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C’era silenzio quando la nave cominciò a muoversi. L’ambiente esterno era completamente diverso, adesso. Nel flusso sanguigno era presente una varietà di corpi ondeggianti, alcuni scivolavano oltre la nave, altri andavano lentamente alla deriva nella direzione opposta, a seconda della loro forma e dei mulinelli che incontravano, immaginava Morrison. C’era la sensazione del movimento, se non altro perché i segni sulle pareti (placche grasse nelle arterie, ragnatele cellulari nei capillari) scorrevano costantemente all’indietro.
Lì nello spazio intercellulare, invece, c’era stasi. Niente movimento. Nessun segno di vita. Il groviglio di fibre di collagene sembrava una foresta primordiale, fatta solo di tronchi... niente foglie, niente colori, niente suoni, niente movimento.
Non appena la nave si spinse attraverso il viscoso liquido intercellulare, ovunque, ogni cosa cominciò a spostarsi. Lo scafo superò un intreccio di fibre a “V” e, mentre passavano, Morrison ebbe l’impressione di scorgere una spirale allentata che si arrampicava lungo ognuna delle due fibre di collagene, con la spirale più pronunciata su quella più sottile.
Di fronte a loro si stagliava una fibra enorme, un gigante di quella giungla.
«Devi curvare, Arkady» disse Konev. «È arrivato il momento di provare i comandi.»
«D’accordo, e dovrò chinarmi. Non ho i comandi proprio a portata di mano. C’è un limite all’improvvisazione.» Dezhnev si piegò, tastando all’altezza dei polpacci. «Non mi va l’idea di doverlo fare di continuo. È dura per un uomo di costituzione robusta.»
«Per un uomo grasso, vorrai dire» osservò maligno Konev. «Sei diventato flaccido, Arkady. Dovresti dimagrire.»
Dezhnev si drizzò. «Benissimo. Adesso mi fermo, vado a casa e comincio a dimagrire... Ti pare il momento di farmi delle prediche, Yuri?»
«Non è nemmeno il momento di prendersela, Arkady» disse la Boranova. «Vira!»
Dezhnev si chinò, soffocando un grugnito. Lentamente, la nave voltò a destra descrivendo un arco dolce... o, stando più precisamente alle apparenze, la spessa fibra di collagene avvicinandosi scivolò a sinistra, come tutto il resto.
«La colpirai» disse Konev. «Vira più stretto.»
«La nave non vira più di così» rispose Dezhnev. «L’eccentricità dei motori è quella che è, e io non posso farci niente.»
«Allora la colpiremo» disse Konev, la voce sfumata di apprensione.
«E colpiamola» sbottò rabbiosa la Boranova. «Yuri, non farti prendere dal panico inutilmente. La nave è di plastica resistentissima, e quella fibra è senza dubbio elastica.»
Mentre parlava, la prua cominciò a superare la fibra di collagene con scarso margine. Guardando a sinistra era chiaro che la fiancata dello scafo avrebbe toccato. Quando la fibra era quasi all’altezza del sedile della Kaliinin, ci fu l’urto. Non si udì alcuno stridore, solo un sibilo debolissimo. Come aveva detto la Boranova, la fibra era elastica, si era compressa leggermente sotto l’impatto e si era riespansa respingendo la nave... inoltre, il fluido intercellulare con la sua viscosità agiva da ammortizzatore e riduceva l’attrito.
La nave continuò a muoversi e girò a sinistra in direzione della fibra.
Dezhnev disse: «Ho spento il motore non appena ho visto che stavamo per urtare. Questa curva a sinistra che stiamo compiendo è una curva per attrito.»
«Già» fece Konev. «Ma se avessi voluto curvare nell’altra direzione?»
«Avrei usato il motore. O, con buon anticipo, avrei impostato una traiettoria di sfioramento per strusciare contro la fibra a destra, e la fibra ci avrebbe fatto curvare a destra. L’importante, in ogni caso, è usare i motori il meno possibile, e le fibre il più possibile. Innanzitutto, non dobbiamo esaurire troppo in fretta le nostre scorte energetiche. In secondo luogo, l’emissione rapida di energia incrementa le probabilità di deminiaturizzazione spontanea.»
«Cosa!» strillò Morrison. Si rivolse alla Boranova. «È vero?»
«Non è un effetto importante, però è vero. Le probabilità aumentano un po’. Direi comunque che dobbiamo preoccuparci soprattutto del risparmio energetico.»
Morrison non riuscì a frenare la propria collera. «Non vi rendete conto che tutta questa situazione è assurda... anzi, criminale? Siamo su una nave che semplicemente non è all’altezza del compito che deve svolgere, e ogni nostra azione non fa che peggiorare le cose.»
La Boranova scosse la testa. «Albert, per favore... Lo sai che non abbiamo scelta.»
«E poi» sogghignò Dezhnev «se porteremo a termine la missione con questo mezzo inadatto, pensa, i nostri meriti saranno molto più grandi. Saremo eroi. Autentici eroi. Riceveremo di sicuro l’Ordine di Lenin... tutti quanti. È scontato. E se faremo fiasco, è consolante pensare che potremo giustificarci dando la colpa alla nave.»
«Già. Comunque vada, diventerete eroi sovietici, voi» commentò Morrison. «E io?»
La Boranova rispose: «Ricorda, Albert, se riusciremo nell’impresa non ci dimenticheremo di te. Varie volte l’Ordine di Lenin è stato conferito a degli stranieri, compresi parecchi americani. E se per qualche motivo dovessi rifiutare le onorificenze, la validità delle tue teorie verrà dimostrata e potresti ricevere il Premio Nobel prima di uno di noi.»
«Nella nostra posizione, non è il momento di vendere la pelle dell’orso» replicò Morrison. «Mi asterrò dal preparare il mio discorso d’accettazione per il Nobel ancora per un po’, grazie.»
«A proposito di posizione» fece la Kaliinin. «Riusciremo a raggiungere un neurone?»
«Qual è il problema?» disse Dezhnev. «Possiamo spostarci, virare, abbiamo lasciato il capillare e siamo nel cervello. Qua fuori ci sono tutti i neuroni che vogliamo, miliardi di neuroni.»
«Qua fuori, dove?» chiese la Kaliinin. «Non ne vedo. Vedo solo fibre di collagene.
Dezhnev disse: «Secondo voi, quanto fluido intercellulare c’è?»
«Uno strato microscopico, se avessimo dimensioni normali» rispose la Kaliinin. «Ma abbiamo le dimensioni di una molecola di glucosio, quindi potrebbe esserci un chilometro o più da qui al neurone più vicino.»
«Be’, avanzeremo di un chilometro» disse Dezhnev. «Magari ci vorrà un po’ di tempo, ma si può fare.»
«Sì, se potessimo seguire una rotta rettilinea, ma siamo in mezzo a una giungla fitta. Dovremo aggirare chissà quante fibre, e potremmo percorrere cinquanta chilometri e ritrovarci al punto di partenza. Vagheremo in un labirinto e se raggiungeremo un neurone sarà solo per caso.»
«Yuri ha una mappa» osservò Dezhnev, piuttosto sconcertato. «Con la cerebroeccetera di Yuri...»
Konev aggrottò le ciglia e scosse la testa «La mia cerebrografia mostra la rete circolatoria del cervello e la struttura cellulare, però non posso espanderla a un livello tale da riuscire a rilevare la nostra posizione nel fluido intercellulare. Sono dettagli che non conosciamo, e la cerebrografia può darci soltanto i dati che noi inseriamo.»
Morrison guardò attraverso la parete della nave. In tutte le direzioni, fibre di collagene, che si sovrapponevano e li intrappolavano. Era impossibile vedere a una certa distanza, in mezzo a quel groviglio, e lì attorno non c’erano altro che fibre.
Niente cellule nervose! Niente neuroni!