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Nel cervello, pensò Morrison, ma non in una cellula cerebrale. Finora erano solo passati dallo spazio intercellulare tra le cellule del capillare agli spazi intercellulari del cervello, dove c’erano le strutture di sostegno che conservavano la forma e le interrelazioni delle cellule nervose, o neuroni. Togliendo tali strutture, le cellule si sarebbero ammucchiate in masse amorfe, schiacciate dalla forza di gravità e incapaci di svolgere qualsiasi funzione coerente.

Era una giungla, composta di spessi tralci di collagene. Era la proteina connettiva animale quasi universale che svolgeva la funzione della cellulosa nelle piante, in modo più dispendioso, trattandosi di proteina e non carboidrato, ma assai più flessibile. All’occhio ultraminiaturizzato quei fili di collagene, invisibili senza l’ausilio di un microscopio elettronico, sembravano tronchi d’albero, piegati in ogni direzione in un mondo in cui la gravità contava poco.

C’erano fili più sottili e altri ancor più sottili. Morrison sapeva che alcuni potevano essere di elastina, e che esistevano vari tipi di collagene. Se avesse potuto osservare la scena da una prospettiva più ampia, meno miniaturizzata, sarebbe stato in grado di cogliere ordine e struttura. A quel livello, invece, era tutto caotico. Non si riusciva nemmeno a vedere lontano in alcuna direzione; le fibre sovrapponendosi ostruivano la visuale.

Morrison si accorse che la nave procedeva con estrema lentezza. Gli altri quattro si guardavano attorno meravigliati O non si aspettavano quello spettacolo (Morrison non se l’era aspettato perché si era interessato troppo alle proprietà elettriche del cervello per pensare alla sua microanatomia) o, pur aspettandoselo, non avevano immaginato che potesse essere così.

Morrison disse: «Qualcuno sa come fare per raggiungere un neurone?»

Dezhnev rispose per primo. «La nave può solo avanzare in linea retta, quindi andremo avanti dritti finché non troveremo una cellula.»

«Andremo avanti dritti in questa giungla? Se non possiamo curvare, come li aggiriamo gli ostacoli?»

Dezhnev si strofinò il mento, pensieroso. «Non li aggiriamo, ci appoggiamo. La nave supererà uno di quegli oggetti e ci sarà più attrito sul lato di contatto che sull’altro, così curveremo, come una cometa che gira attorno al sole.» Sorrise. «Lo fanno anche i cosmonauti, quando sfruttano la gravità per aggirare un satellite o un pianeta. Noi useremo lo stesso sistema per aggirare quei cosi.

Konev disse imbronciato: «Quei cosi sono fibre di collagene.»

«Alcune sono piuttosto spesse» osservò Morrison. «Non riuscirai sempre a passare. Ne centrerai uno in pieno e ci bloccheremo. Dal momento che possiamo spostarci solo in avanti, cosa faremo? Questa nave è stata costruita solo per il flusso sanguigno. Fuori dal flusso sanguigno siamo impotenti.»

La Boranova intervenne. «Arkady, hai tre motori a microfusione, e gli ugelli se non sbaglio sono disposti posteriormente ai vertici di un triangolo equilatero. Non puoi accenderne uno solo?»

«No. C’è un unico contatto per tutti e tre.»

«D’accordo, Arkady. Però la nave l’hai progettata tu, e conosci dettagliatamente i comandi. Non c’è nulla che tu possa fare per modificarli in maniera tale da poter azionare un ugello alla volta?»

Dezhnev trasse un respiro profondo. «Tutti mi hanno detto e ripetuto che dovevo badare all’indispensabile, che dovevo risparmiare, che non dovevo irritare i burocrati.»

«A parte questo, Arkady... non puoi fare nulla?»

«Lasciami pensare. Dovrei mettere in piedi un collegamento di fortuna, il che significa trovare qualcosa per fare degli interruttori, del cavo... e non è detto che funzioni, e se funziona non si sa quanto durerà, e c’è il rischio di ritrovarci in una situazione peggiore di questa... Comunque, ho capito la tua idea. Usando un solo motore, avremo una spinta sbilanciata.»

«E riuscirai a curvare allora, a seconda del motore che accenderai.»

«Ci provo, Natalya.»

Morrison disse rabbioso: «Perché non ci avete pensato quando eravamo nel capillare sbagliato? Mi sarei risparmiato la piccola seccatura di rischiare la vita per girare la nave manualmente.»

Dezhnev rispose: «Se non fossi stato così pronto a suggerire di girare la nave manualmente, forse ci avremmo pensato... ma non sarebbe stata una buona idea.»

«Perché?»

«Eravamo nella corrente sanguigna. La nave ha una precisa linea aerodinamica per sfruttarla, e la sua superficie è fatta in maniera tale da permettere all’acqua di scorrere senza turbolenze, il che complica parecchio le cose se si vuole girare nella corrente. Sarebbe occorso molto più tempo che girandola a mano... e moltissima energia. E poi non dimentichiamo lo spazio ristretto del capillare. Qui non c’è nessuna corrente, e a quésto livello di miniaturizzazione c’è un sacco di spazio.»

«Basta» intervenne la Boranova. «Al lavoro, Arkady.»

Dezhnev obbedì, frugando in una cassetta di attrezzi, togliendo una piastra di chiusura e studiando i particolari dei comandi all’interno, il tutto accompagnato da un borbottio incomprensibile.

Konev, le mani allacciate dietro il collo, disse senza voltarsi: «Albert, parlaci di quelle sensazioni che ricevi.»

«Sensazioni?»

«Ce ne stavi parlando appena prima che la Grotta ci comunicasse che eravamo nel capillare giusto. Mi riferisco alle sensazioni che hai provato quando stavi cercando di analizzare le onde del pensiero.»

«Ah» fece Morrison, e notò lo sguardo della Kaliinin.

Sophia scosse leggermente la testa, e accostò un dito alle labbra in un gesto di avvertimento appena accennato.

Morrison rispose: «Non c’è niente da dire. Erano sensazioni vaghe, che non potevo descrivere in modo oggettivo. Poteva darsi benissimo che fosse la mia immaginazione. Quelli con cui ho provato a parlarne erano convinti che si trattasse appunto della mia immaginazione.»

«E non hai mai pubblicato nulla in proposito?»

«Mai. Ho solo fatto qualche accenno di sfuggita a dei convegni, e mi è già andata fin troppo male così. Se tu e Shapirov ne avete sentito parlare è solo perché si è sparsa la voce. Se avessi pubblicato, in pratica sarebbe stato il mio suicidio scientifico.»

«Peccato.»

Morrison lanciò una breve occhiata alla Kaliinin. Lei annuì, ma non disse nulla. Non poteva, o l’avrebbe sentita tutta la nave.

Morrison si guardò attorno distrattamente. Dezhnev era preso dal lavoro e borbottava tra sé. Konev aveva lo sguardo fisso di fronte, immerso in chissà quali tortuosi pensieri. La Boranova stava studiando concentrata lo schermo del proprio computer, prendendo appunti. Morrison non provò a leggerli... riusciva a leggere in inglese capovolto, ma col russo non aveva una simile dimestichezza.

Solo la Kaliinin, alla sua sinistra, lo stava osservando.

Morrison serrò le labbra e commutò il computer sull’elaborazione verbale. Non era predisposto per la scrittura in cirillico, ma Morrison scrisse le parole russe in caratteri romani fonetici. CHE SUCCEDE?

Sophia esitò, probabilmente un po’ a disagio con l’altro alfabeto.

Poi le sue dita si mossero velocissime e sullo schermo apparve in cirillico: NON FIDARTI DI LUI. NON DIRE NULLA. Il messaggio venne cancellato subito.

Morrison scrisse: PERCHÉ?

Sophia rispose: NON PER MALVAGITÀ, MA PER PRIORITÀ, MERITO, FAREBBE DI TUTTO, DI TUTTO, DI TUTTO.

Le parole scomparvero, e la Kaliinin distolse immediatamente lo sguardo.

Morrison la osservò. Era solo il desiderio di vendetta di una donna tradita?

In ogni caso, poco importava, perché lui non aveva intenzione di rivelare nulla che non avesse già rivelato o su qualche pubblicazione o a voce. Nemmeno Morrison era malvagio, però quando c’erano in gioco la priorità e il merito, forse non avrebbe fatto di tutto, ma avrebbe fatto parecchio.

Tuttavia, adesso non c’era nulla da fare. A parte una cosa, forse, che non c’entrava affatto col problema, ma che cominciava a farsi spazio con una certa insistenza nella sua mente.

Si girò verso la Boranova, che continuava a fissare il proprio strumento con la massima concentrazione tamburellando con le dita sul bracciolo del sedile.

«Natalya?»

«Sì, Albert?» fece lei senza alzare gli occhi.

«Mi spiace introdurre una nota di sgradevole realismo, ma...» Morrison abbassò la voce il più possibile «sto pensando di urinare.»

La Boranova lo guardò, incurvando leggermente un angolo della bocca ma evitando di sorridere. Poi senza abbassare la voce disse: «Perché ci pensi, Albert? Fallo.»

Morrison si sentì come un ragazzino che alzasse la mano per chiedere il permesso di uscire dall’aula, anche se si rendeva conto che era assurdo. «Non mi piace essere il primo.»

La Boranova aggrottò le ciglia, quasi interpretasse il ruolo dell’insegnante. «Che sciocchezza... in ogni caso, non sei il primo. Ho già provveduto a questo bisogno personale.» Si strinse nelle spalle. «Ho notato spesso che la tensione tende a renderlo più urgente.»

Anche Morrison l’aveva notato. Mormorò: «Non hai problemi, tu. Sei sull’ultimo sedile, da sola.» E con un cenno della testa indicò Sophia.

«E con ciò?» La Boranova scosse la testa. «Non vorrai che improvvisi una tenda per te, eh? O devo metterle una mano sugli occhi?» La Kaliinin si voltò sorpresa. «Sono sicura che lei ti ignorerà, e per decenza, e perché può darsi che tra poco sarà lei a volere che tu la ignori.»

Morrison era imbarazzatissimo. La Kaliinin lo fissava, ed era ovvio che aveva capito. Gli disse: «Via, Albert, prima ti ho sorretto mentre eri nudo. A questo punto mi pare che un simile pudore sia fuori luogo.»

Morrison abbozzò un sorriso e le rivolse un piccolo gesto di ringraziamento.

Cercò di ricordare come si apriva il coperchio del sedile, e quando ricordò, scoprì che si apriva con uno scatto non forte ma perfettamente udibile. “Quei sovietici indisponenti! Sempre arretrati per un verso o per l’altro. Avrebbero potuto progettare facilmente un sedile che si aprisse senza fare rumore”. Riuscì anche ad allentare la chiusura elettrostatica inguinale, e si chiese preoccupato se sarebbe stato capace di richiuderla senza dare troppo nell’occhio.

Non appena il coperchio scorse via, sentì il freddo sgradevole della corrente d’aria sulla pelle. Quando ebbe finito sospirò provando un sollievo enorme, riuscì a sistemare la chiusura all’inguine, e si rilassò sul sedile, ansimando. Doveva avere trattenuto il respiro, si rese conto.

«Ecco» fece brusca la Boranova. Morrison fissò un istante la cosa che gli porgeva, e vide che era una salviettina sigillata. L’aprì. Era umida e profumata, e l’adoperò per strofinarsi le mani. (I sovietici stavano imparando le piccole finezze, evidentemente... o decadenze, bisognava vedere se a vincere la battaglia interiore era la schizzinosità o l’impazienza.)

D’un tratto, dopo tanti borbottii, la voce gutturale di Dezhnev risuonò. «Fatto!»

«Fatto, cosa?» chiese seccato Morrison, credendo che si trattasse di un riferimento alle sue funzioni corporali.

«L’accensione individuale dei motori» rispose Dezhnev indicando con le mani i comandi della nave. «Posso accenderne uno qualsiasi, o due, o tutti. Assolutamente sicuro... penso.»

«Allora, Arkady?» disse la Boranova irritata. «Siamo sicuri, o è una questione di opinioni?»

«Tutte e due le cose. Secondo la mia opinione, sono assolutamente sicuro. Il guaio è che non sempre la mia opinione è giusta. Mio padre diceva...»

«Secondo me dovremmo provare» disse Konev, tagliando fuori il padre di Dezhnev, forse volutamente.

«Certo» fece Dezhnev. «È ovvio. Ma come diceva mio padre» e alzò la voce quasi a scongiurare una nuova interruzione «“Puoi star certo che quando una cosa è ovvia qualcuno che la dice c’è sempre”... E tanto vale che sappiate...» S’interruppe.

La Boranova lo sollecitò. «Che sappiamo, cosa?»

«Parecchie cose, Natasha. Primo, virare assorbirà un sacco d’energia. Ho fatto il possibile, ma questa nave è nata per un impiego diverso. Inoltre... be’, adesso non posso comunicare con la Grotta.»

«Non puoi comunicare?» strillò la Kaliinin, la voce stridula per lo stupore o l’indignazione.

Il tono della Boranova era chiaramente indignato. «Cosa vorresti dire?»

«Via, Natasha, non potevo collegare i motori separatamente senza fili, no? Neppure il miglior ingegnere del mondo può creare dal nulla cavi e chip di silicio. Bisognava smontare qualcosa, e l’unica cosa che potevo smontare senza compromettere l’efficienza della nave era l’impianto di comunicazione. L’ho detto a quelli della Grotta, e hanno gridato e si sono lamentati un sacco, ma come potevano impedirmi di farlo? Così adesso possiamo virare, penso... e non possiamo comunicare, questo è certo.»