33.
Non fu affatto facile trovare l’indirizzo di Tuta di pelle alla vecchia maniera, ma dopo avere scartabellato un po’, lo scovai. Malte e Romina Schuster abitavano al numero 19 di Robert-Hertz-Strasse. Per fortuna, grazie alla mia attività di consegna giornali, sapevo dove si trovava. Altrimenti senza Google Maps l’avrei cercata all’infinito.
La villetta unifamiliare degli Schuster sorgeva in un quartiere nuovo ed era a una certa distanza dalla fermata dell’autobus. Quando finalmente ci arrivai, ero sfinita e così intirizzita da non sentire quasi più la mano con la quale reggevo l’ombrello.
Sulla staccionata del giardino erano appesi nastri e palloncini colorati sferzati dalla pioggia. Accanto al marciapiede era parcheggiato un furgoncino rosso con la scritta PETER MAGICUS – Magie per grandi e piccini. Lasciatevi incantare!
Ed era proprio quello che stava facendo il mago, perché dalla porta d’ingresso accostata degli Schuster mi giunsero le risate e gli applausi di numerosi bambini.
Bene. Sono arrivata. E adesso?
Per tutta risposta notai Romina Schuster in piedi sotto la serranda del garage aperto a fumare una sigaretta. Indossava un pesante pullover di lana e continuava a passarsi la manica sul viso per asciugare le lacrime.
Aveva un aspetto ancora più provato della volta precedente in ascensore. Non aveva più niente in comune con la donna che rideva nel ritratto di famiglia. Era molto più magra, il viso non era più abbronzato, bensì pallido, e i capelli biondi raccolti in una treccia erano opachi e ispidi.
Durante il tragitto in autobus avevo riflettuto su che cosa avrei fatto una volta arrivata e ancora non avevo trovato una risposta soddisfacente. Sapevo solo che era giusto essere andata lì. Perciò seguii l’istinto, raccolsi tutto il coraggio e mi avvicinai a Romina Schuster.
Quando mi vide, mi rivolse un cenno di saluto e soffiò fuori il fumo di lato.
«Sei la sorella di Maximilian?» Aveva la voce roca e stanca. «Se sei venuta a prenderlo, ti pregherei di aspettare qualche minuto. Il mago dovrebbe finire a momenti.»
«Buongiorno, signora Schuster.» Avevo la voce incrinata dall’agitazione e me la dovetti schiarire. «No, non sono venuta a prendere nessuno. Mi chiamo Nikka Farlandt. Anch’io ero nel reparto di terapia intensiva, nella camera proprio accanto a quella di suo marito.»
Mi guardò confusa e aspirò un tiro di sigaretta, poi nei suoi occhi si accese un lampo di riconoscimento. «Ah sì, ora ricordo. Sei la ragazza che è stata rianimata?»
Annuii. «Mi spiace tantissimo per suo marito.»
Lasciò cadere a terra la sigaretta, la calpestò e se ne accese subito un’altra. Le mani le tremavano, non riusciva a tener fermo l’accendino. Quando alzò gli occhi, si accorse che la guardavo.
«Sì, lo so, non dovrei» disse con un lungo sospiro. «Avevo smesso di fumare quando sono rimasta incinta di Luca. Ma adesso... È così difficile! Mi sento impotente, vulnerabile. Non posso fare niente. Amo mio marito, abbiamo comprato questa casa giusto due anni fa e nostro figlio andrà a scuola in autunno. Siamo ancora al principio. E adesso invece perderò Malte per sempre.»
Dalla casa provenne uno scroscio di applausi entusiasti e un suono di risate. Poi ci fu un tramestio di sedie e un bambino gridò qualcosa in merito a una torta. Il magico Peter alla fine doveva aver fatto un gioco di prestigio particolarmente riuscito e adesso stava per andarsene.
Romina Schuster si asciugò una lacrima e indicò verso la casa. «Oggi è il compleanno di Luca. Non me la sono sentita di annullare la festa. Ha già sei anni, ma ancora non si rende conto fino in fondo di quello che è successo. Come potrebbe? È così difficile anche per me. È sempre convinto che il suo papà tornerà a casa sano e salvo. Perché gli ha promesso una sorpresa.»
«Una sorpresa?» Quella parola fece scattare qualcosa dentro di me.
Romina annuì con un singhiozzo. «Sì, una cosa speciale. Malte voleva regalarla a Luca per il compleanno. Doveva essere una sorpresa, tanto che non ha rivelato neppure a me che cosa fosse. E adesso non lo scopriremo mai e non ho il coraggio di dirlo a mio figlio. Che non ci sarà nessuna sorpresa e che... che non rivedrà mai più il suo papà.»
Con un gesto di rabbiosa disperazione scagliò la sigaretta tra le rose. Poi mi voltò le spalle, per non farsi vedere piangere.
Rimasi immobile, domandandomi che cosa dovessi fare. Che cosa voleva Malte Schuster da me?
Mi venne in mente una cosa che Ella mi ripeteva spesso quando ero piccola: Spesso non è facile dire la verità, ma serve sempre.
Deglutii con forza. «Signora Schuster, ho visto suo marito. Sono rimasta morta per ventuno minuti e l’ho incontrato dall’altra parte. Credo che le voglia dire qualcosa. Per questo sono qui.»
Era sempre voltata di spalle, ma mi resi conto che si era irrigidita. Smise di colpo di singhiozzare. Poi si girò lentamente e mi guardò con gli occhi rossi e sgranati.
Per qualche istante pensai che volesse alzare la voce. Che volesse mandarmi al diavolo. Dirmi che ero pazza e che avrebbe chiamato la polizia.
Qualcosa del genere.
Invece rimase in silenzio e mi osservò con attenzione. Poi annuì, come se qualcosa le avesse confermato che stavo dicendo la verità.
«Che cos’è?» chiese con un filo di voce. «Cosa vuole dirmi Malte?»
Scrollai le spalle perplessa. «Non saprei, ma se era così importante per lui, forse ha a che fare con questa sorpresa. L’ha già cercata?»
Si passò una mano sul viso, esausta. «Certo. In tutta la casa, ma non ho trovato niente.»
In tutta la casa.
Quelle parole mi fecero tornare in mente il gesto di Tuta di pelle. Aveva tracciato con le dita un disegno di un tetto e dei muri.
Una casa che non è una casa.
Non c’erano molte alternative possibili. E dato che non c’era un capanno degli attrezzi, restava una sola possibilità.
Gettai un’occhiata al garage aperto. Era occupato da una BMW di grassa cilindrata, ma era molto grande e la parte posteriore era attrezzata come un’officina.
Dietro un banco da lavoro erano appesi in bell’ordine degli attrezzi. Accanto c’era un ripiano con viti, bulloni e altri pezzi di ricambio; diversi manifesti pubblicitari di motociclette e una foto ingrandita di Malte Schuster con il figlio occupavano la parete di destra. Lui e Luca portavano tute da meccanico impiastricciate d’olio e sorridevano con il pollice sollevato accanto a una motocicletta smontata.
«Mio marito aveva l’hobby del motocross» disse Romina che aveva seguito il mio sguardo. «Partecipava a un sacco di gare e Luca lo accompagnava sempre. Malte lo ha letteralmente contagiato con il suo entusiasmo. Luca vuole diventare come suo padre. Avresti dovuto vederli, quando trafficavano intorno alla vecchia moto di Malte. Si divertivano così tanto che a volte mi chiedevo chi fosse il più bambino tra i due.»
Sul viso le affiorò l’ombra di un sorriso, ma si trasformò subito in una smorfia di rabbia. «Quella maledetta motocicletta! Gli dicevo sempre di essere prudente. Fosse stato per me, avrebbe dovuto venderla da tempo. Con quei cosi è sufficiente distrarsi un attimo e...»
Tacque, tirò su col naso e si frugò nelle tasche dei jeans. Poi tirò fuori un fazzoletto di carta usato e si soffiò il naso.
Cambiare prospettiva, pensai.
Tuta di pelle aveva indicato verso il basso, almeno dal suo punto di vista. Notai una serie di assi piuttosto larghe sul pavimento del garage. Dovevano coprire una fossa di lavoro, come quella del garage di Otto, un conoscente di Ella che ogni tanto le sistemava la vecchia Fiat. La fossa di Otto era così profonda che un uomo poteva starci in piedi, perciò anche questa doveva essere simile. C’era posto sufficiente per nascondere qualcosa.
«Ha già controllato lì dentro?» Indicai la fossa.
Romina Schuster scosse lentamente la testa, quasi che le fosse venuto il mio stesso pensiero.
Ci inginocchiammo e spostammo un’asse dopo l’altra. Arrivate a scoprire all’incirca metà della fossa, vedemmo all’interno qualcosa di bianco che luccicava e poi capimmo di che cosa si trattava.
Romina Schuster lanciò un grido tra lo stupito e lo sgomento.
«Eccola! Oh mio Dio, eccola!»
Mi guardò e aveva gli occhi pieni di lacrime.
Nella fossa c’era una motocicletta elettrica da bambini. Era identica a quella di Malte Schuster sulla foto, soltanto più piccola. Aveva dei nastri colorati fissati al manubrio e sul sedile era appoggiato un casco da bambini azzurro con una scritta a grandi lettere argentate: LUCA.