71.

Quando raggiunsi il parcheggio del bosco ero trafelata e mi dolevano le costole. Ma l’adrenalina che avevo in corpo smorzava tutti i dolori.

Scesi dalla bicicletta e mi guardai intorno. Nessuna macchina e nemmeno un’anima in giro.

L’aria era fresca e permeata del tipico odore umido di foglie marce e funghi autunnali. In questo punto lontano dalla strada regnava il silenzio. Si sentiva solo il fruscio degli alti abeti nel vento di novembre e il verso lontano di un picchio.

A poca distanza da me udii degli schiocchi e dei fruscii nel sottobosco, ma si trattava di qualche animale. Lo avevo disturbato con la mia presenza e lo avevo messo in fuga.

Percorsi lentamente il sentiero nel bosco e non rimasi troppo sorpresa quando alla fine scorsi il motorino rosso di Zoe. Era parcheggiato sul ciglio del sentiero accanto a una catasta di legna.

Vanessa era seduta poco distante su un tronco abbattuto. Avevo immaginato che sarebbe arrivata prima di me per controllare la zona.

Indossava la giacca a vento blu di Zoe e i suoi jeans scuri. Se non avessi saputo la verità, avrei creduto veramente che quella lì ad aspettarmi fosse Zoe. Ancora una volta, pensando alla loro somiglianza, rabbrividii.

Ma non era Zoe, perché quello non era il posto dove lei mi avrebbe aspettato. Vanessa aveva imparato parecchie cose su di noi, ma evidentemente ancora non tutte.

Quando mi vide arrivare, si alzò sorridente e mi venne incontro con due tazze di carta.

Adesso siamo solo noi due. Io e la mia assassina.

«Ciao Nikka, che puntualità!»

«Anche tu» risposi, facendo uno sforzo per tenere a bada una nuova ondata di collera. Vanessa sembrava di ottimo umore e questo mi rendeva furiosa.

«Tieni.» Mi porse una delle tazze con un sorriso. «Ti va un infuso alla frutta?»

Per un attimo ci misurammo con gli sguardi, poi il suo sorriso si allargò.

«Ma dai, era solo uno scherzo! È il solito caffellatte del distributore. Come sempre.»

«Come sempre, ah ah.»

Guardai la tazza che mi era familiare in maniera inquietante. Come diavolo faceva a sapere che quando ci incontravamo Zoe spesso mi portava del caffellatte?

«C’è solo caffellatte dentro?»

Vanessa bevve un sorso poi mi porse di nuovo la tazza. «È un po’ freddo, ma è sempre buono.»

«Credo che possa bastare così» dissi senza reagire. «Non so come tu abbia fatto a imparare tutte queste cose su Zoe e me, ma adesso smettiamola con questa sceneggiata.»

«Ma quale sceneggiata?»

Mi guardò con aria innocente, come se le mie parole la stupissero, ma un lampo nei suoi occhi la tradì.

«Lascia perdere, d’accordo? So chi sei veramente, Vanessa.»

La sua espressione si fece subito seria. Per qualche istante restammo in silenzio a guardarci. Era come quel gioco che facevamo da bambine Zoe e io: chi resisteva più a lungo senza batter ciglio? Solo che con Vanessa non sarebbe finita con una risata.

Alla fine lei ritirò il braccio proteso con la tazza.

«D’accordo, se non lo vuoi.»

Gettò la tazza facendo schizzare il contenuto in un ampio arco lontano da sé. Un fiotto di latte e caffè si spiaccicò sul terreno coperto di muschio. Poi mi porse la mano aperta.

«E adesso mostrami il cellulare!»

«Perché?»

«Voglio essere sicura che non registri la nostra conversazione. Non sarebbe carino. Soprattutto per Zoe.»

«Credi che non lo sappia?»

Alzò gli occhi al cielo. «Credere è una cosa, Nikka, ma sapere è sempre meglio.»

Tirai fuori il cellulare dalla tasca del giaccone e le mostrai che era spento.

«Bene» dissi poi. «Adesso voglio sapere dov’è Zoe. Che cosa le hai fatto? È ancora viva?»

Vanessa alzò la testa e inspirò a fondo dal naso. «Lo senti questo odore? Aghi di pino umidi. Mi piace tantissimo. È così... pieno di vita! Vi siete trovate proprio un posticino magnifico. Anche a casa mia c’era un posto così. Una panchina su una collina al limitare del bosco. Sotto si vedevano passare spesso i treni e mi piaceva immaginare di prenderne uno e andare chissà dove. Non aveva importanza. Quello che contava era andarmene dai medici e dai farmaci e da tutta quella merda. Iniziare una nuova vita. Scommetto che sai che sono malata, vero?»

«Sì, lo so.»

«Come lo hai scoperto?»

«Me lo ha detto la dottoressa che ti aveva in cura da bambina.»

Annuì ammirata. «Complimenti, hai fatto delle ricerche approfondite.»

Uno stormo di corvi si alzò in volo e ci passò sopra la testa. I loro versi gracchianti ruppero il silenzio del bosco. Vanessa li seguì con lo sguardo, poi tornò a posarlo su di me.

«Credo che tutti abbiano bisogno di un posto così» disse. «Un luogo dove rifugiarsi quando non ce la facciamo più. Solo che, al contrario di voi, io purtroppo non avevo un’amica con la quale condividere questo luogo.»

Pronunciò l’ultima frase in tono malinconico, e a me tornarono in mente le parole della sua madre adottiva. Che Vanessa non era una persona facile e per questo non aveva amici. Ma in quel momento non me ne importava niente. «Non hai risposto alla mia domanda. Dov’è Zoe?»

Bevve un sorso dalla sua tazza e mi sorrise di nuovo. «Sai una cosa? Ho trovato i diari di mia sorella. Molto interessanti. Adesso so anche che cosa volevi dimostrare con gli Oreo. A Zoe piacevano molto, vero?»

Deglutii, avevo la gola secca. «Piacevano? Perché al passato?»

Lei si strinse nelle spalle. «Io preferisco la roba salata. Brezel e patatine e cose del genere. E mi piacciono i ragazzi. In questo sono del tutto diversa da lei. A proposito, il tuo amico è proprio carino. Vi ho visto solo dalla finestra, ma si capisce che tra di voi c’è qualcosa. Personalmente lo trovo troppo magro, ma dopotutto che cosa conta l’aspetto esteriore? Lui è informato?»

Non risposi e sostenni il suo sguardo indagatore.

«Lo immaginavo» disse. «È un peccato che vogliate rovinarmi tutto.»

«Noi ti rovineremmo tutto?» esclamai rabbiosa. «Non dirai sul serio, vero? Ti rendi conto di quello che hai fatto a noi

Fece un sospiro e si trascinò di nuovo verso il tronco caduto. Poi si mise a sedere lentamente. Aveva il respiro improvvisamente affannato, come se le mancasse l’aria.

«Che storia è questa?» domandai alzando la mano in un gesto sprezzante.

«Passa subito.»

Trascorse qualche istante, poi il respiro le tornò normale. «Queste crisi del cavolo. Alla mamma ho detto che sono attacchi di panico, ma se si ripetono troppo spesso...»

«Smettila di chiamarla così!» esclamai. «Non è la tua mamma!»

Vanessa mi guardò seria. «Non tirartela tanto, Nikka. La prima volta che ci siamo incontrate anche tu hai pensato che fossi Zoe, vero?»

Non risposi e lei si rigirò nervosa il bicchiere di carta tra le mani. Le mie parole avevano colto nel segno e provai un impeto di soddisfazione. Vanessa aveva il coltello dalla parte del manico, per quanto riguardava Zoe, ma aveva anche le sue debolezze.

«Non c’è bisogno che tu mi risponda» mormorò. «Te l’ho visto negli occhi. Ci assomigliamo davvero moltissimo, Zoe e io. E non mi riferisco solo all’aspetto esteriore. Certo, c’è qualche differenza, come sempre, ma dopo aver letto i suoi diari, ho capito di essere fondamentalmente come lei. Solo che non mi è toccato il biglietto vincente. Lei era quella felice e sana, mentre io...» Sospirò e fece un gesto vago con la mano. «Merda, tanto hai capito che cosa intendo.»

Sì, lo sapevo, ma non era una spiegazione valida per me. «Perché fai tutto questo, Vanessa?»

Lei alzò la testa e mi guardò. Aveva abbandonato anche l’ultima maschera. Riconobbi la ragazza arrabbiata e triste della foto che mi aveva inviato la madre adottiva.

«Mi prendo solo quello che mi spetta, Nikka.»

La guardai sorpresa. «Quello che ti spetta?»

«Una vita normale» disse scandendo ogni parola. «Fino a quattro anni ho conosciuto solo ospedali e orfanotrofi. Non hai idea di come sia! Non ho mai avuto amici veri. I bambini che conoscevo venivano adottati o trasferiti in altri ospedali. Oppure morivano. Alla fine sono sempre rimasta da sola.»

«Ma poi sei stata adottata anche tu» ribattei. «E i tuoi genitori adottivi ti volevano bene.»

Socchiuse gli occhi. «Hai forse parlato con loro?»

«Sì. Sono convinti che tu ti sia tolta la vita. Gli hai spezzato il cuore.»

«Ah, davvero?» Sbuffò sprezzante. «Allora voglio raccontarti una cosa. Certo, all’inizio ero felicissima di stare lì, perché finalmente avevo una casa. Non avevo trovato amici perché dovevo sempre andare all’ospedale o a fare delle cure, ma andava bene così, mi bastava avere una famiglia. Delle persone con le quali stare e che fossero tutte per me. Ma poi all’improvviso Veronica è rimasta incinta.»

Guardò di nuovo il bicchiere. Le mani le tremavano. Lo accartocciò, facendo saltare via il coperchio e rovesciandosi il contenuto sulle dita.

«Mi ha mentito» mormorò. «Mi ha detto che non poteva avere figli. Che era tanto contenta di avere me. Erano solo bugie!»

Fece una smorfia disgustata e lanciò il bicchiere accanto all’altro. «Quando sono arrivati i gemelli, io sono stata messa da parte. Non gliene importava più niente di me. Proprio nel periodo in cui avrei avuto più bisogno di loro.»

«Eri gelosa dei tuoi fratelli?»

Lei fece una risata asciutta. «Ti ci metti anche tu? Parli come loro. ’I bambini piccoli hanno bisogno di maggiori attenzioni, devi capirlo, Vanessa.’ Come se fossi stupida. Io volevo capirlo, ma...»

Scosse la testa, raccolse una pigna e la scagliò lontana da sé in un gesto rabbioso.

«Dici sul serio?» Ero sgomenta. «È per questo che hai gettato Zoe e me in questo inferno? Perché non eri più la prediletta della mamma?»

Mi guardò infastidita. «Merda, tu non capisci proprio niente! Non hai idea di che cosa si prova a essere da soli in terapia intensiva, con la paura che tutto possa finire al più presto. E poi la mamma ti chiama e si scusa ancora una volta perché non può venire a trovarti. Perché uno di quei mocciosi ha l’influenza. Un’influenza ridicola, capisci? Mentre io devo aspettare un cuore nuovo! Un cuore che oramai non arriverà più in tempo!»

«Grazie a te so benissimo che cosa si prova a essere in terapia intensiva e a temere per la propria vita» ribattei piena di rabbia. «Se non ti fosse ancora chiaro, Vanessa, tu mi hai ammazzato! Sono rimasta morta per ventuno minuti. Mi hai ucciso a sangue freddo!»

Lei abbassò gli occhi. «Non volevo. Davvero, non volevo.»

«Ah sì?» sbottai, facendo uno sforzo per non aggredirla. Come se potesse cavarsela in quel modo! «E non volevi uccidere nemmeno Gabi Neumann?»

Alzò di scatto la testa sbigottita. «Uccidere? Ma io non l’ho uccisa!»

Si capiva che non fingeva. Diceva sul serio. Però mi risultava difficile crederle. «Ma è morta, giusto?»

Vanessa annuì e mi guardò con aria turbata. «Non sono stata io! Ha fatto tutto da sola. Per quel tipo sposato con il quale aveva una storia. L’ho letto nella lettera di addio che aveva lasciato nel suo appartamento.»

«No, nel suo appartamento non c’era nessuna lettera di addio.»

Sollevò di scatto le sopracciglia. «Sei stata anche lì? Wow! Ho nascosto la lettera in modo che quell’insopportabile portinaio non la trovasse subito.» Sospirò. «Devi credermi, Nikka, non potevo aiutarla, perché ero troppo lontana. Ero seduta in alto sulla mia panchina e l’ho vista. L’ho vista saltare davanti al treno.»

Sì, le credevo. «Poi hai raggiunto il cadavere e hai scambiato le tue scarpe con le sue?»

Annuì evitando il mio sguardo. «È stato sciocco, ma non me ne vergogno. Era un segno, capisci? Non mi serviva nemmeno prendere un treno per cambiare vita. È bastato raccattare la sua borsa, salire sulla sua macchina, andare nel suo appartamento e preparare tutto quanto.»

Si passò la mano tra i capelli corti e spettinati, esattamente come a volte faceva Zoe. «Quando mi sono tagliata i capelli, sono diventata Zoe. E ho deciso di essere lei completamente.»

«Come facevi a sapere dell’esistenza di Zoe?»

Si strinse nelle spalle. «Ho sempre percepito la sua presenza. Che ci fosse qualcuno molto vicino a me. Molto simile ai dolori fantasma, sai. Ti rendi conto che manca una parte di te. E sai la cosa buffa? La stessa cosa deve essere successa a lei. L’ha scritto un paio di volte nel diario.»

Era vero. Zoe me ne aveva parlato già da un po’ di tempo. Ci trovavamo a poca distanza da qui, nel nostro vero posto segreto. Ma non stavamo parlando di fratelli o sorelle, bensì del partner ideale.

Zoe era convinta che fosse là fuori da qualche parte e che a volte fosse possibile sentirne la presenza, pur non conoscendolo.

La propria metà con la quale si diventa un intero, aveva detto, senza rendersi conto a chi si riferisse per davvero.

Ma quello lo tenni per me.

«Ho sempre creduto che fosse solo un anelito ideale» disse Vanessa. «All’orfanotrofio è il desiderio di tutti i bambini. All’improvviso spuntano i genitori più fantastici del mondo e ti portano a casa con loro. Lieto fine! Hai dei fratelli della tua età e non sei soltanto una baby-sitter economica per due pesti che non ti sopportano. Sai quanto fa male sentire due merdosetti come loro dirti che non sei la loro vera sorella? E come se non bastasse, erano pure gemelli. Che ironia del destino, non trovi?»

Non le risposi.

«Avrei sempre voluto avere anche dei bravi nonni» proseguì. «Una nonna affettuosa, che la sera mi leggesse delle storie. Invece che cosa ho avuto? Un vecchio burbero e inacidito che non perdeva occasione di dire che per suo figlio avermi adottato era stato il suo più grande errore. Solo perché non corrispondevo alla sua immagine di nipotina ideale. Che vada al diavolo!»

Si guardò i piedi e vidi una lacrima scorrerle sul viso. «E poi, un giorno, sfogli il giornale. Così, solo perché è sul tavolo. Vedi una foto e all’improvviso tutto diventa diverso.»

«A quale foto ti riferisci?»

«Quella della squadra di pallamano di Zoe. Erano venute da noi in trasferta e hanno vinto.»

Avrei voluto darmi una pacca sulla fronte. Ma certo! La vittoria contro il Geislingen!

La squadra di Zoe aveva ottenuto la coppa. Doveva essere stato a maggio o a giugno. Il giorno dopo avevo partecipato con lei alla festa per la vittoria in palestra.

Sul Fahlenberger Bote era stato pubblicato un lungo articolo sulla partita, naturalmente dovevano averne parlato anche a Geislingen.

«L’ho vista nella foto e sono rimasta sconvolta» disse Vanessa. «La somiglianza era così forte che ho subito capito che cosa fare. Ho preso un treno e sono venuta da voi a Fahlenberg. Quando ho trovato Zoe, non ho più avuto dubbi. Vi ho seguito. Siete andate in quella gelateria. Vi ho guardato ma voi non ve ne siete accorte.»

«Perché non hai detto niente?» domandai con sincero stupore. «Saresti potuta venire da noi. Zoe sarebbe stata contentissima di conoscerti.»

Lei scosse la testa. «Tu non puoi capire, Nikka.»

«Allora spiegamelo. Me lo devi!»

«Va bene.» Guardò le felci che frusciavano nel vento. Sembrava che ammiccassero verso di noi. «Quando vi ho visto, ho provato rabbia, una rabbia spaventosa. Non era colpa vostra, ma di tutta la situazione. Ho visto Zoe seduta lì, sana, che rideva, e aveva persino una vera amica del cuore. Mi sono subito resa conto del vostro legame. Così intenso che non vi siete neppure accorte di me. Ero seduta a un tavolo di distanza da voi. E da lì ho visto tutto ciò che non avrei mai avuto.»

«Eri invidiosa di tua sorella e per questo hai...»

«Lei aveva tutto ciò che io non avevo» mi interruppe brusca. «E l’aveva avuto per tutta la vita. Mi sono sentita tradita. Zoe era una parte di me. Era uguale a me, era come me, ma al contrario di me aveva ottenuto solo cose buone. Era così... ingiusto

«Ma non è colpa di Zoe.»

«Volevo giustizia, Nikka. Una possibilità. Volevo essere come lei per una volta!»

«Per questo hai rapito Zoe e hai ucciso me?»

Balzò in piedi scendendo dal tronco e mi incenerì con lo sguardo.

«Santo cielo, ti ho già detto che mi dispiace! Che cosa devo fare ancora? Mettermi in ginocchio? Non avevo idea che quella roba fosse tanto forte. A leggere su Internet sembrava più innocua. Inoltre il cocktail non era per te. Pensavo che Zoe ne avrebbe bevuto un paio di sorsi e poi si sarebbe sentita male e io...» Fece un gesto vago. «Tanto, ormai, è la stessa cosa!»

«No, non è la stessa cosa, Vanessa! Dimmi che cosa le hai fatto! Dov’è?»

Soffiò fuori fiato emettendo un sibilo e si appoggiò sfinita al manubrio del motorino. Ci volle qualche tempo prima che riuscisse a parlare di nuovo. «Non mi rimane più molto tempo, Nikka.»

Lo disse con voce flebile e spezzata. «I risultati degli ultimi esami sono disastrosi. E non mi andava più di aggrapparmi alla speranza di quella stupida lista d’attesa. Così, grazie a Gabi Neumann, ho chiuso ufficialmente con tutta quella roba. Tanto, prima che si trovi un cuore adatto a me, me ne sarò comunque già andata.»

«Mi spiace» dissi sincera. «Questo però non giustifica niente di ciò che hai fatto. A volte la vita è ingiusta, ma non migliora se ne fai pagare le spese a qualcun altro.»

Fece un sorriso acido e si strinse nelle spalle. «Lo dicevo io che non avresti capito.»

«Vanessa, dov’è Zoe?»

Piegò la testa all’indietro e con lo sguardo seguì due scoiattoli sopra di noi che si inseguivano facendo versi striduli sui rami. Un’altra lacrima le rigò la guancia e si affrettò ad asciugarla.

«E va bene» capitolò. «Te lo dirò. Ti ci porterò addirittura.»

Sentii un tuffo al cuore. «Vuoi dire che è viva?»

«Ti racconterò tutto, va bene? Ma prima devi fare qualcosa per me.»

«È un ricatto?»

Lei mi guardò seria. «Nikka, io non ho più niente da perdere. Zoe invece sì. Allora?»

«D’accordo» dissi. «Che cosa vuoi da me?»

«Il tuo cuore.»

«Il mio... cuore?» Rimasi senza respiro.

Vanessa mi fissò fredda, poi di colpo scoppiò a ridere. «Ci hai creduto sul serio? Ehi, era una battuta, Nikka! Mai sentito parlare di umorismo nero?»

Continuava a ridere, mentre io tremavo ancora da capo a piedi. O era del tutto fuori di testa, oppure aveva il sarcasmo più macabro che avessi mai sentito.

«Bene» tagliai corto. «Ti sei divertita. Adesso dimmi una buona volta ciò che vuoi veramente.»

La sua espressione tornò seria. «Voglio passare una serata con te.»

«Cosa?»

«Sì, hai capito. Voglio uscire con te e spassarmela. Come due amiche del cuore. Come faresti con Zoe. Un film, un bar, magari un boccone insieme prima.»

La guardai allibita. «Tutto qui?»

Annuì. «Tutto qui. Per te forse non è niente di speciale, ma per me lo è. E dopo ti porterò da Zoe.»

«Significa che è ancora viva?»

«L’ultima volta che l’ho vista era ancora viva, sì.»

«Quando è stato?»

«Poco prima del mio...» Alzò le mani e con le dita fece il segno delle virgolette. «Ritorno

La sua risposta mi fece accapponare la pelle. «Ma è passata quasi una settimana!»

Annuì di nuovo con espressione indifferente. «Lo so. Di sicuro non le rimane più molto tempo. Come a me. Quindi stasera usciamo insieme e poi ti porterò da lei. Dopo non mi importa che cosa farete di me.»

«Come faccio a sapere che non mi stai mentendo?»

«Perché te lo prometto.»

Si mise il casco e salì sul motorino. Poi fece un tratto di strada fino a venirmi accanto e alzò la visiera.

«Puoi credermi oppure no, Nikka. Ti aspetto alle sei e mezzo a casa mia. A proposito, se racconti a qualcuno della nostra conversazione, non rivedrai più Zoe. Anche questa è una promessa.»

Presenza oscura
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