Capitolo
diciottesimo.
Ritorno?
Il guaio del trionfo è che puoi trovarti dall’altra parte.
DEZHNEV SENIOR
81
Morrison faceva il possibile per controllare i propri sentimenti. Provava un’esultanza naturale. Stava per andare a casa. Sarebbe stato libero. Al sicuro. Molto di più... avrebbe...
Ma non osava ancora pensare a quel punto culminante. Yuri Konev era spaventosamente intelligente, e già sospettoso. I pensieri di Morrison, se Konev si fosse concentrato su di essi, avrebbero potuto tradirsi affiorando in qualche modo dalle sue espressioni facciali.
O stavano solo giocando con lui? Ecco il rovescio della medaglia.
Intendevano distruggerlo nello spirito e piegarlo al loro volere sfruttandolo? Era un vecchio trucco, alimentare le speranze e poi frantumarle... molto peggio che non avere mai un solo barlume di speranza.
Natalya Boranova avrebbe fatto una cosa simile? Non aveva esitato a prelevarlo con la forza quando lui aveva rifiutato di seguirla. Non aveva esitato a minacciare di distruggere per sempre la sua reputazione per farlo salire a bordo. Fin dove sarebbe arrivata? Non si sarebbe arrestata di fronte a nulla?
Ebbe un tuffo al cuore, di sollievo, nel vedere apparire Sophia Kaliinin. Lei sicuramente non si sarebbe mai prestata a un inganno del genere.
Se ne convinse ancor di più quando lei gli sorrise. Non l’aveva mai vista con un’aria così felice. Gli strinse la mano e lo prese a braccetto.
«Andrai a casa, adesso. Sono contenta per te» gli disse, e a Morrison non sembrò proprio che quelle parole, il loro tono, l’espressione di lei, potessero far parte di un’abile bugia.
Tuttavia, disse cauto: «Spero di andare a casa.»
«Certo. Sei mai stato su un aliare?»
Per un attimo, Morrison incespicò nella parola russa, poi usò un’espressione inglese tradotta. «Intendi dire un AES? Un avio a energia solare?»
«Questo è un modello sovietico. Molto migliore. Ha dei motori leggeri. Non sempre ci si può fidare del sole.»
«Ma perché un aliare, allora?» Stavano camminando svelti verso il corridoio che li avrebbe condotti fuori dalla Grotta.
«Perché no? Saremo a Malenkigrad in un quarto d’ora, e dal momento che non sei mai stato su un aliare sovietico ti piacerà. Sarà un altro modo per festeggiare il tuo ritorno.»
«L’altitudine mi rende un po’ nervoso. È sicuro?»
«Assolutamente. E poi, non ho saputo resistere La nostra. adesso, è una situazione splendida, e non so quanto durerà. Tutto quello che vogliamo è concesso... per il momento. Ho detto: “Vorremmo un aliare”, e loro hanno sorriso rispondendo “Oh, certo, dottoressa Kaliinin. Lo troverete pronto”. Ieri l’altro, per un piatto di borscht avrei dovuto compilare un modulo di comprovata necessità. Oggi, sono un’eroina dell’Unione Sovietica... non ufficialmente, per ora. Siamo tutti eroi. Anche tu, Albert.»
«Spero di non dover restare per le cerimonie ufficiali» disse Morrison, ancora circospetto.
«Le cerimonie ufficiali si terranno solo nella Grotta, naturalmente, e saranno molto semplici. Senza dubbio riceverai la tua pergamena. Magari te la consegnerà il nostro ambasciatore a Washington in una cerimonia riservata.»
«Non è necessario. Sarei lusingato, ma in fondo preferisco riceverla per posta.»
Avevano imboccato un corridoio che Morrison non aveva mai percorso, poi avevano camminato abbastanza perché Morrison si chiedesse inquieto dove potessero essere diretti. Preoccupazione inutile, pensò Morrison mentre sbucavano in un piccolo campo d’aviazione.
Impossibile non riconoscere l’aliare. Aveva ali lunghe, rivestite interamente di cellule fotovoltaiche nella parte superiore, in pratica come gli AES americani. I velivoli americani, comunque, si affidavano esclusivamente ai pannelli solari. L’aliare che vedeva aveva dei piccoli rotori, senza dubbio alimentati a benzina, come apparato ausiliario. La Kaliinin era libera di presentarla come una versione perfezionata sovietica, ma Morrison aveva il sospetto che le cellule fotovoltaiche sovietiche fossero meno efficienti di quelle americane.
Accanto all’aliare c’era un meccanico, e la Kaliinin gli si avvicinò con passo sicuro. «Come funziona?»
«È un sogno.»
La Kaliinin annuì e sorrise ma, quando il meccanico si allontanò, mormorò a Morrison: «Lo controllo anch’io, naturalmente. A volte i sogni diventano incubi.»
Morrison studiò l’aliare con un misto di interesse e di apprensione. Sembrava lo scheletro di un aereo con ogni parte più lunga e sottile dei dovuto. La cabina era minuscola, una specie di bolla di sapone sotto l’enorme apertura alare e la lunga appendice posteriore di una fragile struttura scheletrica.
La Kaliinin dovette quasi piegarsi su se stessa per salire. Morrison la osservò mentre armeggiava coi comandi. Poi, dopo un intervallo abbastanza lungo, Sophia rullò lungo la pista, girò l’aliare e tornò indietro. Alzò i rotori e li lasciò girare lenti, quindi spense tutto e smontò.
«Funziona a meraviglia. La riserva di carburante è adeguata e c’è un sole scintillante. Cos’altro potremmo chiedere?»
Morrison annuì e si guardò intorno. «Potremmo chiedere il pilota. Dov’è il nostro uomo?»
La Kaliinin s’irrigidì subito. «Dov’è il nostro uomo? Bisogna appartenere a un sesso particolare per pilotare? Lo piloto io l’aliare.»
«Tu?» sbottò Morrison di riflesso.
«Sì, io! Perché no? Ho il brevetto di pilotaggio. Sali!»
«Scusa» balbettò Morrison. «Io... io volo di rado e pilotare qualcosa nell’aria per me è una cosa quasi mistica. Credevo che un pilota pilotasse e basta, e che chi facesse qualcos’altro non potesse essere un pilota. Capisci quel che voglio dire?»
«Non intendo nemmeno cercare di capire, Albert. Sali!»
Morrison obbedì, seguendo le istruzioni di Sophia e facendo il possibile per non ferirsi la testa con qualche parte del velivolo... o forse per non danneggiare il velivolo.
Si sedette e fissò inorridito il lato aperto alla sua destra. «Non c’è un portello da chiudere?»
«A che scopo un portello chiuso? Rovinerebbe la splendida sensazione del volo. Aggancia la cintura e sarai perfettamente al sicuro... Ecco, ti mostro come fare... Pronto, adesso?» La Kaliinin sedeva accanto a lui, sicura e soddisfatta. Dato lo spazio esiguo i loro corpi si toccavano, e se non altro la cosa aveva un certo effetto calmante su Morrison.
«Rassegnato. Pronto non lo sarò mai.»
«Non essere sciocco. Ti piacerà. Useremo i motori per alzarci.»
Si udì la nota acuta del motore e un battito ritmico mentre i rotori cominciavano a girare. Lentamente l’aliare si alzò e, sempre lentamente, virò. Si piegò di lato, virando, e Morrison si ritrovò a sporgere verso l’apertura tendendo paurosamente la cintura che lo tratteneva. Riuscì a stento a frenare l’impulso di abbracciare la Kaliinin per cercare un po’ di sicurezza che non aveva proprio nulla di erotico.
L’aliare si raddrizzò e la Kaliinin disse «Ora, ascolta» mentre spegneva il motore e premeva un interruttore con la scritta cirillica: SOLARE. Lo scoppiettio cessò e i rotori persero velocità, mentre l’elica anteriore cominciava a girare. L’aliare si mosse lentamente e quasi silenziosamente in avanti.
«Ascolta che pace» mormorò la Kaliinin. «È come galleggiare nel nulla.»
Morrison guardò giù inquieto.
«Non cadremo. Anche se una nuvola oscurasse il sole o un guasto ai circuiti mettesse fuori uso le cellule fotovoltaiche, negli accumulatori abbiamo abbastanza energia da percorrere chilometri, se necessario, e atterrare senza problemi. E se esaurissimo l’energia, l’aliare è una specie di aliante e riuscirebbe ad atterrare tranquillamente. Scommetto che non sarei capace di farlo schiantare neanche se volessi. L’unico vero pericolo è il vento forte, che adesso non c’è.»
Morrison deglutì e disse: «È un movimento dolce.»
«Certo. Non andiamo molto più veloci di un’automobile, e la sensazione è molto più piacevole. L’adoro. Cerca di rilassarti e guarda il cielo. L’aliare è la cosa più riposante che ci sia.»
«Da quanto tempo voli?»
«A ventiquattro anni ho preso il brevetto. Anche Yu... Anche lui. Quanti pomeriggi estivi abbiamo trascorso in cielo su un aliare come questo. Una volta avevamo un aliare da corsa ciascuno e abbiamo tracciato il nostro nodo d’amore nell’aria.» Sophia contrasse leggermente i lineamenti mentre lo diceva, e Morrison intuì che doveva aver chiesto un aliare per il breve viaggio a Malenkigrad solo per rivivere momentaneamente dei ricordi.
«Sarà stato pericoloso» osservò.
«Non proprio... se sai quel che fai. Una volta abbiamo sorvolato bassi le colline ai piedi del Caucaso, e quello sì sarebbe potuto essere pericoloso. Un turbine di vento può farti schiantare contro il fianco di un’altura, e non deve essere affatto divertente... ma eravamo giovani e spensierati... Anche se forse per me sarebbe stato meglio precipitare.»
Si interruppe, e per un attimo si rabbuiò, ma subito un pensiero intimo sembrò illuminarla, e sorrise.
La diffidenza di Morrison ritornò. Perché il pensiero di Konev la rendeva così felice, quando a bordo della nave non lo voleva nemmeno guardare?
«Sembra che non ti dispiaccia parlare di lui, Sophia» disse. Poi usò apposta la parola proibita. «Di Yuri, voglio dire. Anzi, sembra che ti renda felice, parlarne. Come mai?»
E la Kaliinin rispose a denti stretti: «Non sono i ricordi sentimentali a rendermi felice, te lo assicuro, Albert. La rabbia, la frustrazione e... e il crepacuore possono incattivire una persona. Voglio la vendetta e sono abbastanza meschina... be’, abbastanza umana... da assaporarla quando arriva.»
«Vendetta? Non capisco.»
«È semplice, Albert. Lui mi ha privato dell’amore e ha privato mia figlia di un padre quando io non potevo restituire il colpo. Non gli importava, gli bastava il suo sogno di ottenere un tipo di miniaturizzazione pratico e conveniente per poter diventare in un batter d’occhio lo scienziato più famoso del mondo... o della storia.»
«Ma non c’è riuscito. Non abbiamo ottenuto le informazioni necessarie dal cervello di Shapirov. Lo sai.»
«Ah, ma tu non lo conosci. Non si arrende mai, ha le Furie in corpo. Ho visto di sfuggita come ti guardava al termine del viaggio nel corpo di Shapirov. Conosco i suoi sguardi, Albert. Gli leggo i pensieri anche dal movimento di una palpebra. Lui crede che tu abbia la soluzione.»
«Di quel che c’era nel cervello di Shapirov? Non ce l’ho. Come potrei?»
«Non importa che tu l’abbia o no. Lui è convinto di sì e vuole te e il tuo strumento e per questo si strugge come non ha mai fatto in vita sua... sicuramente come non ha mai fatto per me o per sua figlia. E io ti sto portando via da lui, Albert. Con le mie mani ti sto portando via dalla Grotta e ti vedrò partire per il tuo paese. E lo vedrò soffrire in modo atroce per la sua ambizione frustrata.»
Morrison la fissa meravigliato mentre l’aliare procedeva guidato dalla sua mano sicura. Non avrebbe mai immaginato che sul volto della Kaliinin potesse comparire un’espressione di gioia così maligna e divorante.
82
La Boranova aveva ascoltato il racconto concitato di Konev e si sentiva trascinata dalla sua convinzione assoluta. Era già successo, quando Konev aveva deciso che la mente morente di Shapirov poteva essere letta e che Morrison, il neurofisico americano, era la chiave per farlo. Allora si era lasciata trascinare, e adesso cercò di opporsi.
«Sembra assurdo» disse infine.
«Che importanza ha cosa sembra, se è vero?» ribatté Konev.
«Ah, ma è vero?»
«Ne sono sicuro.»
La Boranova mormorò: «Ci vorrebbe Arkady qui, per ricordarci che suo padre gli ha detto che la veemenza non è garanzia di verità.»
«Non è nemmeno garanzia del contrario. Se accetti quel che dico, ti renderai conto che non possiamo lasciarlo andare. Adesso, no di certo, e forse mai.»
La Boranova scosse la testa, risoluta. «È troppo tardi. Non c’è niente da fare. Gli Stati Uniti lo rivogliono e il governo ha risposto affermativamente. A questo punto il governo non può tornare sui propri passi senza provocare una crisi mondiale.»
«Considerando la posta in gioco, Natalya, dobbiamo sicuramente rischiare. La crisi non scoppierà. Ci saranno chiacchiere e messinscene per un paio di mesi, poi se avremo quel che vogliamo potremmo anche lasciarlo andare, se proprio necessario... o potremmo organizzare un incidente»
La Boranova si alzò rabbiosa. «No! Quel che suggerisci è inammissibile. Questo è il ventunesimo secolo, non il ventesimo.»
«Natalya, qualunque secolo sia, si tratta di stabilire se l’Universo dovrà essere nostro... o loro.»
«Lo sai che non riuscirai a convincere Mosca che la posta in gioco è questa. Il governo ha quel che vuole, un viaggio sicuro di andata e ritorno in un corpo umano. Per il momento non desiderano altro. Non hanno mai capito che volevamo leggere la mente di Shapirov. Non gliel’abbiamo mai spiegato.»
«È stato un errore.»
«Via, Yuri. Lo sai quanto tempo sarebbe occorso per convincerli che se Albert non fosse venuto spontaneamente avremmo dovuto rapirlo? Non avrebbero voluto rischiare una crisi... nemmeno una crisi come quella attuale, che è davvero di poco conto. E tu vorresti chiedergli di affrontarne una molto più grande? Non solo non ci riuscirai, li incoraggerai anche a esaminare a fondo la questione dell’arrivo di Albert, e non credo che possiamo permettercelo.»
«Il governo non è compatto. Molti funzionari importanti sono convinti che siamo troppo smaniosi di cedere agli americani, che paghiamo un prezzo troppo alto per le rare pacche che riceviamo. Sono in contatto con certe persone...»
«Lo so da un pezzo. Il tuo è un gioco pericoloso, Yuri. Uomini migliori di te sono rimasti invischiati in intrighi del genere e hanno fatto una brutta fine.»
«È un rischio che devo correre. In un caso come questo, posso rovesciare la posizione del governo. Ma per farlo, ci occorre Albert Morrison. Una volta partito, sarà tutto finito... Quand’è che dovrebbe partire?»
«Questa notte. Sophia e io abbiamo deciso che la notte è meglio del giorno, per evitare di dare nell’occhio e non provocare inutilmente chi è tendenzialmente contrario alla distensione con gli americani.»
Konev fissò la Boranova sbarrando gli occhi fino a farli quasi sporgere. «Sophia? Che c’entra Sophia?»
«Si occupa del ritorno di Albert. L’ha chiesto lei.»
«L’ha chiesto lei?»
«Sì. Immagino che volesse stare con lui ancora un po’.» Con una punta di cattiveria, la Boranova aggiunse: «Forse non l’hai notato, ma l’americano le è molto simpatico.»
Konev fece una smorfia di disgusto. «Assolutamente. Conosco quel demonio. La conosco molto bene... fino all’ultimo pensiero Me lo sta portando via. Sedendogli vicino sulla nave, osservando le sue mosse, deve avere intuito la sua importanza e vuole sottrarmelo. Non aspetterà il buio. Lo farà partire subito.»
Si alzò e abbandonò la stanza di corsa.
«Yuri» chiamò la Boranova. «Yuri, cos’hai intenzione di fare?»
«Fermarla» le giunse la risposta.
La Boranova lo seguì con lo sguardo, pensosa. Lei poteva fermarlo. Aveva l’autorità. Ed i mezzi. Eppure...
E se Yuri avesse avuto ragione? Se la posta in gioco fosse stata davvero nientemeno che l’Universo? Fermandolo, forse tutto sarebbe toccato agli americani. Lasciandolo andare, forse ci sarebbe stata una crisi di proporzioni enormi, come non se ne vedevano da generazioni.
Doveva prendere subito una decisione.
Ricominciò.
Fermandolo, avrebbe fatto qualcosa. Se fosse saltato fuori che Yuri aveva ragione, la colpa di averlo fermato e di aver perso l’Universo sarebbe ricaduta interamente su di lei. Se una volta fermato fosse risultato che Yuri aveva torto l’azione della Boranova sarebbe stata dimenticata. Non c’è nulla di drammatico in un errore non commesso.
Se non avesse fatto nulla per fermarlo, però, tutto il peso della situazione sarebbe gravato sulle spalle di Konev. Se Konev avesse impedito il ritorno di Morrison negli Stati Uniti e il governo poi fosse stato costretto in modo umiliante a rilasciarlo, la colpa sarebbe stata di Konev. La Boranova non avrebbe perso nulla, perché Konev era corso via senza rivelarle le sue intenzioni, e lei non immaginava che avrebbe cercato di violare la volontà del governo. Sarebbe stata in regola. D’altro canto, se Konev avesse impedito il ritorno di Morrison e avesse avuto ragione e il governo avesse vinto la battaglia successiva lei avrebbe potuto rivendicare il merito di non avere fatto nulla per fermarlo. Avrebbe potuto dire che aveva agito col suo permesso.
Dunque, se lo fermava, o la colpa era sua, o non le accadeva nulla. Se restava passiva, o il merito era suo, o non le accadeva nulla.
Così la Boranova non fece niente.