e ci verrà a prendere.»

«Ce n’è bisogno eccome» insistette lei prendendo in braccio il nostro vecchio gatto che si accoccolò subito contro di lei. «Meglio andare sul sicuro. Sul giornale si leggono sempre notizie terribili e non voglio assolutamente che ti succeda qualcosa. Sei l’unica persona che mi rimane.»

Era un desiderio reciproco: entrambe avevamo perso troppe persone care per avere la forza di affrontare un altro lutto. Per questo, quando a volte si dimenticava che nel giro di tre mesi avrei compiuto diciassette anni, la lasciavo fare.

Mi riproposi di non toccare i dieci euro. Al mio ritorno li avrei subito rimessi nella zuccheriera in cucina, dove Ella conservava i «soldi per le emergenze». Non eravamo povere e ce la passavamo bene, ma potevamo contare solo sulla sua pensione e su quello che guadagnavo io distribuendo giornali pubblicitari.

Dopo aver garantito a Ella per la centesima volta che avrei badato a me stessa, le diedi un bacio sulla guancia e uscii di casa.

Presi l’autobus delle sette per raggiungere l’esclusivo quartiere residenziale alla periferia della città dove abitavano i Wagner. I genitori di Zoe erano due architetti e avevano una elegante villa con un grande giardino curato. Sul cancello c’era la targa di ottone del loro studio.

Zoe mi aspettava e andammo subito in camera sua. Ecco, in realtà non era una camera, bensì un piccolo appartamento al piano superiore. Aveva persino un bagno.

Si era già messa il costume e con la tuta nera da Catwoman era molto sexy. L’unica nota di colore era il braccialetto dell’amicizia che nessuna delle due si toglieva mai.

«Wow» esclamai. «Halle Berry non ce la può fare contro di te.»

Zoe mi rivolse un’occhiata interrogativa.

«Non conosci il film?»

«No, questo costume mi piaceva e basta.» Mi porse un piatto con bastoncini di carote e una salsa verdina. «Vuoi? È salsa di avocado ma senz’aglio.»

Scossi la testa. «No, grazie.»

Lei sorrise. «Non ne posso più nemmeno io di questa roba, ma sai com’è fatta mia madre. Teme i carboidrati come il diavolo l’acqua santa. L’importante è che il cibo mantenga magri, sia sano e naturale. Ma se è per questo ci sono anche tante altre cose.»

Tirò fuori dalla scollatura uno spinello e se lo tenne davanti al viso. «Da agricoltura biologica.»

«Non vorrai mica...» protestai, ma Zoe si limitò a ridere e aprì la finestra.

«Giusto due tiri per sciogliermi.» Accese lo spinello, tirò una boccata e me lo porse. «Fai un tiro, ti rilasserai.»

«Oggi è meglio di no, grazie.»

Posai lo zaino sul letto accanto alla maschera da gatto di Zoe. Poi tirai fuori i trucchi e il costume che in realtà era semplicemente una delle camicie da notte bianche di Ella. Il giorno prima avevo intinto l’orlo in una bacinella d’inchiostro nero in modo che sembrasse infangato.

«Che cosa dovrebbe essere una volta indossato?» s’informò Zoe soffiando una boccata di fumo fuori dalla finestra.

«Aspetta e vedrai.»

Mi infilai la camicia da notte. Era di due taglie troppo grande e sembrava proprio fare al caso mio. Poi presi un pettine e un po’ di gel e mi pettinai i capelli lunghi e scuri davanti alla faccia.

Infine mi girai verso Zoe.

«Allora? Chi sono?»

«Ehi, forte! La ragazza morta di The Ring

Alzò entrambi i pollici e io feci una risata.

«Esatto! Cento punti per te. È una vecchia pellicola, ha la mia età, ma è sempre il film più spaventoso che conosca. Adesso devo solo truccarmi gli occhi di nero...»

«Pst!»

Zoe si portò un dito alle labbra e si spostò all’indietro dalla finestra. La sua espressione di colpo era serissima.

«Che succede?»

«Da’ un’occhiata fuori» bisbigliò.

«Che cosa c’è?»

«C’è un tipo.»

Parlava a bassa voce e non sapevo se mi stesse prendendo in giro oppure no.

«E chi dovrebbe essere? Michael Myers perché è Halloween? Ah, ah.»

Zoe scosse la testa. «Non scherzo. C’è un tipo che ci osserva.»

«Sul serio?»

«Sì. Vieni qui!» Impaziente mi fece segno di avvicinarmi a lei. «Guarda tu stessa. Vicino alla siepe laggiù.»

Esitai un attimo prima di andare alla finestra. Mi aspettavo quasi che Zoe scoppiasse a ridere e mi gridasse «Buh!» all’orecchio.

Invece non lo fece. E nella fioca luce della sera notai davvero qualcuno in giardino. Una figura slanciata e scura con una felpa che stava mezza nascosta tra i cespugli accanto al cancello. L’alta siepe schermava la luce dei lampioni, e a prima vista l’intruso avrebbe potuto benissimo essere scambiato per una statua.

Zoe dava le spalle alla finestra e il tizio doveva aver pensato che non si fosse accorta di lui. Ma quando mi avvicinai anch’io e guardai verso il basso, sparì tra la vegetazione e non spuntò più.

«Cavolo, ma chi era quello?»

Zoe mi venne vicino e guardò a sua volta in giardino. «Non ne ho idea. L’ho visto già un paio di volte. Se ne sta lì così, a guardare verso la mia finestra.»

«Vuoi dire che non è la prima volta?»

«No, oramai saranno quattro settimane che ogni tanto si fa vedere.»

«Accidenti! Hai avvisato i tuoi genitori?»

Mi scoccò un’occhiata come se avessi detto una scemenza. «Certo che no! Vuoi che faccia prendere un infarto alla mamma? Sai com’è fatta, non si azzarderebbe più a uscire di casa. E anch’io dovrei rimanere rinchiusa qui finché non lo prendono.»

«Ma è assurdo! Bisogna pur fare qualcosa!»

«Ah sì? Che cosa?»

«Che ne so, chiamare la polizia, magari.»

«E secondo te che cosa dovrei raccontare? Che c’è un guardone nel quartiere? Tutte le volte che lo vedo quel tipo sparisce subito. Credi che se ne rimarrebbe qui buono buono ad aspettare gli sbirri?»

«No, però...»

«E se anche la polizia intervenisse, che cosa potrebbe fare? Mettere una pattuglia a sorvegliare casa nostra? Figuriamoci! La mamma darebbe fuori di matto. E poi sarebbe una pessima pubblicità per il loro studio.»

«Vabbè, se non altro si prenderebbe un bello spavento» dissi, sebbene oramai la mia proposta mi sembrasse alquanto ingenua. «Così magari se ne va una volta per tutte.»

«Ma non farmi ridere, dai!» Zoe soffiò il fumo fuori dal naso con aria sprezzante. «Per ora non ci pensa proprio. Torna sempre. Una volta sono riuscita a puntargli il cellulare.»

«Gli hai fatto una foto?»

«Macché, non sono stata abbastanza veloce.» Sospirò, quindi mi guardò seria. «Bene, adesso lo sai, ma la cosa deve restare tra di noi, capito? I miei genitori non devono venirlo a sapere. Me lo devi promettere, d’accordo?»

«Ma non puoi consentire che se ne stia lì come se niente fosse!»

«Verissimo.» Zoe lanciò un’altra occhiata in giardino. «Prima o poi lo becco. Ma fino ad allora tieni la bocca chiusa, ok?»

«D’accordo, non dirò niente a nessuno. Promesso.»

Per un attimo Zoe rimase a guardare fuori dalla finestra in silenzio. «In realtà mi interessava sapere se lo vedevi anche tu» dichiarò infine.

Io alzai le sopracciglia, stupita. «Che cosa vorresti dire?»

«Be’, sai, è sempre là sotto, al buio, e non ero sicura che fosse reale.»

Spense lo spinello sul davanzale, si infilò di nuovo nella scollatura quel che ne restava e spruzzò un po’ di lacca per capelli nella stanza con gesti esperti.

«Forse dovrei smettere con le canne.»

«Questo è sicuro» le consigliai, visto che in realtà io fumavo soltanto per farle un piacere. Per me quella roba aveva un sapore disgustoso e non mi aveva mai aiutato a rilassarmi.

«E soprattutto dovresti badare a te stessa» aggiunsi, anche se mi sembrava di parlare quasi come Ella. «Forse, prima o poi a quel tizio non basterà più spiarti da là sotto.»

«Ma figurati!» Zoe fece un gesto spazientito con la mano. «È solo uno un po’ fissato che non ha tutte le rotelle a posto. E puoi stare sicura che lo beccherò. Gli farò un video e lo metterò su YouTube, così tutti vedranno quanto ce l’ha piccolo.»

Prese un bastoncino di carota e lo fece dondolare tra le lunghe dita. «Piccolo così.»

Si mise a ridere e anch’io sogghignai prima che bussassero alla porta. La mamma di Zoe infilò dentro la testa per sapere se eravamo pronte.

«Tuo padre non vuole perdersi la partita.»

«Il fischio d’inizio sarà esattamente fra trentadue minuti» ci avvisò da sotto Rolf Wagner, «e voglio vedere la partita dal principio!»

«Ci siamo quasi» disse Zoe. «Samara ha solo bisogno del trucco.»

Maria Wagner la guardò aggrottando la fronte. «Chi?»

«Oh, mamma» sospirò Zoe. «Se continui a guardare solo quegli stupidi gialli in tivù, ti perdi il meglio.»

«Questione di punti di vista» rispose la madre vagamente offesa. «E apri un po’ la finestra prima di uscire. Sembra che qui dentro sia esploso un salone da parrucchiere.»

Zoe mi guardò ammiccando e questa volta scoppiammo entrambe a ridere. Poi completammo in fretta e furia il nostro travestimento. Zoe mi aiutò con l’eyeliner e un ombretto scuro. L’effetto fu raccapricciante.

Quando uscimmo dal cancello poco più tardi a bordo della Volvo di Rolf Wagner, gettai ancora un’occhiata nel punto in cui c’era stata la misteriosa figura.

Naturalmente non c’era più nessuno.

Poco più avanti lungo la strada due donne e un uomo camminavano insieme a un gruppetto di bambini. Anche loro erano mascherati. Passandogli accanto riconobbi una principessa, una strega, due fantasmi e un Darth Vader piccolissimo che faceva rotolare davanti a sé la sua Morte Nera.

L’uomo la rincorse, la riportò al bambino e gli disse qualcosa. Notai che portava una felpa scura con cappuccio identica a quella del tipo in giardino. Solo che teneva il cappuccio abbassato.

Mi domandai se non fosse lui l’individuo che avevamo visto. Forse la palla del bambino era finita nel giardino dei Wagner?

Ma non era possibile, se Zoe lo aveva già visto altre volte in precedenza.

Fui assalita da un brutto presentimento e pensai che al posto suo non sarei rimasta tanto indifferente.

Presenza oscura
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