Epilogo

Una settimana più tardi arrivò l’inverno e una notte cadde la prima neve. Era molto in anticipo, disse il meteorologo alla tv. Ma al clima non sembrava importare niente che fosse solo novembre. Faceva ciò che voleva, esattamente come la vita.

Il sabato del funerale di Vanessa il mondo era sepolto sotto uno spesso manto bianco. Il sole splendeva nel cielo cristallino e gli alberi innevati del cimitero erano costellati di ghiaccioli simili a lacrime congelate.

Rainer e Veronica Strach avevano rimandato il funerale per fare in modo che potesse partecipare anche Zoe. Per loro era importante che Zoe avesse modo di dare l’ultimo addio alla sorella.

«Ci aggrappiamo alla nostra esistenza e aneliamo a una vita appagante» disse Rainer Strach durante il discorso funebre, «e a volte ci risulta difficile accettare che non sempre otteniamo ciò che desideriamo. Credo che sia questa la sfida più grande della vita. Imparare a trarre il meglio da ciò che abbiamo, persino quando non è molto.»

A ben vedere seppellivano Vanessa per la seconda volta e non doveva essere facile per loro.

Mentre calavano il feretro nella fossa, pensai alla serata trascorsa con lei. Alle nostre chiacchiere, alla sua gioia per la pizza e il cinema, alle domande che mi aveva fatto per sapere tutto di me. Era affamata di vita.

Avevamo perdonato Vanessa, anche se ciò che aveva compiuto era ingiustificabile. Ma sapere di poter fare solo una volta nella vita cose che per altri erano del tutto scontate, dava loro un valore particolare. Un valore per il quale si era pronti a osare qualunque cosa.

Ma forse era un concetto comprensibile solo a chi era già morto una volta. Come me.

Dopo il funerale tornammo al parcheggio. Zoe faticava ancora a camminare e i genitori la sorreggevano.

Insieme a Ella, Sascha e io chiudevamo il gruppo, quando all’improvviso tra le lapidi notai un bambino. Doveva avere cinque o sei anni e mi fissava con grande serietà, come se mi conoscesse.

Non lo avevo mai visto prima. Non sembrava essere con nessuno dei presenti. Portava una giacca a vento rossa troppo leggera, jeans e scarpe da tennis e doveva essere congelato.

«Andate avanti, vi raggiungo subito» dissi a Ella dirigendomi verso il bambino.

Quando mi vide arrivare, la sua espressione si incupì di rabbia. «Perché sei scappata via da me?»

«Scappata via?» Lo guardai stupefatta. «Che cosa vuoi dire? Io non sono scappata via.»

«Invece sì!» Corrugò le labbra e mise il broncio. «Ho provato a trattenerti, per farti rimanere con me. Due volte. Ma tu hai gridato e sei scappata.»

«Io... non capisco» balbettai. «Di che cosa parli?»

Abbassò lo sguardo e cominciò a singhiozzare. «È tanto buio laggiù, e ho tanta paura.»

«Nikka?» Sascha mi venne vicino e mi guardò confuso. «Tutto a posto?»

Fui assalita da un brivido in tutto il corpo. «Io... questo bambino dice...»

Ma quando mi voltai, il piccolo era sparito. Nel punto in cui c’era stato la neve era intatta, e la crosta di ghiaccio che la ricopriva scintillava al sole.

«Un bambino?» Sascha si guardò intorno. «Che bambino? Era uno dei gemelli Strach? Ma sono già saliti in macchina con i genitori.»

«Evidentemente mi sono sbagliata» mormorai rabbrividendo.

Sascha mi cinse con un braccio. «Vieni, andiamo. Fa freddo qui.»

Oh sì, pensai. Ma c’è un luogo dove fa ancora più freddo. E più buio.

Arrivati alla macchina di Sascha, mi voltai un’altra volta e per un istante il respiro mi si bloccò. Rimasi paralizzata e attonita.

Dappertutto vedevo ombre scure. Si delineavano chiaramente sul terreno imbiancato. Erano sagome di uomini, donne e bambini e tutte sembravano guardare verso di me.

Più a lungo le fissavo, più se ne aggiungevano. Alcune di loro erano nitide quasi come il bambino di prima. Era tornato anche lui, stava a meno di venti metri da me, e mi guardava di nuovo con aria di rimprovero.

Alle sue spalle si stagliò un’ombra alta e magra che mi risultò spaventosamente familiare. Poi mi resi conto che non era Zoe, bensì una donna. Anche lei era di statura alta e aveva i capelli corti. Ma a guardare meglio, mi accorsi che i suoi erano quasi neri.

La donna posò una mano sulla spalla del bambino, quasi gli appartenesse.

«Ti ho portato dalla tua amica» mi sembrò che dicesse la sua voce. «Ti ho accompagnata e adesso spetta a te fare qualcosa per noi.»

Dovunque andiamo riportiamo sempre indietro qualcosa, aveva detto Cordelia. Io ero stata addirittura due volte nel luogo oscuro e ora mi rendevo conto che fin dall’inizio avevo riportato indietro molto più di una sola presenza oscura.

Non è finita, pensai, fissando l’esercito di ombre davanti a me.

Non sarebbe mai finita.

Non prima che tutto fosse finito.

Presenza oscura
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