Capitolo
ottavo.
Preliminari
La difficoltà maggiore viene all’inizio. Si chiama “preparazione”.
DEZHNEV SENIOR
31
Più tardi, quella sera, dopo un lungo e noioso esame medico, Morrison si unì ai quattro ricercatori sovietici per la cena. L’Ultima Cena, rifletté macabro.
Sedendosi, sbottò: «Nessuno mi ha comunicato l’esito degli esami!» E rivolgendosi alla Kaliinin: «Ti hanno visitata, Sophia?»
«Certo, Albert.»
«A te hanno comunicato l’esito?»
«No. Dato che non siamo noi a pagarli, credo che non si sentano in dovere di dirci nulla.»
«Non importa» intervenne gioviale Dezhnev. «Il mio vecchio genitore diceva che le brutte notizie hanno le ali di un’aquila e che le belle notizie hanno il passo di una lumaca. Se non hanno detto nulla, è perché non avevano niente di spiacevole da rifèrire.»
«Anche se ci fossero state brutte notizie, le avrebbero riferite a me... solo a me» precisò la Boranova. «Sono io a dover decidere chi verrà.»
«Cosa ti hanno detto riguardo me?» chiese Morrison.
«Che non hai alcun disturbo serio. Verrai con noi, e tra dodici ore l’avventura avrà inizio.»
«Ho qualche problema secondario, allora, Natalya?»
«Niente di cui valga la pena di parlare... tranne che, stando a un dottore, avresti una “tipica irritabilità americana”.»
«Ah!» esclamò Morrison. «Una delle libertà di cui godiamo in America è quella di irritarci quando i dottori mostrano verso i loro pazienti una mancanza di comprensione tipicamente sovietica.»
Tuttavia, l’apprensione circa il suo stato mentale diminuì e, inevitabilmente, aumentò l’ansia per la miniaturizzazione imminente.
Morrison restò in silenzio, mangiando con lentezza e senza molto appetito.
32
Yuri Konev fu il primo ad alzarsi da tavola. Per un attimo rimase in piedi, chino in avanti, con un’espressione leggermente accigliata che alterava i suoi lineamenti giovanili.
«Natalya» disse» devo portare Albert nel mio studio. È necessario che discutiamo del compito di domani e Ci prepariamo.»
La Boranova gli rammentò: «Ricordati, per favore, che abbiamo tutti bisogno di riposare bene questa notte, quindi non perdere di vista l’orario. Vuoi che Arkady venga con te?»
«Non ho bisogno di Arkady» rispose Konev altezzoso.
«Comunque, ci saranno due guardie sulla porta del tuo studio. In caso di necessità, chiama.»
Konev si girò spazientito. «Sono sicuro che non avrò alcun bisogno di loro, Natalya. Vieni con me, Albert.»
Morrison, che aveva osservato la scena con gli occhi bassi, si alzò dicendo: «Sarà un tragitto lungo? Sono stanco di essere sballottato da un angolo all’altro della Grotta.»
Morrison si rendeva conto di essere stato sgarbato, ma Konev non ci badò e replicò altrettanto sgarbatamente: «Ma un professore dovrebbe essere abituato a spostarsi avanti e indietro in un campus universitario.»
Morrison seguì Konev oltre la soglia e insieme imboccarono il corridoio in silenzio. A un certo punto Morrison si accorse che due guardie si erano accodate a loro. Sentì dei passi alle spalle che seguivano la cadenza dei suoi. Si girò a guardare, ma Konev non lo fece.
Impaziente, Morrison chiese: «Manca ancora molto, Yuri?»
«È una domanda sciocca, Albert. Non ho nessuna intenzione di portarti più in là della nostra destinazione. Quando arriveremo, arriveremo. Se stiamo ancora camminando è perché non siamo ancora arrivati.»
«Con tanta strada da percorrere a piedi, potreste adottare dei carrelli elettrici tipo golf o qualcosa del genere nei corridoi.»
«E lasciare atrofizzare i muscoli, Albert? Via, non sei così vecchio da non poter camminare, né così giovane da dover essere trasportato.»
Morrison pensò: “Se fossi quella povera ragazza farei esplodere i fuochi d’artificio per festeggiare il suo rifiuto di riconoscere la paternità della bambina”.
Finalmente raggiunsero l’ufficio di Konev. Almeno, Morrison immaginò che fosse il suo ufficio quando Konev pronunciò forte la parola “Apriti” e la porta scivolò silenziosa di lato obbedendo alla sua impronta vocale Konev entrò per primo.
«E se qualcuno imita la tua voce?» chiese Morrison incuriosito. «Sai, non hai una voce molto particolare.»
Konev spiegò: «Analizza anche la mia faccia. Il dispositivo di apertura non reagisce né alla voce né alla faccia separatamente.»
«E se hai il raffreddore?»
«Una volta avevo un brutto raffreddore, non sono riuscito a entrare nello studio per tre giorni e alla fine ho dovuto fare aprire la porta meccanicamente. Se per caso mi procurassi un livido o una cicatrice in faccia, potrei avere dei problemi. Ma è il prezzo della sicurezza.»
«Ma... la gente qui è tanto... curiosa... da arrivare a violare la tua privacy?»
«La gente è gente, ed è meglio non tentare troppo nemmeno le persone migliori. Qui ho delle cose riservatissime, che gli altri possono vedere solo quando io decido di permetterlo. Questo, per esempio...» La mano sottile di Konev (perfettamente curata anche nelle unghie, notò Morrison... forse Konev trascurava altre cose per il lavoro, ma non la propria persona) si posò su un volume di notevoli dimensioni appoggiato su un leggio che chiaramente era stato costruito apposta.
«Cos’è?» chiese Morrison.
«Questo è l’accademico Shapirov... o almeno, la sua essenza.» Konev aprì il libro e sfogliò le pagine. Erano piene (forse tutte) di simboli disposti in diagrammi. «L’ho anche su microfilm, naturalmente, ma la versione stampata offre certi vantaggi.» E accarezzò le pagine con un gesto affettuoso.
«Continuo a non capire» fece Morrison.
«Questa è la struttura di base del cervello di Shapirov, tradotta in un linguaggio simbolico ideato da me. Introdotta nel software appropriato, è in grado di ricostruire una mappa tridimensionale del cervello fin nei minimi dettagli sullo schermo di un computer.
«Sorprendente... se parli sul serio.»
«Parlo sul serio» disse Konev. «Ho dedicato tutta la mia carriera a quest’impresa: tradurre la struttura cerebrale in simboli e i simboli nella struttura cerebrale. Ho inventato e perfezionato la scienza della cerebrografia.»
«E hai usato Shapirov come soggetto.»
«Per un colpo di fortuna incredibile, sì. O forse non si è trattato di fortuna, ma di una cosa inevitabile. Abbiamo tutti le nostre piccole vanità, e Shapirov era convinto che il suo cervello meritasse di essere conservato. Quando ho iniziato a lavorare in questo campo sotto la sua direzione... perché pensavamo che un giorno avremmo potuto esplorare almeno il cervello degli animali... Shapirov ha insistito perché il suo cervello venisse analizzato cerebrograficamente.»
Di colpo eccitato, Morrison disse: «Puoi ricavare le sue teorie dalla registrazione della sua struttura cerebrale?»
«No. Questi simboli rappresentano un’analisi cerebrale eseguita tre anni fa, cioè prima che Shapirov avesse elaborato le sue idee più recenti. E in ogni caso quello che ho conservato qui è, sfortunatamente, solo la struttura fisica, non i pensieri. Ma nel viaggio di domani la cerebrografia ci sarà utilissima.»
«Lo credo... però non ne ho mai sentito parlare.»
«Naturale. Ho pubblicato i miei studi in materia, ma solo nell’ambito della Grotta... ed è tutto materiale segretissimo. Nessuno all’esterno della Grotta è al corrente del mio lavoro, nemmeno qui in Unione Sovietica.»
«È una pessima politica. Ti farai superare da qualcun altro che divulgherà i suoi studi e si assicurerà per primo il merito.»
Konev scosse la testa. «Non appena scopriremo che da qualche altra parte si stanno facendo progressi significativi in questa direzione, una parte iniziale del mio lavoro verrà resa pubblica per stabilire la priorità. Per esempio, ho delle cerebro grafie di cervelli canini che posso mostrare a tutti. Ma lasciamo perdere... Quel che conta adesso è che abbiamo una mappa del cervello di Shapirov che ci guiderà, e possiamo ritenerci molto fortunati. Quando è stata fatta non sapevamo che un giorno avremmo potuto averne bisogno per orientarci in quella giungla cerebrale.»
Konev si voltò verso un computer e, con movimenti esperti del polso, inserì cinque grossi dischi.
«Ognuno di questi» disse «può contenere tutte le informazioni della Biblioteca Centrale di Mosca senza problemi di spazio. Serve tutto per il cervello di Shapirov.»
«Intendi dire che sei riuscito a trasferire tutte quelle informazioni, tutto il cervello di Shapirov, in questo tuo libro?» fece Morrison indignato.
«Be’, no» rispose Konev, lanciando un’occhiata al libro. «Rispetto al codice totale, quel libro è solo un opuscoletto. Comunque, contiene lo scheletro di base, se così possiamo dire, della struttura neuronica di Shapirov, e io sono riuscito a utilizzarlo per elaborare un programma e tracciare col computer una mappa più dettagliata. Usando il nostro computer migliore, sono stati necessari mesi e mesi per questo lavoro. E anche così, Albert, quello che abbiamo si spinge solo a livello cellulare. Se dovessimo tracciare la mappa del cervello fino al livello molecolare e cercassimo di registrare tutte le permutazioni e le combinazioni, tutti i pensieri che potrebbero sgorgare da un cervello umano come quello di Shapirov, tutta la creatività effettiva e potenziale... se dovessimo farlo, immagino che occorrerebbe un computer grande quanto l’Universo e un periodo di tempo molto maggiore di quello trascorso dalla nascita dell’Universo a oggi... Quel che ho, comunque, forse sarà sufficiente per il nostro compito.»
Morrison, incantato, chiese: «Puoi mostrarmi come funziona, Yuri?»
Konev studiò il computer, che era acceso (lo si capiva dal lieve ronzio del suo sistema di raffreddamento), poi premette i tasti necessari. Sullo schermo apparve l’immagine laterale di un cervello umano.
Konev disse: «Si può osservare la sezione trasversale in qualsiasi punto.» Premette un tasto e il cervello cominciò a squamarsi quasi venisse tagliato in continuazione da un microtomo ultrasottile che incideva a un ritmo di migliaia di fette al secondo. «A questa velocità ci vorrebbe un’ora e un quarto per completare l’opera, ma posso arrestare il sezionamento in qualsiasi punto. Posso anche tagliare fette più spesse, o un’unica fetta di un determinato spessore per arrivare subito alla sezione desiderata.»
Mentre parlava, Konev diede la dimostrazione pratica. «O posso orientarlo in un’altra direzione o farlo ruotare lungo qualsiasi asse. O posso ingrandirlo fino a livello cellulare... lentamente... o, come vedi, velocemente.» E mentre diceva quelle parole, il cervello si espanse all’esterno in tutte le direzioni da un punto centrale, in un movimento vorticoso che costrinse Morrison a battere le palpebre e a distogliere lo sguardo.
Konev annunciò: «Adesso siamo al livello cellulare. Quei piccoli oggetti sono singoli neuroni, e se espandessi ulteriormente l’immagine vedresti gli assoni e i dendriti. Volendo, potremmo seguire un assone attraverso la cellula, fino a un dendrite, poi a una sinapsi, poi a un altro neurone e così via, viaggiando col computer attraverso un cervello tridimensionalmente. E la tridimensionalità non è solo un modo di dire. Il computer è in grado di fornire immagini olografiche, quindi rende alla perfezione la tridimensionalità.»
Morrison disse in tono di sfida: «Allora a che vi serve la miniaturizzazione? Che bisogno avete di inviare delle navi nel cervello?»
Per un attimo, sulla faccia di Konev comparve un’espressione di disprezzo. «È una domanda sciocca, Albert, e suppongo che sia ispirata solo dalla tua paura della miniaturizzazione. Stai annaspando in cerca di qualsiasi scusa per eliminarla. Quella che vedi sullo schermo è una mappa tridimensionale del cervello... ma solo tridimensionale. Raffigura quello che è il cervello riferito a un attimo di tempo, e noi vediamo della materia fissa... della materia morta. Noi invece vogliamo riuscire a individuare l’attività dei neuroni, l’attività che cambia col tempo. Vogliamo un panorama quadridimensionale dei potenziali elettrici che crescono e decrescono, delle microcorrenti che viaggiano lungo le cellule e le loro fibre, e vogliamo tradurre tutto in pensieri. Questo è il tuo compito, Albert. Arkady Dezhnev guiderà la nave lungo le rotte che ho scelto e tu ci darai i pensieri.»
«In base a cosa hai scelto le rotte?»
«Basandomi sui tuoi studi, Albert. Ho scelto le zone che secondo te rappresentano la rete neuronica del pensiero creativo e, usando questo libro con la sua raffigurazione in codice del cervello di Shapirov come guida iniziale, ho calcolato dei centri dove si trovavano dei sentieri abbastanza diretti che conducevano a parecchie parti della rete. Poi li ho localizzati con maggior precisione col computer, e domani raggiungeremo uno di quei centri... uno o più.»
Morrison scosse la testa. «Temo di non poter garantire che riusciremo a determinare i pensieri veri e propri, anche trovando i centri in cui avviene l’attività di pensiero. È come se raggiungessimo un posto e riuscissimo a sentire delle voci... il fatto è che se non conosciamo la lingua di quelle voci non possiamo comunque capire cosa dicono.»
«Questo non possiamo saperlo in anticipo. I potenziali elettrici varianti della mente di Shapirov devono assomigliare ai nostri, e potremmo semplicemente cogliere i suoi pensieri senza sapere come. In ogni caso, non siamo in grado di stabilire nulla se non entriamo là e proviamo.»
«In tal caso, dovrai essere pronto a subire eventuali delusioni.»
«Mai» disse Konev con estrema serietà. «Voglio essere la persona alla quale il cervello umano svelerà finalmente i suoi segreti. Risolverò, completamente, il mistero fisiologico fondamentale dell’umanità, forse dell’Universo... cioè se siamo o meno gli apparati pensanti più perfezionati che esistano... Quindi domani lavoreremo insieme, tu e io. Voglio che tu sia pronto al compito che ti aspetta, che mi aiuti studiando attentamente le onde cerebrali che incontreremo. Voglio che interpreti i pensieri di Shapirov e, soprattutto, i suoi pensieri riguardo la fusione della teoria dei quanti con la relatività, così i viaggi come il nostro di domani potranno diventare una cosa di ordinaria amministrazione e noi potremo cominciare lo studio del cervello con il massimo impegno.»
S’interruppe, fissando Morrison, poi disse: «Be’?»
«Be’, cosa?»
«Tutto questo non ti colpisce proprio?»
«Certo che mi colpisce, ma... avrei una domanda. Oggi, quando ho assistito alla miniaturizzazione del coniglio, c’era un sibilo piuttosto forte durante il processo... e una specie di rombo in fase di deminiaturizzazione. Non ho sentito niente del genere quando hanno ripetuto il processo con me... altrimenti avrei capito quel che stava succedendo.»
Konev alzò un dito. «Ah. Il rumore è avvertibile quando si è nello spazio reale, ma non quando si è nello spazio miniaturizzato. Sono stato il primo a notare il fenomeno quando sono stato miniaturizzato, e l’ho riferito. Non sappiamo ancora come mai il campo di miniaturizzazione blocchi apparentemente le onde sonore dal momento che non blocca quelle luminose, del resto prevediamo di scoprire nuovi aspetti del processo andando avanti.»
«Purché non scopriamo aspetti fatali» borbottò Morrison. «Non hai paura di nulla, Yuri?»
«Ho paura di non riuscire a completare il mio lavoro. Questo accadrebbe se morissi domani o se rifiutassi di sottopormi alla miniaturizzazione. La possibilità di morire è abbastanza remota, mentre se rifiutassi di sottopormi alla miniaturizzazione non potrei sicuramente raggiungere la mia meta. Ecco perché preferisco di gran lunga rischiare dl morire che tirarmi indietro.»
«Anche Sophia verrà miniaturizzata con te. Questo fatto ti disturba?»
Konev corrugò la fronte. «Cosa?»
«Se non ricordi il suo nome, ti darò una mano dicendoti che il suo cognome è Kaliinin.»
«Fa parte del gruppo e sarà sulla nave. Certo.»
«E non ti dispiace?»
«Perché dovrebbe?»
«Be’, dopotutto lei pensa che tu l’abbia tradita.»
Konev si rabbuiò e un rossore cupo gli accese il viso. «È impazzita a tal punto da arrivare a raccontare le sue farneticazioni agli estranei? Se non fosse indispensabile per questo progetto...»
«Scusa. Ma a me non è sembrato che farneticasse.»
Morrison non sapeva come mai stesse insistendo. Forse provava un senso di inferiorità perché temeva un’impresa che invece Konev accoglieva con notevole fervore, e quindi a sua volta voleva mettere l’altro in condizioni di inferiorità. «Non sei mai stato... suo amico?»
«Amico?» L’espressione di Konev rispecchiava il suo disprezzo. «Cos’è l’amicizia? Quando sono entrato nel progetto, l’ho trovata qui. Lei era entrata da un mese. Abbiamo lavorato insieme, eravamo tutti e due nuovi e inesperti. Certo, c’è stato qualcosa che si potrebbe anche definire amicizia, un bisogno fisico di intimità. E con ciò? Eravamo giovani e insicuri. È stata una fase passeggera.»
«Ma ha lasciato qualcosa dietro di sé. Una bambina.»
«Non è stata opera mia.» La bocca di Konev si chiuse di scatto.
«Lei dice...»
«Non dubito che le piacerebbe addossarmi la responsabilità, ma non funzionerà.»
«Hai pensato all’analisi genetica?»
«No! La bambina ha tutto quello che le occorre, immagino, e anche se l’analisi genetica stabilisse che potrei essere io il genitore, respingerei qualsiasi tentativo di legarmi emotivamente alla bambina, quindi cosa avrebbe da guadagnare quella donna?»
«Sei così insensibile?»
«Insensibile? Cosa credi che abbia fatto... corrotto una vergine innocente? Lei ha preso l’iniziativa in tutto. Nella triste storia che ti avrà raccontato, ti ha detto per caso che era già rimasta incinta prima, che aveva abortito qualche anno prima che io la conoscessi? Non so chi fosse il padre allora, né chi sia adesso. Forse nemmeno lei sa chi è il padre... né questa volta né quella volta.»
«Sei cattivo con lei.»
«No. Lei è cattiva con se stessa. Io ho un’amante. Io ho un amore. È questo progetto. È il cervello umano, il suo studio, la sua analisi, e tutto quello che potrà derivarne. Quella donna è stata, nel migliore dei casi, una distrazione... nel peggiore, un elemento di distruzione. Questa nostra chiacchierata, che io non ho chiesto, che senza dubbio lei ti ha stimolato a fare...»
«Non è vero» ribatté Morrison.
«Gli stimoli non sono necessariamente evidenti. Questa discussione potrebbe costarmi una notte di sonno così domani, quando avrò bisogno di tutta la mia lucidità, sarò meno lucido. È questa la tua intenzione?»
«No, assolutamente» rispose pacato Morrison.
«Be’, è senz’altro la sua. Non immagini in quanti modi lei abbia tentato di interferire e quante volte ci sia riuscita. Io non la guardo, non le parlo, eppure non mi lascia in pace. Nella sua mente i torti immaginari che avrebbe subito sembrano ancora vivi come il giorno in cui ho rotto con lei. Sì... la sua presenza sulla nave mi infastidisce, e l’ho detto alla Boranova, ma lei sostiene che siamo indispensabili tutti e due. Soddisfatto?»
«Mi spiace Non volevo sconvolgerti così.»
«E cosa volevi? Solo conversare tranquillamente? “Senti, amico, che mi dici di tutti i tradimenti e i brutti scherzi che hai combinato?” Solo due chiacchiere amichevoli?»
Morrison rimase in silenzio, chinando leggermente la testa di fronte alla collera di Konev. Tre persone su cinque a bordo della nave, lui e i due ex amanti, sarebbero state gravate da un senso di ingiustizia intollerabile. Chissà se, a un attento esame, Dezhnev e la Boranova avrebbero rivelato un problema analogo? si chiese Morrison.
Konev disse brusco: «È meglio che tu vada. Ti ho portato qui per soffocare la tua paura del progetto infondendoti la fiamma dell’entusiasmo. Evidentemente, ho fallito. Ti interessano di più i pettegolezzi pruriginosi. Vai, le guardie qui fuori ti accompagneranno al tuo alloggio. Devi dormire.»
Morrison sospirò. “Dormire?”