12.
Mi aspettavo che Sascha mi portasse al bar per presentarmi la sua amica. Invece salimmo con l’ascensore al quinto piano e poi entrammo nell’ala sinistra dell’edificio.
Mi fermai brevemente davanti a una delle finestre lungo il corridoio ad ammirare il panorama. Da lassù la vista spaziava oltre la Waldklinik fino alla foresta di Fahlenberg. Nonostante il cielo novembrino coperto da basse nubi grigie, era una vista liberatoria. Fantasticai di percorrere uno dei numerosi sentieri nel bosco in sella alla mia mountain-bike, respirando il profumo delle foglie, degli aghi di pino, della resina e del muschio.
Bastò quest’immagine per farmi dimenticare tutto e darmi un po’ di forza. Ma poi il favoloso sentiero nel bosco mi portò alla radura dove Zoe e io avevamo trascorso innumerevoli giornate estive, e un’ombra tornò a posarsi su di me.
Sascha si accorse che mi ero fermata e tornò indietro. «Tutto a posto? Qualcosa non va?»
«No, va tutto bene. È solo che il panorama da quassù è stupendo. Peccato che in terapia intensiva non avessi finestre. Dal sesto piano avrei visto ancora più lontano.» Staccai lo sguardo dalle cime degli alberi in lontananza e tornai completamente nel presente. «Dimmi una cosa, chi è questa amica che andiamo a trovare?»
«Si chiama Cordelia» mi rispose. «Cordelia Gerlach. In realtà non è proprio un’amica, piuttosto una specie di paziente, ma è molto simpatica.»
«Hai salvato la vita anche a lei?»
«Non direttamente, ma ero presente.» Si schiarì la voce. «Ecco vedi, ha ottantadue anni e non ha più parenti. Perciò ogni tanto vado a trovarla. Però dovremmo sbrigarci, se vogliamo parlare con lei. Tra un’ora inizieranno le visite.»
Trovavo strano e nel contempo commovente che Sascha si dedicasse a questa anziana signora. Mi domandai se si sentisse responsabile non solo nei suoi confronti, ma anche nei miei. Soprattutto, però, ero curiosa di capire perché ci tenesse tanto che ci conoscessimo.
Proseguimmo fino al termine del corridoio dove c’era il reparto degenza privato.
Sascha bussò alla stanza 501. «Sì, avanti» disse una voce, e noi entrammo.
La camera era molto più spaziosa della stanza doppia che condividevo con la logorroica e famelica Babsi. Le pareti da noi erano bianche, mentre qui erano tinteggiate in ocra. Le sedie per i visitatori erano di legno e non di plastica, e sul tavolo c’era un vaso di fiori freschi. Anche l’odore era molto più piacevole, non sapeva affatto di ospedale. Se non fosse stato per gli apparecchi medicali accanto al letto, avrebbe potuto essere una camera d’albergo.
Ma nonostante la piacevolezza della stanza, c’era qualcosa che stonava. Non sapevo dire che cosa fosse, ma qualcosa lì dentro mi provocava uno strano formicolio alla nuca. Come uno spiffero d’aria fredda, sebbene la finestra fosse chiusa.
Cordelia Gerlach era seduta sul letto e al nostro ingresso alzò la testa da un libro. Era una donna magra dal volto rugoso e i capelli candidi raccolti in uno chignon. I suoi occhi azzurri ci guardarono con gioia.
«Ah, Sascha, siete voi! Che bello!» Mise via il libro e mi guardò. «Tu devi essere Nikka.»
«Buongiorno, signora Gerlach» le risposi ricambiando il sorriso.
«No, no, tesoro, ti prego di chiamarmi Cordelia. È più familiare e più breve. Alla mia età non c’è più tempo per le formalità.»
Fece una breve risata e indicò le due sedie accanto al tavolo.
«Prego, accomodatevi. Abbiamo parecchie cose di cui parlare e seduti si chiacchiera meglio. Volete un tè? Posso farvelo portare. Uno dei vantaggi della mia degenza di lusso.» Mentre parlava indicò la foto di nozze incorniciata posata con cura su una tovaglietta di pizzo bianco accanto al letto. «Il mio buon Hagen non era solo un ottimo banchiere, sapeva anche come ricavare il massimo dalle polizze di assicurazione. Perciò non fate complimenti. Che cosa posso farvi portare?»
Entrambi declinammo l’offerta, spostammo le sedie accanto al letto e ci mettemmo seduti.
«È un bravo ragazzo, Nikka» disse Cordelia ammiccando verso di me e indicando Sascha con il mento. «Nel caso tu non abbia ancora il fidanzato, dovresti approfittarne. Del resto ti ha salvato la vita e con questo ha già assolto alle due aspettative principali che noi donne abbiamo su un uomo. Che sia gentile e soprattutto utile. Ascolta il consiglio di una vecchia che ha goduto la vita a piene mani.»
Con la coda dell’occhio vidi Sascha arrossire un’altra volta. Avrebbe potuto fare concorrenza a un pomodoro maturo.
«Purtroppo il nostro tempo è limitato e non ho voluto vederti per parlare della vostra vita amorosa» proseguì, facendo arrossire anche me. Ma prima che potessi precisarle che tra di noi non c’era niente – a prescindere da ciò che Sascha poteva averle raccontato – l’espressione del suo viso tornò seria. «Volevo parlarti perché siamo state entrambe nello stesso luogo.»
«Come, scusi?»
La guardai meravigliata e lo strano lampo nei suoi occhi mi provocò la pelle d’oca.
«Ma sì, tesoro, parlo dell’altra parte.»
«Non capisco proprio a cosa si riferisca» dissi, deglutendo nervosa.
«Invece lo capisci benissimo, Nikka. Ma ti vergogni di parlarne, perché temi che così la gente possa giudicarti non del tutto sana di zucca. È così, o mi sbaglio?»
«Veramente, io... io...»
«Non preoccuparti» mi interruppe. «Qui siamo tra amici e io so perfettamente quello che provi. Abbiamo visto entrambe il tunnel e la luce e abbiamo sperimentato qualcosa a cui nessuno crederebbe se non c’è stato di persona. La cosa vale anche per questo giovane scettico qui accanto.»
Indicò Sascha con un breve gesto. Lui si schiarì la voce imbarazzato, ma lei non ci badò e tornò a guardare me.
«Tuttavia devo ammettere che io ci sono rimasta solo sette minuti» disse. «A quanto ne so la tua permanenza invece è stata tre volte più lunga, giusto? E deve esserti sembrata un’eternità. Per me è stato lo stesso.»
Annuii senza sapere che cosa rispondere. Poi guardai Sascha. «Come facevi a saperlo?»
Lui abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle. «Io... ecco... insomma, c’era qualcosa nel tuo sguardo la prima volta che abbiamo parlato. Qualunque cosa tu abbia visto in camera, ti ha spaventato a tal punto che non poteva essere di questo mondo.»
«Non di questo mondo» ripetei.
«Ecco... sì» balbettò. «Dopotutto lo hai visto solo tu.»
Era una situazione alquanto bizzarra. Mi sembrava di essere in un sogno. E per certi versi avrei persino desiderato che fosse solamente un sogno. Perché se Cordelia affermava di aver visto a sua volta il luogo oscuro, significava che esisteva davvero.
E io invece non volevo.
No, non lo volevo proprio!
«Avanti, non fare quella faccia» disse Cordelia prendendomi la mano. La sua era ossuta, ricoperta di macchie e così diafana che si vedevano le venuzze azzurre sotto la superficie. Aveva la pelle simile a carta, ma la sua stretta era calda e sicura e per qualche motivo confortante.
«Vedo che sei turbata, Nikka e che hai paura dei tuoi ricordi» riprese con voce morbida. «Ma non ne hai alcun motivo. Abbiamo semplicemente visto quello che prima o poi vedranno tutti. Chi prima, chi dopo. Per quanto mi riguarda, tornerò laggiù molto presto. Il mio vecchio cuore non sopporterà un’altra rianimazione. In tutta sincerità non lo vorrei nemmeno.»
«Come fa a essere tanto sicura che questo luogo oscuro esista davvero?» domandai. «Potremmo benissimo essercelo immaginato entrambe.»
Sorrise compiaciuta. «Sarebbe una coincidenza davvero singolare se avessimo immaginato entrambe la stessa cosa, non trovi? Inoltre non siamo certo le uniche ad averlo attraversato. Ci sono tantissimi altri che sono tornati da questo tunnel. Persone di tutto il mondo e di tutte le culture. Tutti quanti hanno visto la luce e molti anche... sì, le cose nel mezzo.»
Cominciai a tremare e la bocca mi divenne terribilmente secca.
«Io però non voglio credere che questo luogo sia vero» dissi e dovetti fare uno sforzo per non scoppiare a piangere. «Non posso crederlo! È stato orribile e non aveva assolutamente niente a che fare con il paradiso e cose simili. Era come l’inferno.»
«Ah, tesoro!» Cordelia sospirò. «Il paradiso e l’inferno e tutto il resto sono semplici invenzioni umane. Qui non si tratta di una questione di fede. Ogni religione e ogni credenza si fonda su un mito inventato dagli esseri umani. E perché lo fanno? Perché sono alla ricerca di risposte. Ma soprattutto perché temono che la loro morte possa essere definitiva. Che non resti niente di loro. Per questo ogni religione offre una vita nell’aldilà sotto varie forme: paradiso, inferno, reincarnazione, un modo qualunque per ’restare’. Ma noi due, e tutti quelli come noi, ora sappiamo come stanno le cose, vero?»
«No» risposi. «Io non so niente. Magari mi sono immaginata tutto. Il dottore dice che è normale avere delle allucinazioni. Dipende dallo stress e dalla roba che ho ingerito.»
Cordelia annuì, ma il suo sguardo diceva un’altra cosa. «Hai paura di ciò che hai visto, vero?»
Evitai il suo sguardo e mi abbracciai le ginocchia, in modo che non vedesse quanto mi tremavano le mani. Ero profondamente turbata e poi c’era sempre la strana sensazione che mi provocava quella stanza. Era tutto così sconvolgente e irreale.
Cordelia mi lasciò un attimo di tempo, poi mi domandò: «Ne vuoi parlare?»
Deglutii un’altra volta. Lanciai un’occhiata indecisa a Sascha che mi rivolse un cenno d’incoraggiamento.
«È tutto a posto. Puoi dirci ogni cosa, Nikka. Nessuno ti prenderà in giro o ti giudicherà pazza.»
«Non è questo. È solo che non sono sicura che poi non mi riterrò pazza da sola.»
«Il fatto che lo pensi dimostra già che non lo sei» osservò Cordelia. «Sei una ragazza riflessiva e ragionevole. Proprio per questo dubiti dei tuoi ricordi. Ma si tratta appunto di questo: ricordi, non invenzioni. Perciò abbi fiducia. Siamo tutti orecchie.»
Mi passai la mano tra i capelli, incerta. Per qualche motivo mi sembrava tutto terribilmente assurdo e mi sentivo a disagio.
Ma un’altra parte di me, più profonda, mi spingeva a raccontare ogni cosa. Per liberarmi, finalmente.
Che cosa sarebbe potuto accadere di tanto negativo? Probabilmente ridevano già tutti dei video in cui vomitavo. A confronto questa storia era innocua, giusto? Non potevo rendermi più ridicola di così. E se non altro qui non c’era nessuno a filmarmi.
«Posso uscire, se preferisci» disse Sascha, ma io scossi la testa.
«No, resta pure. Ve lo racconterò. Vi racconterò quello che credo di aver vissuto. Ma ciò non significa che sia vero, né che io ci creda, d’accordo?»
Cordelia non rispose. Si limitò a sorridere. Ma quando iniziai a parlare, la sua espressione tornò seria e attenta.
Cominciai da quando ero sulla pista da ballo. All’improvviso mi ero ritrovata per terra, circondata da visi deformi e voci mostruose.
Per questi fenomeni c’era una spiegazione logica, perciò mi risultò facile parlarne.
Ma poi arrivai a ciò che ritenevo di aver visto dopo. L’oscurità e le cose in agguato lì.
Continuavo a interrompermi, ma nella mia testa rivedevo tutte le scene chiaramente davanti a me. Come se le stessi rivivendo di nuovo.