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Era sabato mattina e Morrison stava rimettendosi in sesto. Aveva provveduto ai bisogni materiali. Aveva fatto colazione e si era lavato. Si era anche parzialmente vestito.
Ora era steso sul letto, le braccia dietro la testa. Fuori il tempo era nuvoloso, e lui aveva lasciato a metà il livello di trasparenza della finestra perché voleva un po’ di intimità. Dopo essere sbarcato dall’aereo ed essere stato condotto con la massima celerità nel suo nascondiglio attuale, per diverse ore era stato oggetto di tante attenzioni ufficiali che si era chiesto se negli Stati Uniti stesse davvero meglio che in Unione Sovietica.
I dottori finalmente avevano terminato i loro esami, le domande iniziali erano state fatte e avevano ottenuto risposta, anche durante la cena, e infine Morrison aveva potuto dormire in una stanza che si trovava all’interno di qualcosa che assomigliava a una fortezza, visti gli apparati di sicurezza di cui disponeva.
Be’, almeno non doveva affrontare la miniaturizzazione. C’era sempre questo pensiero a consolarlo.
La spia luminosa della porta lampeggiò e. Morrison alzò una mano cercando sulla testiera il pulsante che avrebbe reso trasparente il riquadro visivo monodirezionale della porta. Riconobbe la faccia e premette un altro pulsante che consentiva alla porta di essere aperta dall’esterno.
Entrarono due uomini. Quello dalla faccia familiare apparsa nel riquadro visivo disse: «Vi ricordate di me, spero.»
Morrison non accennò ad alzarsi dal letto. Era il centro attorno a cui tutto ruotava, almeno per il momento, e lui ne avrebbe approfittato. Si limitò ad alzare il braccio in un saluto distratto e disse: «Siete l’agente che voleva che andassi in Unione Sovietica. Rodano, giusto?»
«Francis Rodano, sì. E questo è il professor Robert G. Friar. Lo conoscete, immagino.»
Morrison esitò, poi la cortesia lo indusse a sporgere i piedi dal letto e ad alzarsi. «Salve, professore. So chi siete, certo, e vi ho visto spesso in olovisione. Sono felice di conoscervi personalmente.»
Friar, uno degli “scienziati visibili”, che grazie alle fotografie e alle apparizioni olovisive era un personaggio noto in gran parte del mondo, fece un sorriso forzato. Aveva una faccia rotonda, occhi azzurro chiaro, una grinza verticale che sembrava permanente tra le sopracciglia, gote rubiconde, un corpo robusto di statura media, e il vizio di guardarsi attorno irrequieto.
Disse: «Voi, immagino, siete Albert Jonas Morrison.»
«Esatto. Il signor Rodano garantirà per me. Prego, sedetevi, e scusate se continuo a rilassarmi sul letto. Ho circa un anno di relax da recuperare.»
I due visitatori si accomodarono su un grande divano e si sporsero verso Morrison. Rodano abbozzò un sorriso incerto. «Non posso promettervi molto relax, dottor Morrison. Almeno per un po’. A proposito, abbiamo appena ricevuto un messaggio dalla Ashby. Vi ricordate di lei?»
«La cameriera che ha capovolto la situazione? Sì, certo. Senza di lei...»
«Conosciamo gli elementi essenziali dell’episodio, Morrison. Vuole che sappiate che i vostri due amici si sono ripresi e a quanto pare vanno ancora d’amore e d’accordo.»
«E la Ashby? Mi ha detto che era pronta ad andarsene se Washington l’avesse ritenuto opportuno. L’ho riferito la notte scorsa.»
«Sì, la tireremo fuori in un modo o nell’altro... E adesso, temo che dobbiamo importunarvi ancora.»
Morrison corrugò la fronte. «Quanto durerà questa volta?»
«Non lo so. Dovete adattarvi... Professor Friar, volete procedere?
Friar annuì. «Dottor Morrison, vi spiace se prendo appunti?... No, permettetemi di riformulare la frase... Prenderò appunti, Morrison.»
Estrasse una piccola tastiera di computer, un modello avanzato, dalla sua valigetta.
Rodano chiese pacato: «Dove finiranno gli appunti, professore?»
«Nel mio congegno di registrazione, signor Rodano.»
«Che è dove, professore?»
«Nel mio ufficio alla Difesa.» Poi, leggermente irritato dallo sguardo fisso dell’altro, Friar aggiunse: «Nella cassaforte del mio ufficio alla Difesa, e sia la cassaforte che il congegno di registrazione sono protetti da codici sicuri. Soddisfatto?»
«Procedete, professore.»
Friar si rivolse a Morrison. «È vero che siete stato miniaturizzato, Morrison? Voi, personalmente?»
«Sì. Al livello più piccolo, avevo le dimensioni di un atomo ed ero a bordo di uno scafo che aveva le dimensioni di una molecola di glucosio. Ho trascorso una dozzina di ore all’interno di un corpo umano vivo, prima nel flusso sanguigno poi nel cervello.»
«Ed è vero? Nessuna possibilità che si sia trattato di un’illusione o di un inganno?»
«Vi prego, professore. Se fossi stato ingannato o ipnotizzato, adesso la mia testimonianza sarebbe priva di valore. Non possiamo andare avanti se non riconoscerete il fatto che sono sano di mente e sono in grado di fornire un resoconto dei fatti che corrisponde ragionevolmente alla realtà.»
Friar serrò le labbra, poi disse: «Avete ragione. Dobbiamo partire da dei presupposti, e io supporrò che siate sano di mente e affidabile... ipotesi soggette a essere eventualmente riviste, ovvio.»
«Certo» disse Morrison.
«In tal caso» Friar si rivolse a Rodano «iniziamo con una grande e importante osservazione. La miniaturizzazione è possibile e i sovietici ne sono in possesso e la usano e possono miniaturizzare perfino degli esseri umani senza alcuna conseguenza dannosa apparente.»
Tornò a rivolgersi a Morrison. «Presumibilmente, i sovietici sostengono di miniaturizzare riducendo l’entità della costante di Planck.»
«Sì.»
«Naturale. Non esiste altro metodo concepibile per farlo. Vi hanno spiegato il procedimento mediante il quale ottengono tale risultato?»
«Certo che no. Gli scienziati sovietici con cui sono stato in contatto sono sani di mente come noi, considerate anche questo presupposto. Non sarebbero mai così imprudenti da rivelare informazioni che vogliono tenerci nascoste.»
«Benissimo. Aggiungiamo anche questo presupposto. Ora raccontateci esattamente cosa vi è successo in Unione Sovietica. Non vogliamo un resoconto di carattere avventuroso, ma solo le osservazioni professionali di un fisico.»
Morrison cominciò a parlare. In fondo non gli dispiaceva del tutto. Voleva esorcizzare quella storia, e non voleva essere l’unico americano a sapere quello che sapeva, era una responsabilità eccessiva. Raccontò tutto in maniera dettagliata e ci vollero ore. Terminò solo quando stavano consumando un pasto servito in camera.
Al dessert, Friar disse: «Allora proverò a riassumere nel miglior modo possibile andando a memoria. Innanzitutto, la miniaturizzazione non influisce sul flusso temporale, né sulle interazioni dei quanti, vale a dire le interazioni elettromagnetiche deboli e forti. L’interazione gravitazionale viene influenzata, invece, e diminuisce proporzionalmente alla massa, com’è naturale. Giusto?»
Morrison annuì.
Friar continuò. «La luce, e la radiazione elettromagnetica in generale, può entrare nel campo miniaturizzante e uscirne, ma il suono no. La materia normale viene debolmente respinta dal campo miniaturizzante ma, sotto pressione, la materia normale può essere fatta entrare nel campo e miniaturizzarsi a sua volta, assorbendo energia dal campo.»
Morrison annuì ancora.
«Più un oggetto è miniaturizzato, minore è l’energia necessaria per miniaturizzarlo ulteriormente. Sapete se l’energia necessaria diminuisca proporzionalmente alla massa rimasta a qualche livello specifico di miniaturizzazione?»
«Sembrerebbe logico» rispose Morrison. «Ma non mi pare che qualcuno abbia accennato alla natura quantitativa di questo fenomeno.»
«Proseguiamo, allora. Più un oggetto è miniaturizzato, più è probabile che si deminiaturizzi spontaneamente... e questo si riferisce all’intera massa all’interno del campo, piuttosto che agli elementi che la compongono. Voi, come individuo separato, eravate più soggetto alla deminiaturizzazione spontanea che come parte della nave. Giusto?»
«A quanto ho capito io.»
«E i vostri compagni sovietici hanno ammesso che è impossibile massimizzare e rendere le cose più massicce di quel che sono in natura.»
«Vi ripeto... a quanto ho capito io, sì. Rendetevi conto, professore, che posso solo ripetere quanto mi è stato detto. Può darsi che mi abbiano fuorviato apposta, o può darsi che si siano sbagliati loro stessi non possedendo dati sufficienti.»
«Sì, sì, capisco. Avete motivo di credere che vi stessero fuorviando deliberatamente?»
«No. Mi sono sembrati sinceri.»
«Be’... forse... Ora, la cosa più interessante a mio avviso è che il moto browniano era in equilibrio con l’oscillazione della miniaturizzazione, e che aumentando il livello di miniaturizzazione l’equilibrio si spostava sempre più dal moto browniano normale tendendo all’oscillazione.»
«Questa è una mia osservazione diretta, professore, e non si basa soltanto su quel che mi hanno detto.»
«E questo spostamento d’equilibrio è legato in qualche modo al grado di deminiaturizzazione spontanea.»
«Questo è quel che penso io. Non posso affermare che sia un dato di fatto.»
«Hmmm.» Friar sorseggiò pensoso il caffè e disse: «Il guaio è che sono tutte cose superficiali. Ci illustrano il comportamento del campo di miniaturizzazione, ma non ci dicono come venga prodotto il campo... E diminuendo il valore della costante di Planck, lasciano inalterata la velocità della luce, vero?»
«Sì, ma come ho sottolineato, questo significa che mantenere il campo miniaturizzante è molto dispendioso dal punto di vista energetico. Se riuscissero a collegare la costante di Planck alla velocità della luce, aumentando quest’ultima nel ridurre la prima... Ma non ci sono ancora riusciti.»
«Così dicono. La soluzione era nella mente di Shapirov, si suppone, ma non siete stati in grado di trovarla.»
«Esatto.»
Friar meditò per qualche minuto, poi scosse la testa. «Esamineremo tutto quel che avete detto e ne dedurremo il più possibile, ma temo che non ricaveremo nulla.»
«Perché no?» chiese Rodano.
«Perché sono dati che non scendono veramente in profondità. Se qualcuno che non ha mai visto un robot o non ha mai sentito parlare delle parti che lo compongono dovesse parlare di un robot in funzione, potrebbe descrivere il movimento degli arti e della testa, il suono della voce, il modo di eseguire gli ordini e via dicendo. Ma le sue osservazioni non gli direbbero come funzioni una linea positronica o cosa sia una valvola molecolare. Non saprebbe nemmeno dell’esistenza di queste due cose, e non lo saprebbero gli scienziati che dovessero basarsi sulle sue osservazioni per lavorare. I sovietici dispongono di una tecnica per produrre il campo, e noi non sappiamo nulla di questa tecnica, e quello che Morrison è in grado di dirci non ci aiuta. Potrebbero avere pubblicato del materiale che ha portato a tale risultato, senza sapere che c’era qualcosa di cruciale... è quel che è successo verso la metà del ventesimo secolo, quando gli studi iniziali sulla fissione nucleare vennero resi pubblici prima che si capisse che avrebbero dovuto rimanere segreti. I sovietici non hanno commesso questo errore con la miniaturizzazione, comunque. E noi non siamo riusciti a raccogliere informazioni in mento né attraverso lo spionaggio né attraverso la fortunata defezione di qualche loro elemento chiave passato dalla nostra parte.
«Consulterò i miei colleghi del ministero ma, nel complesso, dottor Morrison, temo che la vostra avventura in Unione Sovietica, per quanto coraggiosa e lodevole, a parte la vostra conferma che la miniaturizzazione esiste, sia stata inutile. Mi spiace, signor Rodano, ma è come se non fosse successo nulla.»
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L’espressione di Morrison non cambiò mentre Friar esponeva la sua conclusione. Si versò ancora un po’ di caffè, aggiunse un po’ di latte, e bevve senza fretta.
Poi disse: «Vi sbagliate di grosso, sapete, Friar.»
Friar alzò lo sguardo. «State cercando di dire che sapete qualcosa a proposito della realizzazione del campo? Avevate detto che...»
«Quello che sto per dire, Friar, non ha niente a che vedere con la miniaturizzazione. Riguarda invece il mio lavoro. I sovietici mi hanno portato a Malenkigrad e alla Grotta perché usassi il mio programma per leggere la mente di Shapirov. Non è stato possibile, il che forse non deve stupirci dato che Shapirov era in coma e prossimo alla morte. D’altro canto, Shapirov, che aveva una mente molto acuta, dopo aver letto alcuni miei studi aveva definito il mio programma un “ritrasmettitore”. Infatti si è rivelato proprio questo.»
«Un ritrasmettitore?» La faccia di Friar assunse un’espressione perplessa e disgustata. «Cosa significa?»
«Invece di captare i pensieri di Shapirov, il mio computer programmato, all’interno di un neurone di Shapirov, ha agito da ripetitore, passando i pensieri da un membro dell’equipaggio all’altro.»
L’espressione di Friar divenne indignata. «Intendete dire che era un congegno telepatico?»
«Esattamente. La prima volta che è successo ho provato un forte sentimento d’amore e di desiderio sessuale per una donna che era a bordo della nave miniaturizzata con me. Naturalmente, ho creduto che si trattasse di un sentimento mio, dato che era una donna molto attraente. Tuttavia, consciamente non provavo nulla del genere. Solo dopo parecchi altri episodi simili mi sono reso conto che stavo ricevendo i pensieri di un uomo che era a bordo della nave. Lui e la donna si erano separati, però la passione tra loro era ancora viva.»
Friar sorrise tollerante. «A bordo della nave eravate in condizioni tali da interpretare correttamente quei pensieri? Ne siete sicuro? Dopo tutto, la tensione per voi era notevole. Avete ricevuto pensieri di questo tipo anche dalla donna?»
«No. Tra me e l’uomo c’è stato uno scambio involontario di pensieri in numerose occasioni. Quando ho pensato a mia moglie e alle mie figlie, lui ha pensato a una donna con due bambini. Quando ero disperso nel flusso sanguigno, è stato lui a captare il mio senso di panico. Pensava di avere captato la sofferenza di Shapirov tramite la mia macchina, che era rimasta in mano mia mentre andavo alla deriva... ma quelle erano emozioni mie, non di Shapirov. Non c’è stato scambio di pensieri tra me e le due donne a bordo, però c’è stato tra loro. Quando hanno cercato di cogliere i pensieri di Shapirov, hanno captato parole e sensazioni che l’uomo e io non abbiamo captato... erano parole e sensazioni che le donne si scambiavano a vicenda, naturalmente.»
«Una differenza sessuale?» fece Friar scettico.
«Non proprio. Il pilota della nave, un altro uomo, non ha ricevuto nulla, né dalle donne né dagli altri uomini, anche se una volta apparentemente ha percepito un pensiero. Non so da chi provenisse. A mio avviso, come esistono dei gruppi sanguigni, esistono anche dei gruppi cerebrali... probabilmente non molti... e tra individui dello stesso gruppo la comunicazione telepatica è più facile.»
Rodano intervenne sottovoce. «Anche se è tutto come dite, dottor Morrison, qual è la conclusione?»
Morrison disse: «Lasciate che vi spieghi. Ho lavorato lunghi anni per identificare le zone e le strutture del pensiero astratto nel cervello umano senza ottenere risultati clamorosi. Di tanto in tanto, coglievo un’immagine, ma non le ho mai interpretate correttamente. Pensavo che provenissero dal cervello dell’animale che stavo studiando, ma adesso ho il sospetto di averle ricevute quando ero abbastanza vicino a qualche essere umano in preda a un forte stato emotivo o a intensa concentrazione. Non l’ho mai notato. Colpa mia. Comunque, essendo stato ferito dall’indifferenza generale e dall’incredulità e dallo scherno dei miei colleghi, non ho mai reso pubblico il particolare della ricezione di immagini, ma ho modificato il mio programma nel tentativo di intensificarla. Anche alcune di queste modifiche non sono mai state divulgate. Così, sono entrato nel flusso sanguigno di Shapirov con un congegno che poteva fungere senz’altro da ripetitore telepatico. E adesso che, finalmente, la mia testa ottusa si è resa conto di quel che ho in mano, so cosa fare per perfezionare il programma. Ne sono sicuro.»
Friar disse: «Vediamo se ho capito, Morrison. State dicendo che, in seguito al vostro viaggio nel corpo di Shapirov, adesso siete certo di poter modificare il vostro congegno in modo tale da trasformare la telepatia in una realtà pratica?»
«Pratica entro certi limiti. Sì.»
«Sarebbe una cosa eccezionale... se foste in grado di dimostrarla.» Il tono di Friar era ancora scettico.
«Forse più eccezionale di quel che credete» disse Morrison con una certa asprezza. «Sapete, naturalmente, che i telescopi, sia quelli ottici sia i radiotelescopi, possono essere costruiti in parti separate su un’ampia area e, una volta coordinati da un computer, possono svolgere la funzione di un unico grande telescopio, un telescopio che sarebbe impossibile costruire singolarmente date le dimensioni.»
«Sì. Ma questo che c’entra?»
«È un’analogia. Sono convinto di poter dimostrare qualcosa del genere a proposito del cervello. Se unissimo sei uomini telepaticamente, i sei cervelli si comporterebbero come un unico grande cervello, e avrebbero un’intelligenza e una capacità di approfondimento sovrumana. Pensate ai progressi possibili nella scienza, nella tecnologia, e in altri campi. Creeremmo un superuomo mentale, evitando la noia dell’evoluzione fisica e i pericoli dell’ingegneria genetica.»
«Interessante... se è vero» osservò Friar, evidentemente affascinato ma per nulla convinto.
«C’è un problema, però» disse Morrison. «Io ho eseguito tutti i miei esperimenti su degli animali, tramite dei cavi cha andavano dal computer al cervello. Mi rendo conto ora che era un metodo tutt’altro che preciso. Per quanto possiamo perfezionarlo, così avremo solo un sistema telepatico primitivo. Bisogna penetrare in un cervello e piazzare un computer miniaturizzato e adeguatamente programmato in un neurone, dove potrà fungere da ripetitore. Il processo telepatico verrà intensificato enormemente.»
«E il poveretto che sottoporrete a questo trattamento» disse Friar «alla fine esploderà quando si deminiaturizzerà il congegno.»
«Un cervello animale è molto inferiore al cervello umano» spiegò Morrison «perché il cervello animale ha meno neuroni, disposti in modo meno complesso. Un singolo neurone del cervello di un coniglio, comunque, non dovrebbe essere molto inferiore a un neurone umano. Si potrebbe usare un robot come ripetitore.»
Rodano disse: «Dei cervelli americani lavorando collegati in gruppo potrebbero, allora, scoprire il segreto della miniaturizzazione e forse battere addirittura i sovietici riuscendo a unire la costante di Planck alla velocità della luce.»
«Sì» fece Morrison entusiasta. «E uno scienziato sovietico, Yuri Konev, che era il compagno di viaggio con cui ho avuto lo scambio di pensieri, l’ha capito, come l’ho capito io. È per questo che ha cercato di trattenere me e il mio programma in spregio agli ordini del suo governo. Senza me e il programma, non credo che riuscirà a ottenere i miei risultati se non tra parecchio tempo, forse parecchi anni. Non è il suo campo specifico.»
«Continuate» disse Rodano. «Questa storia comincia piacermi.»
Morrison disse: «La situazione è questa... Ora come ora, abbiamo una specie di telepatia rudimentale. Anche senza miniaturizzazione, può darsi che ci aiuti a restare in testa rispetto ai sovietici, ma può darsi di no. Senza miniaturizzazione, senza l’installazione di un computer adeguatamente programmato m un neurone animale come ripetitore, non abbiamo la certezza di ottenere nulla. I sovietici, d’altro canto, dispongono di una forma rudimentale di miniaturizzazione. Continuando i loro studi. può darsi che trovino il modo di collegare la teoria dei quanti alla teoria della relatività ottenendo un tipo di miniaturizzazione ad alto rendimento, però potrebbe passare parecchio tempo prima che ci riescano. Quindi se noi abbiamo la telepatia ma non la miniaturizzazione, e se loro hanno la miniaturizzazione ma non la telepatia, può darsi che a lungo andare vinciamo noi... o che vincano loro. La nazione che vincerà disporrà, in un certo senso, di una velocità illimitata e l’Universo sarà suo. La nazione perdente avvizzirà, o almeno le sue istituzioni avvizziranno. Sarebbe bello per noi vincere la gara, ma può darsi che a vincere siano loro, e questa lotta per il primato potrebbe interrompere un lungo periodo di pace precaria e scatenare un conflitto catastrofico. D’altro canto, se noi e i sovietici saremo disposti a lavorare assieme e a usare la telepatia ad alto rendimento consentita da un ritrasmettitore miniaturizzato all’interno d’un neurone. potremo ottenere insieme e in brevissimo tempo una cosa equivalente all’antigravità, alla velocità infinita. L’Universo apparterrà allora agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica... anzi, a tutto il globo, alla Terra. all’umanità... Perché no, signori? Nessuno perderebbe. Tutti ci guadagnerebbero.»
Friar e Rodano lo fissarono meravigliati. Friar infine deglutì e disse: «Senza dubbio un’ottima prospettiva... se avete davvero la telepatia.»
«Avete tempo per ascoltare la mia spiegazione?»
«Tutto il tempo che volete» rispose Friar.
Morrison impiegò alcune ore per spiegare in modo dettagliato le sue teorie. Poi si rilassò sul letto e disse: «È quasi ora di cena. Ora so che voi, e anche altri, vorrete interrogarmi e vorrete che mi metta al lavoro per dimostrare la fattibilità della telepatia, e so che questo mi terrà impegnato per... be’, per il resto della mia vita, magari. Adesso però mi occorre una cosa.»
«Cioè?» chiese Rodano.
«Un po’ di tempo libero come inizio. È stata un’esperienza dura. Datemi ventiquattr’ore, da adesso fino a domani alla stessa ora. Lasciatemi leggere, mangiare. pensare e riposare. Solo un giorno, se non vi dispiace, e poi sarò a vostra disposizione.»
«Richiesta ragionevole» disse Rodano alzandosi. «Farò in modo di esaudirla, e credo di poterlo fare. Le ventiquattro ore sono vostre. Godetevele il più possibile. Anch’io credo che in seguito non avrete molto tempo da dedicare a voi stesso. E da questo momento, per un bel pezzo, rassegnatevi a essere la persona più sorvegliata d’America, senza escludere il Presidente.»
«Bene» disse Morrison. «Adesso ordinerò la cena.»
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Rodano e Friar avevano finito di cenare. Era stato un pasto insolitamente silenzioso in una stanza isolata e sorvegliata.
Rodano disse: «Dottor Friar pensate che Morrison abbia ragione a proposito di questa storia della telepatia?»
Friar sospirò e disse cauto: «Dovrò consultare alcuni miei colleghi più informati di me sul cervello, ma sento che ha ragione... È molto convincente. Adesso vorrei farvi io una domanda.»
«Sì.»
«Pensate che Morrison abbia ragione circa la necessità di una cooperazione tra Stati Uniti e Unione Sovietica?»
Ci fu una lunga pausa, infine Rodano rispose: «Sì, credo che abbia ragione anche su questo. Certo, ci saranno grida e proteste da tutte le direzioni, ma non possiamo rischiare che i sovietici arrivino primi al traguardo. Lo capiranno tutti. Dovranno capirlo.»
«E i sovietici? Lo capiranno anche loro?»
«Dovranno, anche loro. Non possono rischiare che arriviamo primi noi. E poi, il resto del mondo indubbiamente subodorerà qualcosa e vorrà partecipare direttamente e intervenire in modo che non inizi una nuova guerra fredda. Forse ci vorrà qualche anno, ma alla fine collaboreremo.»
Rodano scosse la testa e soggiunse: «Ma sapete cos’è che mi sembra davvero strano, professore?»
«In questa storia non c’è nulla che non sia strano, direi.»
«Certo, però quello che mi sembra più strano è questo... Ho conosciuto Morrison domenica scorsa, nel pomeriggio, per spingerlo ad andare in Unione Sovietica. Be’, sono rimasto di stucco. Mi è sembrato un uomo senza fegato, una nullità, un tipo noioso, passivo, nemmeno tanto intelligente se non in senso accademico. Non mi è sembrato che si potesse fare affidamento su di lui, perché tanto uno così non avrebbe combinato nulla. Lo stavo semplicemente mandando incontro alla morte. È questo che ho pensato, e il giorno dopo l’ho detto a un mio collega... e, accidenti, lo penso ancora. È una nullità, ed è un miracolo che sia sopravvissuto, e questo solo grazie ad altri. Eppure...»
«Eppure?»
«Eppure è tornato con una scoperta scientifica incredibile e ha avviato un processo per cui gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica saranno costretti a cooperare. E, come se non bastasse, si è trasformato nello scienziato più importante, e anche più famoso, non appena renderemo pubblici questi fatti, del mondo... forse di tutti i tempi. In un certo senso, ha distrutto il sistema politico del mondo e ne ha costruito uno nuovo, o almeno ha avviato il processo costruttivo di un nuovo sistema... e ha fatto tutto questo tra il pomeriggio della scorsa domenica e il pomeriggio di oggi, sabato. Lo ha fatto in sei giorni. Non so perché, ma è un pensiero che spaventa.»
Friar si appoggiò allo schienale della sedia e rise. «È più spaventoso di quel che pensate. Intende riposare il settimo giorno.»
FINE