Capitolo
quinto.
Coma
La vita è piacevole. La morte è pace. È la transizione a essere penosa.
DEZHNEV SENIOR
19
«Questa è la mia parte di Grotta» disse Natalya Boranova.
Si sedette su una poltrona piuttosto sgangherata che (concluse Morrison) doveva trovare comodissima, avendola modellata col corpo nel corso degli anni.
Morrison si sedette su una sedia più piccola e più austera, rivestita di raso, meno comoda di quel che sembrava. Si guardò attorno provando un acuto senso di nostalgia. Per certi versi quell’ambiente gli ricordava il suo ufficio. C’erano il terminale del computer e l’ampio schermo. (L’ufficio della Boranova era molto più adorno del suo. Lo stile sovietico tendeva al fronzolo, e Morrison preso da una curiosità momentanea se ne domandò il motivo, ma accantonò subito la domanda giudicandola futile.)
C’era anche la stessa atmosfera di disordine... pile di tabulati dall’odore caratteristico, qualche libro antiquato tra i nastri. Morrison cercò di leggere il titolo di un libro, ma era troppo lontano e troppo logoro. (I libri avevano sempre un aspetto vecchio, anche da nuovi.) Quello sembrava un libro in inglese, il che non lo avrebbe sorpreso. Lui stesso aveva parecchi classici russi in laboratorio, per ripassare di tanto in tanto la lingua.
La Boranova disse: «Siamo perfettamente isolati, qui. Nessuno ci può sentire, e non verremo disturbati. Più tardi possiamo farci servire il pranzo.»
«Siete gentile» disse Morrison, cercando di non apparire sardonico.
La Boranova sembrò interpretare le sue parole alla lettera. «Affatto. E adesso, dottor Morrison, non ho potuto fare a meno di notare che Arkady si rivolge a voi con notevole confidenza. Naturalmente, sotto certi aspetti è un individuo incolto ed è propenso a trattare con familiarità eccessiva... Comunque, se mi è consentito chiedervelo ancora... malgrado il modo in cui siete giunto qui, non potremmo instaurare un rapporto cordiale e informale?»
Morrison esitò. «Be’, chiamatemi Albert, allora. Ma solo per comodità, non come segno di amicizia. È improbabile che dimentichi il mio rapimento.»
La Boranova si schiarì la voce. «Ho cercato di persuadervi a venire spontaneamente. Se le nostre esigenze non fossero state così impellenti, non saremmo arrivati a tanto.»
«Se vi sentite a disagio per quel che avete fatto, rimandatemi negli Stati Uniti. Mandatemi a casa adesso, e io dimenticherò questo episodio e non denuncerò il fatto al mio governo.»
La Boranova scosse lentamente la testa. «Sapete che è impossibile. Le esigenze sono ancora impellenti. Tra poco capirete cosa intendo dire. Ma intanto, Albert, parliamo un po’, seriamente, come membri della comunità scientifica mondiale che si pone al di sopra delle questioni di nazionalità e delle altre distinzioni artificiali tra esseri umani... Sicuramente, ormai avrete accettato la realtà della miniaturizzazione.»
«Devo accettarla.» Morrison scosse la testa, quasi con rammarico.
«E vi rendete conto del nostro problema?»
«Sì. Troppo dispendiosa dal punto di vista energetico.»
«Ma immaginate se abbassassimo in modo drastico il costo energetico, se riuscissimo a ottenere la miniaturizzazione allacciandoci a una normale presa di corrente e assorbendo la stessa energia necessaria per un tostapane...»
«D’accordo... però a quanto pare è impossibile. O, in ogni caso, voi non siete in grado di farlo. Perché tanta segretezza, allora? Perché non divulgate i risultati già ottenuti e accettate la collaborazione del resto della comunità scientifica? La segretezza lascia spazio all’ipotesi che l’Unione Sovietica intenda usare la miniaturizzazione come arma, un’arma abbastanza potente da consentire forse al vostro paese di rompere l’intesa reciproca che ha creato in tutto il mondo una situazione di pace e di cooperazione che dura ormai da un paio di generazioni.»
«No. L’Unione Sovietica non mira all’egemonia mondiale.»
«Lo spero. Eppure se l’Unione Sovietica vuole la segretezza, qualche membro dell’alleanza mondiale finirà col sospettare che voglia il dominio.»
«Gli Stati Uniti hanno i loro segreti, no?»
«Non lo so. Il governo americano non si confida con me. Se hanno dei segreti, e in effetti credo proprio che li abbiano, be’, disapprovo anche in questo caso. Ma spiegatemi perché è necessario avere segreti. Che importa se la miniaturizzazione la sviluppate voi, o noi, o entrambi in collaborazione... o gli africani, se è per questo? Noi americani abbiamo inventato l’aeroplano e il telefono, eppure li avete anche voi. Abbiamo raggiunto la Luna per primi, eppure avete la vostra parte di insediamenti lunari. D’altro canto, voi siete stati i primi a risolvere il problema dell’energia di fusione e a costruire una centrale solare nello spazio, e noi usufruiamo pienamente di ambedue le cose.»
La Boranova disse: «Quel che dite è vero. Tuttavia da oltre un secolo il mondo intero dà per scontata la superiorità della tecnologia americana su quella sovietica. È un fatto irritante per noi, e ci farebbe senz’altro piacere se, in qualcosa di fondamentale e rivoluzionario come la miniaturizzazione, risultasse in modo chiaro che l’Unione Sovietica ha aperto la strada.»
«E la comunità scientifica mondiale che chiamate in causa? Ne fate parte o siete soltanto una scienziata sovietica?»
«Entrambe le cose» rispose la Boranova con una sfumatura di rabbia. «Se dipendesse da me, forse darei libero accesso alle nostre scoperte Ma non sono io a decidere. È il mio governo che decide, e io gli devo lealtà. Del resto, anche se volessimo fare diversamente, voi americani non ci facilitate le cose. Continuando a sbandierare la vostra pretesa superiorità Ci costringete ad assumere un atteggiamento difensivo.»
«Ma il fatto di dover chiedere aiuto proprio a un americano come me non intaccherà l’orgoglio sovietico per questa grande realizzazione?»
«Be’, sì... è un boccone un po’ amaro da inghiottire, ma almeno gli Stati Uniti avranno un ruolo nell’impresa, che noi riconosceremo, Albert. Voi vi dimostrerete un vero patriota americano e migliorerete la vostra reputazione se ci aiuterete.»
Morrison fece un sorriso amaro. «Intendete corrompermi?»
La Boranova si strinse nelle spalle. «Se volete vedere la cosa in questi termini, non posso certo impedirvelo. Ma adesso parliamo amichevolmente e vediamo cosa ne uscirà.»
«In tal caso? cominciate col darmi qualche informazione. Ora che devo credere per forza che la miniaturizzazione è possibile, potreste dirmi gli elementi fisici di base del processo? Sono curioso.»
«Via, non siate così ingenuo, Albert. Per voi sarebbe pericoloso scoprire troppe cose. Non potremmo lasciarvi tornare nel vostro paese, vi pare? E poi, anche se so azionare il sistema miniaturizzante, neppure io conosco gli elementi di base. Se li conoscessi, il nostro governo difficilmente correrebbe il rischio di inviarmi negli Stati Uniti.»
«Intendete dire che potremmo rapirvi, come voi avete rapito me. Credete che il governo statunitense pratichi il rapimento?»
«Sono sicurissima che lo farebbe in caso di necessità.»
«E chi sono le persone che conoscono gli elementi di base della miniaturizzazione?»
«Anche questa è una cosa che vi conviene non sapere. Comunque, a questo proposito posso farvi una piccola rivelazione. Pyotr Shapirov è una di quelle persone.»
«Peter il Pazzo» sorrise Morrison. «Non mi sorprende, se devo essere sincero.»
«Non dovreste essere sorpreso, infatti. Sicuramente la definizione “pazzo” è solo una delle vostre battute, perché è stato lui il primo a elaborare i fondamenti della miniaturizzazione. Certo» aggiunse la Boranova pensierosa «può darsi benissimo che questo abbia richiesto un briciolo di pazzia... o in ogni caso una certa idiosincrasia di pensiero... Inoltre, Shapirov è stato il primo a suggerire un modo per ottenere la miniaturizzazione con un consumo energetico minimo.»
«Come? Trasformando la deminiaturizzazione in un campo elettromagnetico?»
La Boranova fece una smorfia. «Il mio era solo un esempio. Il metodo di Shapirov è molto più ingegnoso.»
«Non è possibile spiegarlo?»
«Solo in maniera approssimativa. Shapirov fa notare che i due grandi aspetti della teoria unificata dell’Universo, l’aspetto quantistico e l’aspetto relativistico, dipendono ognuno da una costante che pone un limite. Nella teoria dei quanti è la costante di Planck, che è molto piccola ma non è zero. Nella relatività, è la velocità della luce, che è molto grande ma non infinita. La costante di Planck fissa un limite inferiore alle dimensioni del trasferimento di energia, e la velocità della luce fissa un limite superiore alla velocità della trasmissione di informazioni. Shapirov sostiene che le due cose sono collegate. In altre parole, diminuendo la costante di Planck, la velocità della luce aumenterebbe. Riducendo a zero la costante di Planck, la velocità della luce dunque dovrebbe essere infinita.»
Morrison osservò subito: «In tal caso, l’Universo sarebbe newtoniano nelle sue proprietà.»
La Boranova annuì. «Sì. Stando a Shapirov, allora, l’enorme consumo energetico della miniaturizzazione è dovuto al fatto che i due limiti sono sganciati, che la costante di Planck viene diminuita senza che la velocità della luce sia aumentata. Se fossero accoppiati, l’energia fluirebbe dal limite della velocità della luce al limite della costante di Planck durante la miniaturizzazione, e nella direzione opposta durante la deminiaturizzazione, così la velocità della luce salirebbe in fase di miniaturizzazione e tornerebbe a scendere nella deminiaturizzazione. Il rendimento dovrebbe essere quasi del cento per cento. Sarebbe necessaria pochissima energia per miniaturizzare, e la riespansione potrebbe avvenire molto rapidamente.»
Morrison disse: «Shapirov sa come si possano effettuare la miniaturizzazione e la de miniaturizzazione con i due limiti accoppiati?»
«Diceva di saperlo.»
«Diceva? Questo per caso significa che ha cambiato idea?»
«Non proprio.»
«Allora cosa ha fatto?»
La Boranova esitò. «Albert» disse in tono quasi supplichevole «non correte troppo. Voglio che riflettiate. Sapete che la miniaturizzazione funziona. Sapete che è possibile, ma non è pratica. Sapete che sarebbe un vantaggio notevole per l’umanità, e io vi ho assicurato che non è destinata a usi distruttivi o bellici. Quando sapremo che alla nostra nazione verrà riconosciuto il merito primario, riconoscimento che vogliamo per i motivi psicologici che vi ho illustrato con la massima franchezza, sono certa che divideremo la miniaturizzazione con il resto del mondo.»
«Davvero, Natalya? Se la situazione fosse inversa, vi fidereste degli Stati Uniti?»
«Fidarsi!» sospirò la Boranova. «Non è facile per nessuno. È il punto debole dell’umanità, leggere sempre le peggiori intenzioni negli altri. Eppure la fiducia deve pur cominciare da qualche parte, o il fragile atteggiamento di cooperazione che dura da tanto tempo si sgretolerà e torneremo al ventesimo secolo con tutti i suoi orrori. Dal momento che sono così convinti di essere la nazione più forte e più progredita, non dovrebbero essere gli Stati Uniti a rischiare per primi un atto di fiducia?»
Morrison allargò le braccia. «Non posso rispondere. Sono un privato cittadino, e non rappresento la mia nazione.»
«Come privato cittadino potete aiutarci, sapendo che non danneggerete il vostro paese.»
«Come posso sapere che non lo danneggerò... ho solo la vostra parola, e credo che nemmeno voi rappresentiate la vostra nazione. Ma tutto questo è irrilevante, Natalya. Anche se volessi, come diavolo posso aiutarvi a perfezionare la miniaturizzazione, trattandosi di un argomento di cui non so nulla?»
«Abbiate pazienza. Tra poco pranzeremo. Dezhnev e la Kaliinin avranno finito di deminiaturizzare Katinka entro allora, e ci raggiungeranno, assieme a un’altra persona che dovete conoscere. Poi, dopo pranzo, vi porterò da Shapirov.»
«Non so, Natalya... Poco fa mi avete detto che per me sarebbe pericoloso incontrare persone al corrente dei fondamenti della miniaturizzazione. Potrei apprendere troppe cose, il che creerebbe forse dei problemi riguardo il mio ritorno negli Stati Uniti. Quindi, perché dovrei vedere Shapirov? Rischierei, no?»
L’espressione triste, la Boranova disse: «Shapirov è un’eccezione. Vi garantisco che capirete quando lo vedrete... e capirete anche perché ci siamo rivolti a voi.»
«Questo non lo capirò mai» replicò Morrison con tutta la convinzione con cui ultimamente aveva sostenuto l’impossibilità della miniaturizzazione.
20
Pranzarono in una stanza bene illuminata, dove parte delle pareti e tutto il soffitto erano elettroluminescenti. La Boranova lo aveva fatto notare con palese orgoglio, e Morrison si era astenuto dal fare paragoni con gli Stati Uniti, dove l’elettroluminescenza era assai diffusa.
Né espresse il proprio divertimento per il fatto che malgrado l’elettroluminescenza ci fosse un piccolo lampadario al centro del soffitto. Le sue lampadine non rendevano certo più intensa l’illuminazione, però indubbiamente il lampadario dava alla stanza un’aria meno asettica.
Come annunciato dalla Boranova, una quinta persona si era unita a loro, e Morrison venne presentato a un tale Yuri Konev. «Un neurofisico come voi, Albert» spiegò la Boranova.
Konev, un tipo bruno prestante che dimostrava circa trentacinque anni, aveva un’aria giovanile quasi goffa. Strinse la mano a Morrison con cauta curiosità e, in ottimo inglese parlato con uno spiccato accento americano, disse: «Sono davvero felice di conoscervi.»
«Siete stato negli Stati Uniti, immagino» osservò Morrison, sempre in inglese.
«Ho trascorso due anni alla Harvard University per un corso di specializzazione. È stata un’occasione splendida per perfezionare il mio inglese.»
«Tuttavia» intervenne in russo la Boranova «il dottor Albert Morrison se la cava egregiamente con la nostra lingua, Yuri, e dobbiamo offrirgli l’opportunità di usarla, nel nostro paese.»
«Certo» fece Konev in russo.
Morrison aveva quasi dimenticato di trovarsi sottoterra. Non c’erano finestre nella stanza, ma era un fatto abbastanza comune anche nei grandi edifici amministrativi in superficie.
Non fu un pasto vivace. Arkady Dezhnev mangiò con silenziosa concentrazione, e Sophia Kaliinin sembrava distratta. Di tanto in tanto guardava Morrison, ignorando del tutto Konev. La Boranova osservava tutti, ma era per lo più taciturna, accontentandosi evidentemente di lasciare il bandolo della conversazione a Konev.
«Dottor Morrison» fece Konev «devo dirvi che ho seguito attentamente il vostro lavoro.»
Morrison, che stava gustando la zuppa di cavoli, alzò gli occhi sorridendo. Era il primo accenno al suo lavoro, piuttosto che al loro lavoro, da quando era giunto in Unione Sovietica.
«Grazie per il vostro interesse... comunque, Natalya e Arkady mi chiamano Albert, e sarebbe un po’ difficoltoso dover rispondere a nomi diversi. Anzi, diamoci tutti del tu, nel breve periodo di tempo che resta prima che torni nel mio paese.»
«Aiutaci» disse la Boranova sottovoce «e sarà davvero un periodo breve.»
«Niente condizioni» fece con voce altrettanto bassa Morrison. «Voglio andarmene.»
Konev alzò il tono, quasi a incanalare di nuovo la conversazione nella direzione che aveva scelto. «Però devo ammettere, Albert, che non sono riuscito a confermare le tue osservazioni.»
Morrison serrò le labbra. «I neurofisici statunitensi si sono lamentati della stessa cosa.»
«Ora, com’è possibile? L’accademico Shapirov è affascinato dalle tue teorie e sostiene che probabilmente hai ragione, almeno in parte.»
«Ah, ma Shapirov non è un neurofisico, vero?»
«No, non lo è, però ha un intuito straordinario per le cose giuste. Che mi risulti, ogni volta che ha detto che aveva l’impressione che una cosa dovesse essere giusta quella data cosa si è sempre rivelata giusta... almeno, in parte. Shapirov sostiene che probabilmente sei sulla strada giusta per creare un interessante ritrasmettitore.»
«Un ritrasmettitore? Non capisco cosa voglia dire.»
«Gliel’ho sentito dire una volta. Un suo pensiero intimo, senza dubbio.» Konev lanciò un’occhiata penetrante a Morrison, quasi aspettasse una spiegazione.
Morrison si limitò a stringersi nelle spalle. «Io ho solo creato un nuovo tipo di analisi delle onde cefaliche che hanno origine nel cervello, e ho ristretto il campo di indagine a una rete specifica del cervello responsabile del pensiero creativo.»
«Forse sei un po’ troppo ottimista, Albert. Non sono convinto che questa tua rete esista davvero.»
«I miei risultati lo indicano in modo chiaro.»
«Nei cani e nelle scimmie. Non si sa di preciso fino a che punto possiamo applicare tali informazioni alla struttura ben più complessa del cervello umano.»
«Ammetto di non avere lavorato col cervello umano, anatomicamente, ma ho analizzato attentamente le onde cerebrali umane e i risultati almeno sono compatibili con la mia ipotesi della struttura creativa.»
«È questo che non sono riuscito a confermare, e che nemmeno i ricercatori americani forse sono riusciti a confermare.»
Morrison scrollò ancora le spalle. «Un’analisi adeguata delle onde cerebrali è, nel migliore dei casi, una cosa di enorme difficoltà a livello quintenario, e nessun altro ha dedicato al problema tutti gli anni che io gli ho dedicato.»
«Né possiede una particolare apparecchiatura computerizzata. Tu hai ideato un tuo programma per l’analisi delle onde cerebrali, vero?»
«Sì.»
«E lo hai descritto nelle pubblicazioni scientifiche?»
«Certo. Se ottenessi dei risultati con un programma misterioso, non avrebbero alcun valore. Chi potrebbe confermarli, non disponendo di un programma equivalente?»
«Eppure, al Convegno internazionale di neurofisica di Bruxelles, l’anno scorso, ho sentito che modifichi di continuo il tuo programma e che ti lamenti che la mancanza di conferme deriva dall’uso di programmazioni insufficientemente complesse, incapaci di effettuare l’analisi di Fourier col giusto grado di sensibilità.»
«No, Yuri, è falso. Completamente falso. Di tanto in tanto ho modificato il mio programma, ma ho descritto con precisione ogni modifica su Computer Technology. Ho provato a pubblicare i dati sull’American Journal of Neurophysics, ma negli ultimi anni non hanno accettato le mie relazioni. Se certa gente si limita a leggere l’AJN e non segue le altre pubblicazioni importanti, non è colpa mia.»
«Eppure...» Konev si interruppe e corrugò la fronte indeciso. «Forse non dovrei dirlo, perché potrei contrariarti ancora...»
«Parla pure. Negli ultimi anni ho imparato ad accettare ogni genere di osservazioni... ostili, sarcastiche e... quel che è peggio... di compatimento. Sono temprato... Tra parentesi, ottimo questo pollo alla Kiev.»
«Un pranzo speciale per gli ospiti» sussurrò la Kaliinin. «Troppo grasso... nocivo alla linea.»
«Ah!» intervenne Dezhnev. «Nocivo alla linea. Un tipico commento americano privo di senso in russo. Mio padre diceva sempre: “Il corpo sa di cosa ha bisogno. Ecco perche certe cose hanno un buon sapore”.»
La Kaliinin chiuse gli occhi disgustata. «Una ricetta per il suicidio» osservò.
Morrison notò che Konev non aveva guardato minimamente la giovane donna durante quel breve scambio verbale. Disse: «Stavi dicendo, Yuri? A proposito di qualcosa che secondo te potrebbe contrariarmi?»
«Be’, allora, è vero, Albert, che hai dato il tuo programma a un collega e che, usandolo col tuo computer, lui non è riuscito ugualmente a ottenere i tuoi risultati?»
«È vero» rispose Morrison. «Almeno, il mio collega, una persona di una certa competenza, ha detto di non riuscire a ottenere i miei risultati.»
«Sospetti che stesse mentendo?»
«No. Non proprio. È solo che si tratta di un esame delicatissimo... e farlo partendo con la certezza di fallire, be’, secondo me può anche condizionare e provocare un fallimento.»
«Non si potrebbe fare anche il ragionamento inverso, Albert, e dire che la tua certezza di successo ti porta a immaginare il successo?»
«Può darsi» rispose Morrison. «Mi è stato fatto notare diverse volte in passato... Però non credo.»
«Un’altra voce che circola» continuò Konev. «Detesto tirare in ballo questa storia, ma sembra una cosa molto importante... È vero che hai affermato che analizzando le onde cerebrali alcune volte hai percepito dei pensieri veri e propri?»
Morrison scosse la testa energicamente. «Mai fatto ufficialmente un’affermazione del genere. Ho detto a un collega, un paio di volte, che concentrandomi sull’analisi delle onde cerebrali certe volte mi sembra che dei pensieri mi invadano la mente. Non so dire se si tratti di pensieri completamente miei o se le mie onde cerebrali entrino in risonanza con quelle del soggetto.»
«È concepibile una risonanza del genere?»
«Credo di sì. Le onde cerebrali producono minuscoli campi elettromagnetici fluttuanti.»
«Ah! Ecco, probabilmente, cosa ha spinto l’accademico Shapirov a fare quell’osservazione riguardo un ritrasmettitore! Le onde cerebrali producono sempre campi elettromagnetici fluttuanti... con o senza analisi. Ammesso che si tratti di risonanza, non si entra in risonanza coi pensieri di qualcuno in nostra presenza, per quanto possano essere intensi. La risonanza avviene solo quando stai studiando le onde cerebrali col tuo computer programmato. Presumibilmente funge da ritrasmettitore, amplificando o intensificando le onde cerebrali del soggetto e proiettandole nella tua mente.»
«Non ho nessuna prova che sia così, a parte qualche impressione passeggera. Non è sufficiente.»
«Può darsi che lo sia. Il cervello umano è molto più complesso di qualsiasi altra massa di materia equivalente che noi conosciamo.»
«E i delfini?» intervenne Dezhnev, con la bocca piena.
«Un’idea screditata» disse subito Konev. «Sono intelligenti, ma il loro cervello è troppo preso dalle minuzie del nuoto perché ci sia spazio sufficiente per il pensiero astratto a livello umano.»
«Non ho mai studiato i delfini» fece Morrison indifferente.
«Lascia perdere i delfini» disse Konev con impazienza. «Pensa soltanto al fatto che il tuo computer, adeguatamente programmato, può fungere da ritrasmettitore, passando i pensieri dalla mente del soggetto che stai studiando alla tua mente. Se è così, Albert, abbiamo proprio bisogno di te e di nessun altro al mondo.»
Corrugando la fronte, Morrison allontanò la sedia dal tavolo. «Anche se posso captare i pensieri mediante il mio computer... un’affermazione che non ho mai fatto e che, anzi, respingo... questo che c’entra con la miniaturizzazione, eh?»
La Boranova si alzò e controllò l’orologio. «È ora» disse. «Andiamo da Shapirov, adesso.»
Morrison fece: «Quello che dirà non farà nessuna differenza per me.»
«Vedrai che non dirà nulla» replicò la Boranova, con una sfumatura tagliente nella voce «ma che sarà ugualmente molto convincente.»
21
Morrison aveva mantenuto la calma finora. I sovietici, in fin dei conti, lo stavano trattando come un ospite e a parte il piccolo particolare del sistema con cui l’avevano trascinato lì non aveva in pratica di che lamentarsi.
Ma dove volevano arrivare? Uno per uno, la Boranova gli aveva presentato gli altri (prima Dezhnev, poi la Kaliinin, infine Konev) per ragioni che lui non aveva afferrato. Ripetutamente, la Boranova aveva accennato alla sua utilità senza dire però in cosa consistesse. Konev ne aveva appena parlato ma era stato altrettanto oscuro.
E adesso avrebbero incontrato Shapirov. Chiaramente, quella doveva essere una svolta cruciale. Da quando la Boranova aveva fatto il suo nome per la prima volta al congresso due giorni addietro, Shapirov aveva aleggiato sull’intera faccenda come uno strato di nebbia sempre più fitto. Era lui che aveva messo a punto il processo di miniaturizzazione, che sembrava cogliere un legame tra la costante di Planck e la velocità della luce, che sembrava apprezzare le teorie neurofisiche di Morrison, che aveva fatto quello strano commento... la frase a proposito del computer visto come ritrasmettitore in seguito alla quale Konev si era dichiarato convinto che Morrison, e solo Morrison, poteva aiutarli.
Ora a Morrison non restava che resistere alle lusinghe e alle argomentazioni di Shapirov. Se avesse insistito che non voleva aiutarli, cosa avrebbero fatto constatando l’inutilità delle lusinghe e delle argomentazioni?
Avrebbero brutalmente minacciato di ricorrere alla forza... alla tortura?
Al lavaggio del cervello?
Morrison vacillò. Per rifiutare, meglio non dire che non voleva aiutarli. Doveva persuaderli che non poteva. Quella era sicuramente una giustificazione ragionevole. Cosa poteva entrarci la neurofisica, soprattutto una teoria neurofisica dubbia e rifiutata, con la miniaturizzazione?
Ma perché non lo capivano da soli? Perché si comportavano tutti come se fosse concepibile che una persona come lui, che non aveva mai pensato alla miniaturizzazione fino a quarantotto ore prima, potesse fare qualcosa per loro... loro, gli unici esperti del settore... qualcosa che nemmeno loro erano in grado di fare?
Fu un lungo percorso attraverso una serie di corridoi e, immerso in quei pensieri poco tranquillizzanti, Morrison non si era accorto che il gruppetto si era assottigliato.
D’un tratto chiese alla Boranova: «Dove sono gli altri?»
«Devono sbrigare del lavoro. Sai, non abbiamo a disposizione l’eternità per fare quel che dobbiamo fare.»
Morrison scosse la testa. Non erano tipi loquaci. Nessuno si lasciava sfuggire un minimo d’informazioni. Sempre con le labbra cucite. Una vecchia abitudine sovietica, forse... o qualcosa che avevano acquisito lavorando a un progetto segreto in cui nemmeno gli scienziati osavano uscire dai limiti ristretti del loro compito specifico.
Che si fossero rivolti a lui credendolo un miracoloso esperto generico americano? Ma lui non aveva mai fatto nulla che potesse dare quell’impressione. Per dire il vero, era uno specialista che agiva in un campo ristretto, e in pratica non sapeva nulla che esulasse dalla neurofisica... Quello era un grave difetto della scienza moderna, rifletté.
Avevano preso un altro ascensore, cosa che Morrison aveva notato distrattamente, e adesso si trovavano su un altro livello. Morrison si guardò attorno e riconobbe dei particolari che evidentemente trascendevano le differenze nazionali.
«Siamo in un’ala medica?» chiese.
«In un ospedale» rispose la Boranova. «La Grotta è un complesso scientifico autosufficiente.»
«E perché siamo qui? Volete...» Morrison si interruppe di colpo, colpito da un pensiero orrendo. Volevano drogarlo o renderlo più malleabile con qualche altro sistema medico?
La Boranova, che per un attimo aveva continuato a camminare, si fermò, si voltò e tornò verso di lui dicendo seccata: «E adesso cos’è che ti spaventa?»
Morrison si vergognò. Le sue espressioni facciali erano così trasparenti? «Nulla» borbottò. «Sono solo stanco di camminare senza scopo.»
«Cosa ti fa pensare che stiamo camminando senza scopo? Ti ho detto che avremmo visto Pyotr Shapirov. Bene, stiamo andando da lui, adesso... Vieni, mancano appena pochi passi.»
Girarono un angolo e la Boranova gli fece cenno di avvicinarsi a una finestra.
Morrison le si affiancò e guardò dentro. Era una stanza, e c’erano delle persone all’interno. C’erano quattro letti, ma solo uno era occupato ed era circondato da attrezzature che Morrison non riconobbe. C’erano tubi e oggetti di vetro che raggiungevano il letto, e Morrison contò una dozzina di presenti, che avrebbero potuto essere dottori, infermiere o tecnici medici.
La Boranova annunciò: «Ecco l’accademico Shapirov.»
«Qual è?» chiese Morrison, spostando lo sguardo da una persona all’altra e non trovandone nessuna che assomigliasse allo scienziato che ricordava di avere incontrato una volta.
«Quello a letto.»
«Quello a letto? Ma, è ammalato?»
«Peggio. È in coma. È in coma da più di un mese e temiamo proprio che sia uno stato irreversibile.»
«Mi spiace moltissimo. Ecco perché prima di pranzo riferendoti a lui hai usato il passato.»
«Sì, lo Shapirov che conosciamo appartiene al passato, a meno che...»
«Non si riprenda? Ma hai appena detto che probabilmente si tratta di un coma irreversibile.»
«È vero. Però il suo cervello non è morto. È rimasto leso, questo sì, altrimenti lui non sarebbe in coma, ma non è morto e Konev, che ha seguito attentamente il tuo lavoro, ritiene che parte della sua rete pensante sia ancora intatta.»
«Ah!» esclamò Morrison, mentre il velo di mistero si diradava. «Comincio a capire. Perché non mi avète spiegato tutto subito? Se volevate consultarmi su questo argomento e vi foste spiegati, forse sarei stato disposto a venire qui spontaneamente. D’altro canto, se studiassi le funzioni cerebrali di Shapirov e vi dicessi: “Sì, Yuri Konev ha ragione”, voi sareste ancora al punto di partenza, no?»
«Infatti. Ma, vedi, non hai ancora capito, e io non posso spiegarti esattamente cosa voglio finché non avrai afferrato il problema. Lo sai cos’è sepolto là, nella parte ancora viva del cervello di Shapirov?»
«I suoi pensieri, immagino.»
«Per la precisione, i suoi pensieri riguardo il collegamento tra la costante di Planck e la velocità della luce. I suoi pensieri riguardo un metodo per rendere la miniaturizzazione e la deminiaturizzazione rapide, poco dispendiose e pratiche. Con quei pensieri, noi daremo all’umanità una -tecnica che rivoluzionerà la scienza e la tecnologia, e la società, più di qualsiasi altra cosa dall’invenzione del transistor in poi... forse addirittura più di qualsiasi altra cosa dopo la scoperta del fuoco. Chissà?»
«Sicura di non esagerare?»
«No, Albert, non esagero. Non hai pensato che riuscendo a collegare la deminiaturizzazione con un’accelerazione della velocità della luce, un’astronave, miniaturizzata sufficientemente, potrà essere inviata in qualsiasi parte dell’Universo a una velocità fantastica? Non avremo bisogno della propulsione ultraluce. La luce viaggerà abbastanza rapidamente per noi. E non avremo bisogno dell’antigravità, perché una nave miniaturizzata avrà una massa vicina allo zero.»
«Non posso crederci.»
«Non credevi nemmeno alla miniaturizzazione.»
«Non intendo dire che non credo ai risultati della miniaturizzazione. Voglio dire che non riesco a credere che la soluzione del problema sia chiusa per sempre nel cervello di un unico uomo. Altri uomini ci penseranno, prima o poi... Magari, non adesso, ma il prossimo anno o tra dieci anni.»
«È facile aspettare quando non si è coinvolti direttamente, Albert. Il guaio è che non disponiamo di una decina d’anni, anzi... neppure di un anno. Questa Grotta che vedi attorno a te è costata all’Unione Sovietica quanto una piccola guerra. Ogni volta che miniaturizziamo qualcosa, anche se si tratta solo di Katinka, consumiamo l’energia assorbita in un giorno da una grande città. I capi del nostro governo guardano già di traverso una simile spesa e molti scienziati, che non capiscono l’importanza della miniaturizzazione o che sono semplicemente egoisti, si lamentano che la scienza sovietica deve accontentarsi di briciole per colpa della Grotta. Se non escogiteremo un sistema per risparmiare energia, per risparmiarne parecchia, questo posto verrà chiuso.»
«Tuttavia, Natalya, se divulgherete quel che sapete della miniaturizzazione mettendolo a disposizione dell’Associazione mondiale per il progresso della scienza, moltissimi scienziati si dedicheranno al problema e in breve tempo qualcuno troverà il sistema di accoppiare la costante di Planck e la velocità della luce.»
«Sì» disse la Boranova» e magari lo scienziato che troverà la chiave della miniaturizzazione a basso costo energetico sarà un americano, o un francese, o un nigeriano, o un uruguaiano. La chiave adesso è nella mente di uno scienziato sovietico, e noi non vogliamo perdere il merito.»
«Dimentichi la confraternita universale della scienza» osservò Morrison. «Non spezzettarla.»
«Parleresti diversamente se l’uomo in procinto di fare la grande scoperta fosse un americano e ti chiedessero di fare qualcosa che potrebbe fare attribuire il merito a uno di voi. Ricordi la storia della reazione americana quando l’Unione Sovietica mise per prima in orbita un satellite artificiale?»
«Sicuramente siamo migliorati da allora.»
«Sì, ma di poco... molto poco. Il mondo non è ancora completamente unito come pensiero. L’orgoglio nazionale è sempre molto forte.»
«Tanto peggio per il mondo. Comunque, se siamo ancora disuniti e se l’orgoglio nazionale è qualcosa che fa parte di noi, be’, allora anch’io ho diritto al mio. Come americano, perché dovrebbe importarmi che uno scienziato sovietico perda il merito della scoperta?»
«Ti chiedo solo di capire quanto sia importante questo per noi. Ti chiedo di metterti nei nostri panni per un attimo e di cercare di capire il nostro bisogno disperato di fare il possibile per scoprire cosa sa Shapirov.»
«D’accordo, Natalya. Capisco. Non approvo, ma capisco. Ora... stai bene attenta, per favore... ora che capisco, cos’è che volete da me?»
«Vogliamo che ci aiuti a scoprire i pensieri di Shapirov... quelli ancora vivi» rispose serissima la Boranova.
«E come? Nella mia teoria non c’è nulla che consenta di fare una cosa del genere. Anche ammettendo che le reti di pensiero esistano, che le onde cerebrali possano essere analizzate minuziosamente, che io percepisca di tanto in tanto delle immagini mentali, forse immaginarie, forse spurie... anche ammettendo tutto questo, è comunque impossibile studiare le onde cerebrali in modo tale da interpretarle e tradurle in pensieri veri e propri.»
«Anche se potessi analizzare, dettagliatamente, le onde cerebrali di una singola cellula nervosa appartenente a una rete?»
«Impossibile analizzare una singola cellula nervosa in modo sufficientemente dettagliato.»
«Vedo che dimentichi... Puoi essere miniaturizzato e trovarti all’interno di quella cellula.»
Morrison la fissò inorridito. La Boranova aveva accennato a qualcosa del genere durante il loro primo incontro, ma lui l’aveva accantonata giudicandola un’assurdità... una cosa spaventosa, ma sempre un’assurdità, dal momento che era certo che la miniaturizzazione fosse impossibile. Ma la miniaturizzazione non era impossibile, e adesso l’orrore che provava era assoluto e paralizzante.
22
Morrison non ricordava con chiarezza (né avrebbe ricordato in seguito) gli eventi immediatamente successivi. Più che sprofondare in un abisso buio, tutto gli si era annebbiato.
Si ritrovò (questa era la prima cosa che ricordava in modo chiaro) steso su un divano in un piccolo ufficio, e la Boranova lo guardava dall’alto, con Dezhnev, la Kaliinin e Konev alle spalle. Morrison mise a fuoco l’immagine degli altri tre più lentamente.
Cercò di sollevarsi a sedere, ma Konev gli si avvicinò posandogli una mano sulla spalla. «No, Albert, riposati un po’. Riprendi forza.»
Morrison li osservò, confuso. Prima era sconvolto, ma non ricordava per cosa...
«Cos’è successo? Come... com’è che mi trovo qui?» Tornò a guardarsi attorno. No, prima non era lì. Prima stava guardando da una finestra un uomo in un letto d’ospedale.
«Sono svenuto?» chiese.
«Non proprio» rispose la Boranova» ma per un po’ ci sei andato molto vicino. Sembravi sotto shock.
Adesso Morrison ricordava. Provò ancora a drizzarsi, questa volta con uno sforzo maggiore. Spinse via la mano di Konev che lo immobilizzava e si sollevò a sedere appoggiandosi al divano.
«Ricordo, adesso. Volevi che mi facessi miniaturizzare. Cos’è successo quando l’hai detto?»
«Hai vacillato e... sei crollato. Ti ho fatto stendere su una barella e ti ho fatto portare qui. Hanno detto che non avevi bisogno di cure, solo di riposare e riprenderti.»
«Niente trattamenti medici?» Morrison lanciò un’occhiata alle proprie braccia, quasi si aspettasse di vedere dei segni d’ago attraverso le maniche del camiciotto di cotone.
«Nessuno. Te l’assicuro.»
«Non ho detto nulla prima di crollare?»
«Nulla.»
«Allora ti rispondo adesso. Non intendo assolutamente farmi miniaturizzare. È chiaro?»
«È chiaro che lo dici.»
Dezhnev si sedette sul divano accanto a Morrison. In una mano aveva una bottiglia piena, nell’altra un bicchiere. «Ne hai bisogno» disse, e riempì a metà il bicchiere.
«Cos’è?» chiese Morrison, alzando il braccio per respingerlo.
«Vodka. Non è una medicina, è un tonico.»
«Non bevo.»
«C’è un momento adatto per ogni cosa, mio caro Albert. Questo è il momento di scaldarsi con un goccio di vodka, anche per chi non beve.»
«Non sono contrario al bere. È che non posso bere, io. Non lo reggo l’alcool, tutto qui. Se bevessi un paio di sorsi di quella roba, mi ritroverei ubriaco in cinque minuti. Completamente ubriaco.»
Dezhnev inarcò le sopracciglia. «E con ciò? Quale altro scopo ha il bere? Forza, se sei tanto fortunato da raggiungere la meta con pochi sorsi economici, ringrazia chi pensi di dover ringraziare. Una quantità minima ti scalderà, ti stimolerà la circolazione periferica, ti schiarirà le idee, ti aumenterà la concentrazione. Ti darà perfino coraggio.»
«Non aspettarti miracoli da un po’ d’alcool.» La voce della Kaliinin era quasi un sussurro, ma udibilissimo.
Morrison si girò di scatto e la guardò. Non gli sembrava più graziosa come aveva pensato la prima volta che l’aveva vista. Aveva un che di duro e implacabile.
Le disse: «Non ho mai preteso di essere un uomo coraggioso. Non ho mai preteso di essere qualcuno in grado di aiutarvi. Fin dall’inizio ho sostenuto di non potere far nulla per voi. Se mi trovo qui è perché mi ci hanno trascinato con la forza. Cosa vi devo? Che debito ho con voi, eh?»
La Boranova intervenne. «Albert, stai tremando. Bevi un sorso di vodka. Per un sorso non ti ubriacherai, e noi non ti costringeremo a berne ancora.»
Quasi volesse dare una piccola dimostrazione di coraggio, dopo un’esitazione Morrison prese il bicchiere e senza riflettere mandò giù un po’ di liquore. Sentì la gola che gli bruciava, ma il bruciore passò subito. Il gusto era dolciastro. Ne bevve un altro sorso, più sostanzioso, e restituì il bicchiere. Dezhnev lo prese e lo appoggiò insieme alla bottiglia su un tavolino accanto al divano.
Morrison fece per parlare, ma tossì. Attese, si schiarì la voce, e mormorò rauco: «Però, non è male. Se non ti dispiace, Arkady...»
Dezhnev allungò la mano al bicchiere, ma la Boranova disse: «No. Basta così, Albert.» Al suo gesto imperioso, Dezhnev si bloccò. «Non ti vogliamo ubriaco, Albert. Solo che ti riscaldi un po’ prima di ascoltarci.»
Morrison avvertì dentro di sé la stessa sensazione di calore già sentita nelle rare occasioni in cui, per stare in compagnia, aveva bevuto dello sherry o (una volta) un martini. Decise che avrebbe saputo tener testa a qualsiasi argomentazione della Boranova.
«D’accordo, parla pure» fece, dando alle labbra una piega ferma e caparbia.
«Non dico che tu ci debba qualcosa, Albert, e mi dispiace che questa storia ti abbia sconvolto tanto. Ci rendiamo conto che non sei un uomo d’azione, e abbiamo cercato di metterti al corrente con la maggiore delicatezza possibile. Io speravo, infatti, che capissi da solo il punto essenziale, senza bisogno di spiegazioni.»
«Sbagliavi» ribatté Morrison. «Una cosa così pazzesca non mi sarebbe mai passata per la mente.»
«Ti rendi conto del nostro grande bisogno, vero?»
«Mi rendo conto del vostro bisogno. Vostro, appunto... non mio.»
«Forse dovresti farlo allora per la causa della scienza mondiale.»
«La scienza mondiale è un’astrazione che ammiro, ma non credo di voler sacrificare qualcosa di altamente concreto come il mio corpo per un’astrazione che a quanto pare non esiste. Il vostro grande bisogno è dettato dal fatto che c’è in gioco la scienza sovietica, non la scienza mondiale.»
«Pensa alla scienza americana, allora» disse la Boranova. «Se ci aiuterai, il tuo atto rimarrà legato indissolubilmente alla vittoria. Diventerà una vittoria comune sovietico-americana.»
«Il mio ruolo sarà reso pubblico?» chiese Morrison. «O verrà annunciata come una conquista esclusiva sovietica?»
«Ti do la mia parola» rispose la Boranova.
«Non puoi impegnare il governo sovietico.»
«Orribile» commentò la Kaliinin. «Giudica il nostro governo in base al suo.»
Konev intervenne. «Aspetta, Natalya. Lasciami parlare al nostro amico americano, da uomo a uomo.» Si sedette accanto a Morrison e disse: «Albert, faccio appello al tuo interesse per il tuo lavoro. Finora non hai ottenuto granché, come risultati. Non hai convinto nessuno nel tuo paese, e non potrai mai convincere nessuno coi mezzi di cui disponi adesso. Noi ti offriamo uno strumento migliore, uno strumento eccezionale che non potevi neppure immaginare tre giorni fa, uno strumento che non avrai mai più se ora lo rifiuterai. Albert, hai la possibilità di passare dalle congetture fantastiche alle prove convincenti. Fallo per noi, e in un baleno diventerai il neurofisico più famoso del mondo.»
Morrison replicò: «Mi stai chiedendo di mettere a repentaglio la mia vita per una tecnica non collaudata.»
«Non è una novità. In tutta la storia, gli scienziati hanno rischiato la vita per continuare i loro studi. Si sono staccati da terra a bordo di palloni e sono scesi nelle profondità marine chiusi in rudimentali sfere corazzate pur di effettuare i loro rilevamenti. I chimici si sono esposti a veleni e a esplosivi, i biologi a germi patogeni di ogni genere. I medici si sono iniettati sieri sperimentali e i fisici, tentando di originare una reazione nucleare a catena, sapevano benissimo che l’esplosione conseguente avrebbe potuto distruggere loro stessi e probabilmente l’intero pianeta.»
Morrison disse: «Fandonie. Non rivelereste mai che un americano ha avuto un ruolo nell’impresa. È evidente, dal momento che ammettete di volere a tutti i costi che la scienza sovietica non perda il merito.»
Konev disse: «Siamo onesti, Albert. Anche se volessimo, non potremmo tenere nascosta la tua partecipazione. Il governo americano sa che ti abbiamo portato qui. Noi sappiamo che lo sanno. Lo sai anche tu. Non hanno fatto alcuna mossa per impedircelo, proprio perché volevano che tu finissi qui. Be’, sapranno... o almeno immagineranno... il motivo per cui ci occorrevi e quel che hai fatto per noi, non appena annunceremo il nostro successo. E faranno in modo che la scienza americana, rappresentata da te, riceva la sua parte di merito.»
Morrison rimase in silenzio alcuni istanti, la testa piegata. Aveva due chiazze rosse sulle gote, conseguenza della vodka bevuta. Senza guardare, sapeva che quattro paio di occhi lo fissavano, e aveva il sospetto che in quattro stessero trattenendo il respiro.
Alzando il capo, disse: «Una domanda... Com’è che Shapirov è finito in coma?»
Di nuovo silenzio, e tre paia di occhi si spostarono a fissare Natalya Boranova.
Al che, anche Morrison la fissò. «Be’...» disse.
La Boranova rispose: «Albert, ti dirò la verità, anche se per noi è controproducente. Se cercassimo di mentirti, avresti ragione a non credere più alle nostre parole. Vedendo che siamo sinceri, invece, potrai crederci in futuro... Albert, l’accademico Shapirov è in coma perché è stato miniaturizzato... come noi speriamo che tu venga miniaturizzato. Durante le deminiaturizzazione c’è stato un piccolo incidente che ha distrutto una parte del suo cervello, permanentemente, a quanto pare. Vedi, può succedere, e noi non te lo nascondiamo. Adesso ammetti che la nostra franchezza è assoluta, e di’ che ci aiuterai.»