15.
«Scusami» disse Sascha mentre tornavamo verso l’ascensore. «Non avrei dovuto portarti da lei. Ti ha messo una bella confusione in testa, vero?»
«Cosa che tu sapevi benissimo fin dal principio, vero? Però lo hai fatto lo stesso» replicai fermandomi. «Perché?»
Si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e sospirò. «Quando abbiamo parlato la prima volta, mi sono reso conto che qualcosa ti turbava. Qualcosa di cui dovevi liberarti. Mi è capitato già con altre persone che abbiamo rianimato, ma a parte Cordelia nessuno ha osato parlarne apertamente finora. Ho pensato che provassi le stesse cose anche tu.»
«Ti sorprende davvero che nessuno voglia rivivere questa esperienza? Tu stesso hai detto di non crederci.»
«Infatti, è così. Mi rendo conto però del bisogno di confrontarsi con qualcuno che comprenda questo, diciamo, viagio nell’aldilà.»
«Non ti capisco proprio, Sascha. Ti preoccupi di persone come Cordelia e me, ascolti le nostre storie e vuoi conoscere tutti i particolari. Ma poi non credi a una parola.»
Lui sospirò di nuovo e guardò fuori dalla finestra. Sentivo che era combattuto. Alla fine mi guardò con una strana luce negli occhi. Un misto di paura e sfida.
«E va bene» disse. «Vuoi sapere che cosa avete vissuto entrambe? Esistono numerose prove scientifiche di queste presunte esperienze di quasi-morte. In realtà, dopo un arresto cardiaco l’attività cerebrale aumenta per un breve periodo. Dipende dallo stress, causato dall’insufficiente apporto di ossigeno al cervello. In questo stato si hanno delle allucinazioni, e poi il corpo rilascia endorfine.»
«Gli ormoni della felicità?» Scrollai la testa. «Guarda che ero tutt’altro che felice quando è successo.»
«Sicuramente era a causa del GBL» disse. «Ti ha accelerato il battito e ti ha provocato una crisi di panico. È naturale che tu avessi paura. Ma nei casi normali, l’organismo rilascia endorfine, è dimostrato scientificamente. È stato confermato anche da uno studio sui gatti. Per questo quando muoiono in genere fanno le fusa. E su tre persone che ho visto morire, una di loro ha sorriso. Non si sa ancora con precisione perché succeda, ma probabilmente è una specie di meccanismo di protezione del corpo per sedare i dolori.»
Ricordavo la sensazione che avevo provato quando avevo perso i sensi. Mi era sembrato di sprofondare e dissolvermi. E in effetti di colpo non avevo più provato alcun dolore. Me n’ero andata e basta.
«Anche per quanto riguarda il tunnel e la luce di cui avete parlato entrambe» proseguì Sascha, «esiste una spiegazione. Non è altro che un’immagine creata da un restringimento del nervo ottico. Sono gli ultimi segnali che questi nervi inviano al cervello prima di smettere di funzionare.»
Dopo una breve pausa aggiunse: «Ecco che cosa avete vissuto entrambe, nient’altro. Per questo le persone di tutto il mondo vedono sempre la stessa cosa, indipendentemente dalle convinzioni che avevano in precedenza. Succede perché il nostro corpo funziona per tutti alla stessa maniera».
Era una spiegazione logica, tuttavia lasciava alcune domande aperte.
«E che mi dici dell’ombra nella camera di Cordelia? Dopotutto l’ho vista anch’io.»
Sascha corrugò le labbra e si passò una mano tra i capelli. «Certo, dopo che lei te ne ha parlato. Scusa, Nikka, non avertene a male, ma quando vuoi vedere qualcosa lo vedi.»
«Forse però vale anche il contrario» osservai. «Ovvero che vedi solo le cose che vuoi vedere e precludi a te stesso tutto il resto.»
«Credo che tu non mi abbia capito. Non è che io non voglia vedere. È solo che non ci riesco. Perciò mi baso sul buonsenso, sulla scienza, e su ciò che ho studiato di anatomia. Semplicemente perché è logico.»
Incamerai le sue parole mentre guardavo i boschi al di là della finestra. C’ero stata spesso, fin da bambina. Ella mi aveva indicato i nomi di alberi e arbusti e insieme avevamo ammirato le cose fantastiche che la natura riesce a creare, il loro reciproco rapporto e il loro unirsi a formare un tutto più grande.
Mi aveva anche fatto capire che il nostro corpo è un miracolo altrettanto complesso al quale collaborano tantissimi elementi.
Si passa sempre dal piccolo al grande, mi aveva detto. Per questo ciascuno di noi è un universo a sé.
Possibile che non rimanesse niente di tutto questo? Di un intero universo?
Io almeno speravo di sì.
«Forse hai ragione tu» ammisi alla fine. «Ma se per te è tutto chiaro, io continuo a non capire perché mi hai portato da Cordelia.»
Sascha affondò le mani ancora di più nelle tasche dei pantaloni, assumendo l’aria di un bambino testardo. «Be’, sai, casualmente avevamo parlato di te e voleva conoscerti.»
«Casualmente?»
Non rispose subito e si leccò le labbra. «D’accordo, non proprio casualmente» mormorò. «È stato per via dell’articolo di giornale su quanto era successo a te e alla tua amica. La notizia l’aveva turbata molto. Come è accaduto anche a me.»
Lo guardai negli occhi e, prima che lui potesse distogliere i suoi, colsi un lampo di tristezza.
«C’è qualcos’altro, Sascha. Non sei sincero fino in fondo. Deve esserci un motivo se ti interessa tanto quello che abbiamo vissuto Cordelia e io.»
Lui abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle.
«Perché vuoi sapere che cosa abbiamo visto?» lo incalzai. «A me puoi dirlo.»
Sascha tenne gli occhi fissi sui piedi, turbato e indeciso. «Magari un’altra volta» rispose alla fine.
Andò all’ascensore ma io non lo seguii. Dopo che la porta si fu richiusa alle sue spalle, rimasi da sola alla finestra a guardare fuori un mondo che improvvisamente mi appariva estraneo e diverso.
Ma non era il mondo a essere mutato, ero cambiata io.