Capitolo primo.
Necessario

 

 

Chi è necessario deve imparare a resistere all’adulazione.

DEZHNEV SENIOR

 

1

 

«Scusate. Parlate russo?» gli disse una voce bassa, da contralto, all’orecchio.

Albert Jonas Morrison si irrigidì sulla sedia. La stanza era buia, e lo schermo del computer sulla piattaforma stava mostrando il suo linguaggio grafico con un’insistenza che gli era sfuggita.

Probabilmente si era appisolato. Quando si era seduto, c’era un uomo alla sua destra. Quand’è che quell’uomo si era trasformato in una donna? Quando si era alzato ed era stato sostituito?

Morrison si schiarì la voce e chiese: «Avete detto qualcosa, signora?» Non la distingueva bene nel buio della sala, e i guizzi di luce del computer, lungi dal rivelare, confondevano ulteriormente. Intravide dei capelli scuri, lisci, che aderivano alla testa, che coprivano le orecchie... niente di artefatto.

Lei disse: «Vi ho chiesto se parlate russo.»

«Sì, certo. Perché volete saperlo?»

«Perché questo faciliterebbe le cose. Il mio inglese a volte lascia a desiderare. Siete il dottor Morrison? A.J. Morrison? Non ne sono sicura, con questo buio. Se mi sono sbagliata, scusatemi.»

«Sono A.J. Morrison. Ci conosciamo?»

«No, ma io conosco voi.» La donna tese la mano, toccandogli leggermente la manica della giacca. «Ho assolutamente bisogno di voi. State ascoltando questo discorso? Non mi sembrava.»

Stavano mormorando, naturalmente.

Morrison si guardò attorno, di riflesso. I presenti in sala non erano numerosi, e non c’era nessuno seduto nelle immediate vicinanze. Ma lui abbassò comunque la voce. «E se anche non stessi ascoltando? Be’?» Era curioso... se non altro perché si annoiava. La conferenza lo aveva fatto addormentare.

Lei disse: «Vorreste venire con me, adesso? Sono Natalya Boranova.»

«Venire con voi, dove, signora Boranova?»

«Al bar, così potremo parlare. È importantissimo.»

Fu così che tutto ebbe inizio. Il fatto che lui si fosse trovato proprio in quella sala, che non fosse stato in guardia, che si fosse sentito abbastanza incuriosito e lusingato da accettare di seguire una donna che affermava di avere bisogno di lui, non aveva proprio alcuna importanza, avrebbe concluso in seguito Morrison.

Lei lo avrebbe trovato in qualsiasi altro posto, lo avrebbe bloccato e si sarebbe fatta ascoltare. In circostanze diverse forse non sarebbe stato così facile, però l’esito sarebbe stato identico. Morrison ne era certo.

Sarebbe stato impossibile sottrarsi.

 

 

2

 

Ora la stava guardando in un ambiente illuminato. Era più vecchia di quel che aveva pensato. Trentasei? Quaranta?

Capelli scuri. Niente grigio. Lineamenti pronunciati. Sopracciglia folte. Mascella decisa. Naso simpatico. Corpo robusto, ma non grasso. Alta quasi quanto lui, malgrado i tacchi bassi. Complessivamente, una donna attraente senza essere bella. Il tipo di donna a cui ci si poteva abituare, concluse Morrison.

Sospirò, perché era di fronte allo specchio e vedeva la propria immagine riflessa. Capelli color sabbia, sempre più radi. Occhi di un azzurro spento. Faccia magra, corpo snello. Naso aquilino, sorriso simpatico. Almeno, Morrison sperava che fosse simpatico. Comunque, non era una faccia che ispirasse il desiderio di rapporti duraturi. In poco più di dieci anni Brenda si era stancata completamente di quella faccia, e Morrison avrebbe festeggiato il quarantesimo compleanno cinque giorni dopo il quinto anniversario della sentenza definitiva e ufficiale di divorzio.

La cameriera portò il caffè mentre sedevano in silenzio studiandosi a vicenda. Morrison infine si rese conto di dover dire qualcosa.

«Niente vodka?» esordì scherzoso.

Natalya Boranova sorrise, e nel farlo sembrò chissà come ancor più russa. «Niente Coca Cola?»

«Come tradizione americana, la Coca Cola almeno è più economica.»

«Giustamente.»

Morrison rise. «Siete così arguta, in russo?»

«Vediamo. Proviamo a parlare russo.»

«Sembreremo due spie.»

L’ultima frase della donna era in russo. Anche la replica di Morrison.

Passare all’altra lingua gli riusciva del tutto naturale. La parlava e la capiva con la stessa facilità dell’inglese. Non poteva essere diversamente. Per tenersi aggiornato in campo internazionale uno scienziato americano doveva avere dimestichezza con il russo, e in pratica il discorso inverso valeva per gli scienziati russi.

Per esempio quella donna, Natalya Boranova, malgrado fingesse di non trovarsi a proprio agio con l’inglese, lo parlava correntemente e aveva solo una lieve inflessione straniera, notò Morrison.

Natalya Boranova disse: «Perché dovremmo sembrare delle spie? In Unione Sovietica ci sono centinaia di migliaia di americani che parlano in inglese, e negli Stati Uniti ci sono centinaia di migliaia di cittadini sovietici che parlano in russo. Non siamo più nei vecchi tempi oscuri.»

«È vero. Scherzavo. Ma in tal caso, perché volete parlare in russo?»

«Questo è il vostro paese, il che vi dà un vantaggio psicologico. Non è vero, dottor Morrison? Usando la mia lingua, riequilibreremo un po’ la situazione.»

Morrison sorseggiò il caffè. «Come volete.»

«Ditemi, dottor Morrison... Mi conoscete?»

«No, non vi ho mai vista prima d’ora.»

«E il mio nome? Natalya Boranova? Mai sentito parlare di me?»

«Perdonatemi. Se foste del mio ramo avrei sentito parlare di voi. Dal momento che non è così, presumo che vi occupiate di un’altra materia... Dovrei conoscervi?»

«Forse avrebbe reso tutto più facile, ma non importa. A ogni modo, io vi conosco. Anzi, so parecchie cose sul vostro conto... Quando e dove siete nato. Che studi avete fatto. So anche che siete divorziato e che avete due figlie che vivono con la vostra ex moglie. Sono al corrente della vostra posizione universitaria e delle vostre ricerche.»

Morrison scrollò le spalle. «Informazioni facilmente reperibili in questa nostra società ultracomputerizzata. Devo essere lusingato o seccato?»

«Perché lusingato o seccato?»

«Dipende... Se intendete dire che sono famoso in Unione Sovietica mi sentirei lusingato. Se invece questo significa che sono stato oggetto di un’indagine, be’, potrebbe essere seccante.»

«Voglio essere del tutto sincera con voi. Ho indagato sul vostro conto... per motivi importanti.»

Morrison fece gelido: «Quali motivi?»

«Innanzitutto, siete un fisico neurale... un neurofisico.»

Morrison aveva finito il caffè e con un cenno aveva chiesto distrattamente che gli riempissero di nuovo la tazza. Quella della Boranova era semivuota, ma sembrava che alla russa il caffè non interessasse più.

«Ci sono altri neurofisici» osservò Morrison.

«Nessuno come voi, però.»

«È chiaro che state cercando di adularmi... E questo perché in fin dei conti non sapete proprio nulla di me... non le cose basilari.»

«Vi riferite alla vostra mancanza di successo? Al fatto che i vostri metodi di analisi delle onde cerebrali in generale non vengono accettati nel settore?»

«Se lo sapete, perché mi cercate?»

«Perché nel nostro paese abbiamo un neurofisico che conosce il vostro lavoro e che lo giudica brillante. Dice che vi siete avventurato nell’ignoto e che potreste sbagliarvi... ma che se vi sbagliate, il vostro è uno sbaglio brillante.»

«Uno sbaglio brillante? Rimane sempre uno sbaglio, mi pare.»

«Secondo il nostro neuro fisico uno sbaglio brillante è sempre uno sbaglio relativo. Anche se vi sbagliaste per certi versi, buona parte di quanto sostenete si dimostrerà utile... Del resto, può darsi che abbiate completamente ragione.»

«Come si chiama questo nobile individuo che mi stima a tal punto? Lo citerò in termini favorevoli nella mia prossima pubblicazione.»

«Si chiama Pyotr Leonovich Shapirov. Lo conoscete?»

Morrison si appoggiò allo schienale della sedia, sorpreso.

«Se lo conosco? Altroché! L’ho conosciuto di persona. Lo chiamavo Pete Shapiro. Qui negli Stati Uniti il mondo scientifico pensa che sia pazzo come me. Se si verrà a sapere che mi appoggia, finirò dalla padella nella brace... Sentite, dite a Pete che apprezzo la sua fiducia, però, se intende davvero aiutarmi, raccomandategli di non dire a nessuno che è dalla mia parte, per favore.»

La Boranova lo guardò con aria di disapprovazione. «Non siete una persona molto seria. Scherzate sempre su tutto?»

«No. Solo su di me. Sono io l’elemento buffo. Ho per le mani qualcosa di eccezionale e non riesco a convincere nessuno. Tranne Pete, a quanto ho appena scoperto, e lui non conta. Ormai non riesco nemmeno a far pubblicare i miei lavori.»

«Venite in Unione Sovietica, allora. Ci sareste utile. Noi sapremmo utilizzare le vostre idee.»

«No, no. Non ho intenzione di emigrare.»

«E chi ha parlato di emigrare? Se volete rimanere cittadino americano, liberissimo. Ma in passato avete visitato l’Unione Sovietica, potete visitarla ancora e fermarvi un po’. Poi tornerete nel vostro paese.»

«Perché?»

«Voi avete delle idee assurde, e noi pure. Forse le vostre serviranno alle nostre.»

«Quali idee assurde? Mi riferisco alle vostre. Le mie le conosco bene.»

«Prima di discuterne dovrei sapere se siete disposto ad aiutarmi.»

Morrison, ancora appoggiato allo schienale della sedia, percepiva in modo vago il ronzio attorno a lui, il rumore della gente che beveva, mangiava, chiacchierava... per la maggior parte, partecipanti al congresso, ne era certo. Fissò quella donna russa tanto caparbia che accettava le idee assurde e si domandò che razza di...

Si irrigidì e di colpo sbottò in un’esclamazione. «Boranova! Sì, certo che ho sentito parlare di voi! È stato Pete Shapiro a parlarmene. Voi siete...

Preso dall’eccitazione, Morrison stava parlando in inglese, e la mano di Natalya Boranova calò sulla sua, premendogli le unghie sulla pelle.

Morrison si interruppe, soffocando un gemito, e lei tolse la mano dicendo: «Scusate, non intendevo farvi male.»

Lui fissò i segni sulla mano. In un punto si sarebbe formato un lieve livido, rifletté. Quindi disse sottovoce in russo: «Siete la Miniaturizzatrice.»