Capitolo
quarto.
La grotta
La piccolezza può essere un vantaggio: un’aquila a volte può saltare il pasto; un canarino domestico, mai.
DEZHNEV SENIOR
16
In un gabinetto ampio e bene illuminato, la Boranova e Dezhnev cominciarono a spogliarsi. Morrison, allarmato all’idea, esitò.
La Boranova sorrise. «Potete tenere addosso gli indumenti intimi, dottor Morrison. Gettate solo tutto il resto, a parte le scarpe, in quel contenitore. Immagino che non ci sia nulla nelle vostre tasche. Le scarpe mettetele alla base del contenitore. Quando andremo via, sarà tutto pulito e pronto da indossare.»
Morrison fece come gli era stato detto, cercando di ignorare che la Boranova aveva una figura prosperosa, di cui lei sembrava del tutto ignara. “Sorprendente quello che gli abiti nascondono quando non sono fatti per rivelare” rifletté.
Ora stavano lavandosi, abbondando col sapone, la faccia fino alle orecchie e le braccia fino ai gomiti, poi fu la volta di un’energica spazzolata ai capelli. Morrison esitò di nuovo e la Boranova, leggendogli nel pensiero, disse: «Le spazzole vengono lavate dopo ogni uso, dottor Morrison. Non so cosa abbiate letto sul nostro conto, ma alcuni di noi conoscono il significato della parola igiene.»
Morrison disse: «Tutto questo solo per entrare nella Grotta? Lo fate ogni volta?»
«Ogni volta. Ecco perché nessuno entra solo per brevi periodi. E anche quando ci si ferma all’interno, ci sono parecchie abluzioni... Può darsi che troviate spiacevole la prossima fase, dottor Morrison. Chiudete gli occhi, respirate a fondo e trattenete il respiro se ci riuscite. Durerà circa un minuto.»
Morrison eseguì le istruzioni e si ritrovò investito da un turbine di vento. Barcollò e urtò uno dei contenitori, ma resistette. Poi all’improvviso, com’era incominciato, tutto finì.
Aprì gli occhi. Dezhnev e la Boranova, stando ai capelli, sembravano reduci da uno spavento tremendo. Morrison si toccò la testa e capì di avere un aspetto identico. Prese la propria spazzola.
«Lasciate perdere» disse la Boranova. «Non abbiamo ancora finito.
«Cos’è stato?» chiese Morrison, schiarendosi la voce un paio di volte prima di riuscire a parlare.
«Vi avevo detto che ci avrebbero aspirato via la polvere... ma questo è solo il primo stadio del processo di pulizia... Oltre questa porta, prego.» E gliela tenne aperta.
Morrison sbucò in un corridoio stretto ma bene illuminato; le pareti emettevano riflessi fotoluminescenti. Inarcò le sopracciglia. «Molto bello.»
«Si risparmia energia» disse Dezhnev «e questo è importantissimo... O vi riferite al progresso tecnologico. Pare che gli americani vengano in Unione Sovietica aspettandosi di trovarci ancora fermi alle lampade a cherosene.» Ridacchiò e aggiunse: «Lo ammetto, non ci siamo ancora messi alla pari con voi in tutto. I nostri bordelli sono molto primitivi rispetto ai vostri.»
«Voi aggredite senza aspettare che vi colpiscano» osservò Morrison. «È un chiaro sintomo di una coscienza sporca. Se vi preme far sfoggio di una tecnologia avanzata, vi faccio notare che sarebbe semplicissimo asfaltare la strada da Malenkigrad alla Grotta e usare autogetti chiusi. Non sarebbe necessario tutto questo rituale, così.»
Mentre il volto di Dezhnev si rabbuiava, la Boranova intervenne brusca.
«Il dottor Morrison ha ragione, Arkady. Non mi piace la tua convinzione che non sia possibile essere onesti senza essere villani. Se non riesci a essere onesto ed educato contemporaneamente, tieni a freno la lingua.»
Dezhnev sorrise imbarazzato. «Cosa ho detto? Certo, il dottore americano ha ragione... ma che possiamo fare se le decisioni vengono prese a Mosca da degli idioti che pensano a risparmiare cifre irrisone senza calcolare le conseguenze? Come diceva mio padre: “Il guaio del risparmio è che a volte è molto costoso”.»
«Vero» concordò la Boranova. «Potremmo risparmiare parecchi soldi, dottor Morrison, spendendone un po’ per una strada migliore e autogetti migliori, ma non sempre è facile persuadere chi ha in mano il portafoglio. Avrete sicuramente lo stesso problema in America.»
Mentre parlava fece un cenno, e Morrison la seguì in un piccolo locale. La porta si chiuse dietro di loro, e Dezhnev mostrò a Morrison un bracciale. «Lasciate che ve lo leghi ai polso destro. Quando alziamo le braccia, alzatele anche voi.»
Morrison avvertì una brevissima perdita di peso mentre il pavimento della camera si abbassava.
«Un ascensore» disse.
«Bella deduzione» commentò Dezhnev. E subito si portò una mano alla bocca dicendo con voce soffocata: «Già, non devo essere villano.»
Si arrestarono senza sobbalzi e la porta dell’ascensore si aprì.
«Identificazione!» ordinò una voce perentoria.
Dezhnev e la Boranova alzarono le mani, e Morrison li imitò. Nella luce violacea che di colpo si diffuse nell’ascensore, i tre bracciali scintillarono rivelando schemi codice diversi, notò Morrison.
Imboccarono un altro corridoio ed entrarono in una stanza calda e umida.
«Un’ultima strofinata, dottor Morrison» annunciò la Boranova. «Ci siamo abituati, e spogliarsi è un fatto normale per noi. È più facile, e si risparmia tempo, facendolo in gruppo.»
«Se lo fate voi, posso farlo anch’io» disse Morrison.
«Niente di trascendentale» osservò Dezhnev. «Per noi è una scena normale.» Si tolse gli indumenti intimi, si avvicinò a un tratto di parete dove era accesa una spia luminosa rossa e mise il pollice destro appena sopra di essa. Un piccolo pannello si aprì, rivelando degli indumenti bianchi appesi su un lato. Dezhnev sistemò la biancheria intima sul fondo.
Non sembrava minimamente imbarazzato dalla propria nudità. Aveva le spalle e il torace coperti di peli scuri, e una cicatrice sulla natica destra. Morrison si chiese oziosamente come se la fosse procurata.
La Boranova seguì lo stesso procedimento di Dezhnev e disse: «Scegliete una luce accesa, dottor Morrison. L’armadietto si aprirà con la vostra impronta del pollice, e si chiuderà quando lo toccherete ancora. Dopo di che si aprirà solo con la vostra impronta... quindi cercate di ricordare il numero del vostro armadietto o dovrete passarli in rassegna tutti finché non troverete il vostro.»
Morrison obbedì.
La Boranova disse: «Se prima volete andare in bagno, fate pure.»
«Sono a posto» rispose Morrison.
Al che, la stanza si trasformò in un vortice di goccioline d’acqua.
«Chiudete gli occhi» avvisò la Boranova.
Ma era un consiglio superfluo. Il bruciore iniziale aveva costretto Morrison a chiuderli subito.
Nell’acqua c’era del sapone o, in ogni caso, qualche sostanza dal gusto amaro che irritava occhi e narici.
«Alzate le braccia» disse Dezhnev «Non c’è bisogno che ruotiate. Arriva da tutte le direzioni.»
Morrison alzò le braccia. Aveva capito che arrivava da ogni direzione. Anche dal basso, a giudicare dalla pressione leggermente fastidiosa che avvertiva allo scroto.
«Quanto dura?» ansimò.
«Troppo» rispose Dezhnev. «Ma è necessario.»
Morrison contò tra sé. Arrivato a 58, gli sembrò di non sentire più sulle labbra il gusto amaro. Socchiuse gli occhi. Sì, gli altri due erano ancora lì. Continuò a contare e quando arrivò a 126 l’acqua si arrestò e fu sostituita da soffi di aria molto calda e secca.
Morrison ansimava quando cessò anche il flusso d’aria, e si rese conto di avere trattenuto il fiato.
«A che scopo una trafila del genere?» sbottò, distogliendo lo sguardo imbarazzato alla vista dei grossi seni sodi della Boranova e trovando un ben misero conforto nel torace villoso di Dezhnev.
«Siamo asciutti» annunciò la Boranova. «Vestiamoci.»
Morrison era impaziente di farlo, ma rimase quasi subito deluso dagli indumenti bianchi nell’armadietto. Si trattava di un camiciotto e di un paio di calzoni di cotone leggero; i calzoni stretti da un legaccio. C’erano inoltre un berretto per coprirsi i capelli, e dei sandali. Malgrado il cotone fosse opaco, Morrison aveva l’impressione che quella tenuta non lasciasse praticamente nulla all’immaginazione.
Chiese: «Tutto qui quello che indossiamo?»
«Sì» rispose la Boranova. «Lavoriamo in un ambiente pulito e tranquillo a temperatura costante, ed essendo abiti usa-e-getta non possiamo pretendere molto come linea e costo. A dire il vero, salvo una certa riluttanza comprensibile, potremmo comodamente lavorare nudi. Ma adesso, andiamo.»
E finalmente entrarono in quello che Morrison riconobbe subito come il nucleo principale della Grotta. Si estendeva di fronte a lui tra una serie di pilastri a perdita d’occhio.
Le attrezzature non fu in grado di riconoscerle. Come avrebbe potuto? Era un teorico, e quando lavorava nel proprio settore usava congegni computerizzati ideati e modificati personalmente. Per un attimo provò una fitta di nostalgia per il suo laboratorio all’università, i suoi libri, l’odore delle gabbie degli animali, perfino la stupida testardaggine dei colleghi.
C’erano persone un po’ ovunque nella Grotta. Una dozzina lì vicino, altre più in là, e si aveva l’impressione di trovarsi all’interno di un formicaio umano brulicante di gente, di macchinari, di compiti precisi.
Nessuno prestava alcuna attenzione ai nuovi arrivati né alle altre persone attorno. Ognuno si dedicava al proprio lavoro in silenzio, muovendosi con passo attutito dai sandali.
Di nuovo, la Boranova sembrò leggere il pensiero di Morrison e mormorò: «Siamo molto riservati, qui. Nessuno sa più di quel che è giusto che sappia. Non devono esserci fughe rilevanti.»
«Ma sicuramente questa gente deve comunicare.»
«Quando deve, lo fa... a livello minimo. Riduce il piacere del cameratismo, ma è necessario.»
«Questa divisione in compartimenti rallenta il progresso globale» commentò Morrison.
«È il prezzo della sicurezza» disse la Boranova. «Quindi, se nessuno vi parla, non c’è nulla di personale. Semplicemente, non hanno motivo di farlo.»
«Saranno curiosi in presenza di un forestiero.»
«Ho fatto in modo che sapessero che siete un esperto esterno. Non occorre che sappiano altro.»
Morrison corrugò la fronte. «Un esperto esterno? Un americano?»
«Non sanno che siete americano.»
«Il mio accento mi tradirà subito, come è capitato con quella inserviente.»
«Ma voi non parlerete con nessuno, a parte le persone che vi presenterò.»
«Come volete» disse Morrison, indifferente.
Stava ancora guardandosi attorno. Dato che era lì, tanto valeva cercare di scoprire il più possibile, anche se si fossero rivelate cose di poco conto. Quando fosse tornato... meglio, se fosse tornato negli Stati Uniti, certamente gli avrebbero chiesto ogni dettaglio osservato, quindi valeva la pena di avere qualcosa da riferire.
Mormorò all’orecchio della Boranova: «Questo deve essere un posto molto costoso. Che percentuale del bilancio nazionale assorbe?»
«È costoso» si limitò a confermare lei» e il governo si sforza di contenere le spese.
Dezhnev intervenne acido: «Stamattina ho dovuto penare un’ora per convincerli a consentire un piccolo esperimento extra per voi... Gli venisse il colera, al Comitato.»
Morrison disse: «Il colera non esiste più, nemmeno in India.»
«Possa essere reintrodotto, per il Comitato.»
La Boranova disse: «Arkady, se queste tue battute spiritose arriveranno fino al Comitato, la cosa non ti gioverà affatto.»
«Non ho paura di quei porci, Natasha.»
«Io sì. Cosa succederà al bilancio del prossimo anno se li farai arrabbiare?»
Spazientendosi di colpo, ma parlando ancor più sottovoce, Morrison intervenne. «A me non interessano né il Comitato né il bilancio... mi interessa sapere cosa ci faccio io qui.»
Dezhnev rispose: «Siete qui per assistere a una miniaturizzazione e per ricevere una spiegazione che vi chiarirà come mai abbiamo bisogno del vostro aiuto. Soddisfatto, compagno am... compagno esperto esterno?»
17
Morrison seguì gli altri due verso una specie di piccola e antiquata carrozza ferroviaria posta su un binario a scartamento molto ridotto.
La Boranova appoggiò il pollice su un riquadro liscio e una porta scorse di lato senza alcun rumore. «Entrate, prego, dottor Morrison.»
Morrison esitò. «Dove andiamo?»
«Alla camera di miniaturizzazione, naturalmente.»
«In treno? Quanto è grande questo posto?»
«È grande, dottore, ma non così grande. Questione di sicurezza... Solo certe persone possono usare questo mezzo, e solo usando questo mezzo è possibile penetrare nel cuore della Grotta.»
«È gente così infida, la vostra?»
«Viviamo in un mondo complesso, dottor Morrison. Siamo gente fidata, ma non vogliamo che troppe persone siano esposte a inutili tentazioni. E se qualcuno persuade uno di noi ad andare... altrove, come abbiamo fatto con voi, è più prudente disporre di conoscenze limitate, capite? Entrate, prego.»
Morrison salì a bordo del minuscolo veicolo con qualche difficoltà. Dezhnev lo seguì, faticando anch’egli, e disse: «Altro esempio di assurdo risparmio. Perché così piccolo? Perché i burocrati spendono milioni di rubli in un progetto e si sentono virtuosi se risparmiano poche centinaia di rubli qui e là infischiandosene delle esigenze di chi sgobba.»
La Boranova prese posto sul sedile anteriore. Morrison non riuscì a vedere in che modo azionasse i comandi, né se ci fossero dei comandi, a dire il vero. Probabilmente era un veicolo guidato da un computer. La carrozza partì all’improvviso e Morrison si sentì proiettato leggermente all’indietro.
C’era una finestrella all’altezza degli occhi su ambedue i lati, ma il vetro non era ben trasparente. Morrison intravedeva solo una minuscola parte della caverna esterna, e le immagini erano tremule, striate, sfocate. Evidentemente i finestrini non servivano come punto d’osservazione, bensì a rendere meno gravoso il viaggio in quell’ambiente troppo angusto ai passeggeri con tendenze claustrofobiche.
A Morrison sembrò che gli individui che scorgeva attraverso il vetro non prestassero alcuna attenzione alla carrozza in movimento. “Qui tutti sono bene addestrati” rifletté. “Mostrare qualche interesse per qualsiasi procedura che non li riguardi direttamente, a quanto pare è segno di scortesia... o peggio.”
Stavano avvicinandosi alla parete della caverna e la carrozza, con un lieve scossone, rallentò. Un tratto di parete scivolò da parte, e il veicolo, con un nuovo sobbalzo, accelerò e si infilò nell’apertura.
Si ritrovarono quasi subito nell’oscurità, alleviata solo in minima parte dalla luce sul soffitto della carrozza.
Erano in un tunnel stretto, in cui il loro veicolo occupava quasi tutto lo spazio, tranne che sulla sinistra dove Morrison, sbirciando oltre Dezhnev, credette di vedere un altro binario. “Devono esserci almeno due carrozze del genere” rifletté “con spazio appena sufficiente a consentire il transito contemporaneo.”
La galleria aveva un’illuminazione debole quanto la carrozza, e non era rettilinea. O era stata scavata nell’altura in modo tale da seguire i punti di minor resistenza per risparmiare denaro, o il tracciato era volutamente curvo in ossequio a qualche principio atavico secondo cui più una cosa era complicata più doveva essere sicura. Forse l’oscurità all’esterno e all’interno della carrozza aveva lo stesso scopo.
«Quanto tempo manca all’arrivo... ehm...» fece Morrison.
Dezhnev lo guardò, e la sua espressione era indecifrabile dato il buio. «Non sapete in che1modo rivolgervi a me, vedo. Non ho titoli accademici, quindi perché non mi chiamate Arkady? Qui lo fanno tutti, tanto... Mio padre diceva sempre: “Quello che conta è la persona, non il nome”.»
Morrison annuì. «Benissimo. Quanto tempo manca all’arrivo, Arkady?»
«Non molto, Albert» rispose allegro Dezhnev... e Morrison, caduto nel trabocchetto degli appellativi informali, non poté obiettare al contraccambio.
Rimase un poco sorpreso nel rendersi conto che in effetti non aveva nessuna voglia di obiettare. Dezhnev, compreso il bagaglio di aforismi patemi, era una persona semplice, almeno, e date le circostanze Morrison gradiva l’opportunità di concedersi qualche pausa e sottrarsi alla schermaglia continua che la Boranova apparentemente aveva ingaggiato con lui.
La vettura procedeva quasi a passo d’uomo, eppure si avvertiva un leggero scossone ogni volta che affrontava una curva del binario. Evidentemente, sempre per badare alle piccole economie, non si era provveduto a dare alle curve l’inclinazione necessaria.
Poi, senza alcun preavviso, la luce si riversò all’interno e la carrozza si fermò.
Morrison batté le palpebre mentre scendeva. La sala in cui si trovavano adesso non era grande come quella da cui erano partiti, e in pratica non conteneva nulla. C’erano solo le rotaie sotto la vettura, che descrivevano un ampio arco e tornavano verso il tratto di parete da cui erano sbucati. Morrison vide un’altra carrozza scomparire nell’apertura e la parete che si richiudeva. La carrozza su cui erano arrivati seguì lentamente l’arco delle rotaie e si arrestò accanto alla parete.
Morrison si guardò attorno. C’erano parecchie porte, e il soffitto era relativamente basso. Chissà perché, ebbe la sensazione di essere in una scacchiera tridimensionale, con numerose stanzette su vari livelli.
La Boranova lo stava aspettando e osservava la sua curiosità con un velo di disapprovazione. «Pronto, dottor Morrison?»
«No, dottoressa Boranova» rispose lui. «Dal momento che non so dove sto andando né cosa sto facendo, non sono pronto. Comunque, se volete far strada, vi seguirò.»
«Siete abbastanza pronto, vedo... Da questa parte, allora. C’è qualcun altro che dovete conoscere.»
Varcarono una delle porte, entrando in un’altra stanza di dimensioni modeste, bene illuminata e con le pareti coperte di spessi cavi.
Nella stanza c’era una giovane donna che alzò lo sguardo al loro ingresso, spingendo da parte qualcosa che, a giudicare dall’aspetto, doveva essere una specie di rapporto tecnico. Era graziosa, di una bellezza pallida e vulnerabile. I suoi capelli color stoppa erano corti, ma abbastanza ondulati da non conferirle un’aria troppo austera. La ridotta uniforme di cotone che portava (quella universalmente adottata nella Grotta, come Morrison sapeva già) lasciava intravedere una figura snella, attraente e ben fatta, per quanto priva dell’opulenza di forme della Boranova. La sua faccia era guastata, o forse migliorata, a seconda dei gusti, da un piccolo neo sotto l’angolo sinistro della bocca. Aveva zigomi pronunciati, dita sottili e aggraziate, e dalla sua espressione si intuiva che non era un tipo che sorridesse spesso.
Morrison comunque le sorrise. Per la prima volta da quando era stato rapito, ebbe l’impressione che la triste situazione in cui lo avevano trascinato suo malgrado potesse presentare un lato non del tutto spiacevole.
«Buon giorno» le disse. «È un piacere conoscervi.» E cercò di dare al proprio russo un tono colto, di sbarazzarsi dell’accento americano che l’inserviente aveva colto con tanta facilità.
La giovane non gli rispose direttamente ma, rivolgendosi alla Boranova, disse con voce leggermente roca: «È lui l’americano?»
«Sì» confermò la Boranova. «È il dottor Albert Jonas Morrison, docente di neurofisica.»
«Assistente» corresse Morrison con una punta di biasimo.
La Boranova ignorò la correzione. «E questa, dottor Morrison, è la dottoressa Sophia Kaliinin, la nostra esperta di elettromagnetismo.»
«Un’esperta molto giovane» osservò Morrison galante.
La Kaliinin non sembrò divertita. Disse: «Forse non dimostro tutti i miei anni. Ne ho trentuno.»
Morrison parve sconcertato, e la Boranova si affrettò a intervenire. «Su, andiamo, siamo pronti per iniziare. Per favore, controlla i circuiti e avvia il processo... E in fretta.»
Senza perdere un attimo, la Kaliinin uscì.
Dezhnev la seguì con lo sguardo, sogghignando. «Sono contento che non dimostri simpatia per gli americani. Questo elimina almeno cento milioni di concorrenti potenziali. Basterebbe che non le piacessero nemmeno i russi e che si accorgesse che sono karelo-finnico come lei, e...»
«Tu, karelo-finnico?» La Boranova non poté evitare di sorridere. «E chi dovrebbe crederci, pazzo?»
«Lei... se fosse nello stato d’animo adatto.»
«Sarebbe necessario uno stato d’animo impossibile.» La Boranova si rivolse a Morrison. «Vi prego, dottor Morrison, sorvolate sul comportamento di Sophia, non c’è nulla di personale. Molti nostri cittadini attraversano una fase ultrapatriottica e credono che sia un atteggiamento molto sovietico disprezzare gli americani. In realtà si tratta perlopiù di una posa. Quando avremo cominciato a lavorare insieme come équipe, sono certa che Sophia abbasserà le sue barriere.»
«Capisco benissimo. Anche nel mio paese capitano cose del genere. Per dire la verità, in questo momento i sovietici non mi piacciono molto... il che è comprensibile, penso. Ma» e Morrison sorrise «potrei fare un’eccezione per la dottoressa Kaliinin senza difficoltà.»
La Boranova scosse la testa. «Americani come voi o russi come Arkady, c’è un modo di pensare tipicamente maschile che trascende i confini nazionali e le differenze culturali.»
Morrison non si scompose. «Non che lavorerò con lei... o con qualsiasi altra persona. Dottoressa Boranova, mi sono stancato di ripetervelo... non accetto l’esistenza della miniaturizzazione quindi non posso esservi di alcun aiuto.»
Dezhnev rise. «Si sarebbe tentati di credergli. Albert parla con una tale serietà!»
La Boranova disse: «Osservate, dottor Morrison. Questa è Katinka.»
Batté su una gabbia che Morrison, sorpreso, notò solo allora. Fino a quel momento la dottoressa Kaliinin aveva assorbito la sua attenzione, e anche quando era uscita Morrison aveva continuato a tener d’occhio distrattamente la porta in attesa di vederla riapparire.
Ora fissò la gabbia metallica. Katinka era, almeno così sembrava, una coniglia bianca di medie dimensioni dall’aria placida, intenta a rosicchiare il suo pasto vegetale con la concentrazione tipica della sua specie.
Morrison, oltre al lieve scricchiolio prodotto dall’animale, sentì anche il suo odore, che prima doveva avere percepito inconsciamente e ignorato.
Disse: «Sì, la vedo. Una coniglia.»
«Non è una semplice coniglia, dottore. È una creatura molto insolita. Unica. Ha fatto la storia ben più della serie di guerre e disastri che noi classifichiamo di solito con quel nome. Se escludiamo creature puramente incidentali quali vermi, pulci e parassiti microscopici, Katinka è il primo essere vivente che sia stato miniaturizzato. Per la precisione è stata miniaturizzata in tre diverse occasioni e lo sarebbe stata molte altre volte se avessimo potuto permettercelo. Ha dato un contributo enorme alla nostra conoscenza della miniaturizzazione delle forme di vita e, come potete vedere, le sue esperienze non hanno avuto alcuna ripercussione dannosa su di lei.»
Morrison disse: «Senza offesa, ma la vostra semplice affermazione che la coniglia è stata miniaturizzata tre volte non prova affatto che sia avvenuto davvero. Non intendo mettere in dubbio la vostra integrità, ma, in un caso del genere, immagino capiate che l’unica prova convincente per me è quella di assistere di persona all’evento.»
«Certo. Ed è appunto per questo che, con una spesa considerevole, Katinka adesso verrà miniaturizzata una quarta volta.»
18
Sophia Kaliinin tornò a precipizio e si rivolse a Morrison. «Avete un orologio o avete addosso qualche oggetto metallico?» gli chiese svelta.
«Non ho con me nessun effetto personale, dottoressa Kaliinin... nulla, a parte gli abiti che indosso, e l’unica tasca di cui dispongo è vuota. Perfino questo bracciale di identificazione che mi è stato messo sembra fatto di plastica.»
«Ve lo chiedo semplicemente perché c’è un forte campo elettromagnetico e il metallo interferirebbe.»
Morrison domandò: «Nessun effetto fisiologico?»
«Nessuno. Almeno, nessuno riscontrato finora.»
Morrison, che aspettava che la smettessero con quella farsa della miniaturizzazione e si chiedeva per quanto tempo ancora potessero sostenere l’imbroglio (quella faccenda lo indisponeva sempre più), disse con un pizzico di malignità: «L’esposizione eccessiva non potrebbe causare difetti al feto nel caso doveste rima- nere incinta, dottoressa Kaliinin?»
La Kaliinin arrossì. «Ho una bambina. È perfettamente normale.»
«Siete rimasta esposta durante la gravidanza?»
«Una volta.»
La Boranova intervenne. «È finito l’interrogatorio, dottor Morrison? Possiamo iniziare?»
«Sostenete ancora che miniaturizzerete la coniglia?»
«Certo.»
«Allora procedete. Sono tutt’occhi.»
“Com’erano sciocchi” pensò Morrison. “Tra poco, naturalmente, avrebbero sostenuto che qualcosa era andato storto... ma quale sarebbe stata la mossa successiva? Cosa bolliva veramente in pentola?”
La Boranova disse: «Tanto per cominciare, dottore, vi spiace sollevare la gabbia?»
Morrison non accennò a farlo. Guardò i tre sovietici sospettoso e incerto.
Dezhnev disse: «Forza. Non vi accadrà nulla, Albert. Non vi sporcherete nemmeno le mani, e in fin dei conti le mani dovrebbero essere fatte apposta per sporcarsi quando si lavora.»
Morrison portò le mani ai lati della gabbia e la sollevò. Pesava circa dieci chili, calcolò. Sbuffando, disse: «Posso metterla giù, adesso?»
«Certo» rispose la Boranova.
«Piano» disse la Kaliinin. «Non disturbate Katinka.»
Morrison la posò delicatamente. La coniglia, che aveva smesso di mangiare quando le gabbia era stata sollevata, annusò l’aria incuriosita quindi lentamente tornò a masticare tranquilla.
La Boranova annuì e Sophia si spostò su un lato della stanza, dove un gruppo di comandi era quasi nascosto dai cavi. Si girò a guardare la gabbia come per stimarne la posizione, poi andò a spostarla leggermente, tornò ai comandi e fece scattare un interruttore.
Si udì un sibilo lamentoso e la gabbia cominciò a luccicare e a brillare in modo tremulo, come se qualcosa di pressoché invisibile si fosse interposto tra l’oggetto e gli spettatori. Il luccichio si estese sotto la gabbia, separandola dal ripiano di pietra del tavolo su cui era appoggiata.
La Boranova disse: «Adesso la gabbia è racchiusa dal campo di miniaturizzazione. Solo gli oggetti all’interno del campo saranno miniaturizzati.»
Morrison fissò la scena e un germe di incertezza cominciò ad agitarsi in lui. Che stessero per esibirsi in qualche abile trucco illusionistico perché credesse di avere assistito davvero alla miniaturizzazione? «E questo cosiddetto campo di miniaturizzazione, come l’avete prodotto esattamente?» chiese.
«Questo non intendiamo dirvelo» rispose la Boranova. «Immagino sappiate che esistono delle informazioni riservate. Continua, Sophia.»
Il sibilo divenne più acuto e leggermente più intenso. Per Morrison era un rumore sgradevole, mentre gli altri sembravano sopportarlo imperturbabili. Guardandoli, Morrison aveva staccato gli occhi dalla gabbia. Quando la fissò di nuovo, gli parve che fosse diventata più piccola.
Corrugando la fronte, piegò la testa così da allineare un lato della gabbia con la linea verticale di un cavo sulla parete opposta. Tenne ferma la testa... ma il lato della gabbia si allontanò dalla linea di riferimento. Non c’erano dubbi, la gabbia era nettamente più piccola. Morrison batté le palpebre frustrato.
La Boranova abbozzò un sorriso. «Si sta proprio restringendo, dottor Morrison. I vostri occhi non vi ingannano.»
Il sibilo continuò... il rimpiccolimento, pure. Adesso, rispetto alle dimensioni originali, la gabbia era dimezzata.
Morrison, con palese mancanza di convinzione, obiettò: «Esistono fenomeni chiamati illusioni ottiche.»
La Boranova ordinò: «Sophia, arresta un attimo il processo.»
Il sibilo calò e si spense, come il luccichio del campo di miniaturizzazione. La gabbia era sempre posata sul tavolo, ma in versione parecchio ridotta. La coniglia era ancora all’interno... una coniglia più piccola, ma perfettamente proporzionata all’originale, che masticava foglie più piccole, con pezzi di carota più piccoli sparsi sul pavimento della gabbia.
La Boranova chiese: «Pensate davvero che sia un’illusione ottica?»
Morrison restò muto e Dezhnev disse: «Via, Albert, accettate il responso dei vostri sensi. Questo esperimento ha consumato parecchia energia, e se non vi siete ancora convinto i nostri bravi amministratori se la prenderanno con tutti per un inutile spreco di denaro. Cosa dite, allora?»
E Morrison scuotendo il capo, mesto e confuso, rispose: «Non so proprio cosa dire.»
La Boranova fece: «Vi spiace sollevare ancora la gabbia, dottore?»
Di nuovo, Morrison esitò, e la Boranova disse: «Il campo miniaturizzante non l’ha resa radioattiva... niente del genere. Il tocco delle vostre mani normali non avrà alcun effetto su di essa, e il fatto che sia miniaturizzata non avrà alcun effetto su di voi. Vedete?» E posò adagio il palmo della mano sulla sommità della gabbia.
L’esitazione di Morrison non serviva a confutare nulla. Con circospezione, portò le mani ai lati della gabbia e la alzò. Gli sfuggì un’esclamazione di sorpresa, perché non doveva superare di molto un chilogrammo, come massa. La gabbia gli tremò in mano, e la coniglia miniaturizzata, allarmata, corse a rannicchiarsi in un angolo.
Morrison depose la gabbia, cercando il più possibile di rispettare la posizione originale, ma la Kaliinin si avvicinò e la spostò leggermente.
La Boranova disse: «Che ne pensate, dottor Morrison?»
«Pesa molto meno. Per caso, avete effettuato uno scambio?»
«Uno scambio? Cioè, sostituito l’oggetto grande con uno più piccolo sotto i vostri occhi... con l’oggetto più piccolo esattamente identico all’altro a parte le dimensioni? Dottor Morrison, per favore!»
Morrison si schiarì la voce e preferì non insistere. Nemmeno a lui sembrava un’accusa plausibile.
La Boranova continuò: «Dottore, vi prego di osservare che oltre a diminuire le dimensioni anche la massa è diminuita proporzionalmente. Gli atomi e le molecole della gabbia e del suo contenuto si sono ridotti e come dimensioni e come massa. Fondamentalmente, la costante di Planck è diminuita, così nulla all’interno è cambiato rispetto alle proprie parti. La coniglia vede se stessa e il suo cibo e tutto quanto all’interno della gabbia come qualcosa di perfettamente normale. Il mondo esterno è aumentato di dimensioni rispetto alla coniglia ma, naturalmente, l’animale non ne è consapevole.»
«Ma il campo miniaturizzante è cessato. Perché la gabbia e il contenuto non riacquistano dimensioni normali?»
«Per due ragioni, dottor Morrison. In primo luogo, lo stato miniaturizzato è metastabile. Questa è una delle grandi scoperte fondamentali che rendono possibile la miniaturizzazione. A qualsiasi punto arrestiamo il processo, occorre pochissima energia per mantenerlo in quello stato. In secondo luogo, il campo miniaturizzante non è scomparso del tutto. È solo minimizzato e concentrato internamente, così da impedire all’atmosfera della gabbia di diffondersi all’esterno e alle molecole esterne normali di diffondersi all’interno. Consente inoltre alle pareti della gabbia di essere toccate da mani non miniaturizzate... Ma non abbiamo finito, dottore. Continuiamo?»
Morrison, turbato e incapace di rinnegare l’esperienza diretta, si chiese per un attimo se non lo avessero narcotizzato in qualche modo rendendolo talmente suggestionabile da fargli accettare come realtà tutto quel che gli dicevano. Con voce strozzata, fece: «Mi state dicendo parecchie cose.»
«Sì, ma solo a livello superficiale. Se ripeterete queste cose in America, probabilmente non vi crederanno, e niente di quel che riferirete fornirà il minimo indizio circa gli aspetti essenziali della tecnica di miniaturizzazione.» La Boranova alzò la mano e la Kaliinin premette di nuovo l’interruttore.
Il sibilo ritornò e la gabbia riprese a rimpicciolire. Sembrava che diminuisse più in fretta, adesso, e la Boranova, quasi leggesse il pensiero di Morrison, spiegò: «Più rimpicciolisce, meno è la massa da rimuovere, e più rapido continua il processo.»
Morrison si ritrovò a fissare, scioccato, una gabbia larga un centimetro che si restringeva ancora.
Ma la Boranova alzò la mano e il sibilo cessò.
«Attento, dottore. Pesa appena alcune centinaia di milligrammi adesso, ed è un oggetto fragilissimo per gente della nostra mole. Ecco. Usate questa.»
Gli porse una lente d’ingrandimento. Senza dire una parola, Morrison la prese e l’accostò alla gabbietta. Forse non avrebbe saputo riconoscere l’essere che si muoveva all’interno se non avesse visto in precedenza cosa fosse, perché la sua mente non avrebbe accettato un coniglio così microscopico.
Lo aveva visto rimpicciolire, comunque, e adesso lo fissava confuso e affascinato.
Alzando lo sguardo verso la Boranova, disse: «Sta accadendo davvero, tutto questo?»
«Sospettate ancora che si tratti di un’illusione ottica, o di ipnosi o chissà che altro?»
«Sostanze stupefacenti?»
«Se fosse opera di uno stupefacente, dottore, sarebbe un’impresa più grande della miniaturizzazione. Guardatevi attorno. Tutto il resto non vi sembra normale? Sarebbe davvero incredibile una sostanza capace di alterare le vostre percezioni riguardo un unico oggetto in un ambiente pieno di altri oggetti rimasti immutati. Via, dottore, quello a cui avete assistito è reale.»
«Ingranditela» ansimò Morrison.
Dezhnev rise, ma si affrettò a soffocare la risata. «Non devo ridere... col fiato potrei spazzar via Katinka al che Natasha e Sophia mi colpirebbero con tutto quello che c’è in questa stanza. Se volete vederla ingrandita, dovrete aspettare.»
La Boranova intervenne. «Dezhnev ha ragione. Vedete, dottore, avete assistito a una dimostrazione scientifica, non a una magia. Se fosse magia, potrei schioccare le dita e gabbia e coniglio tornerebbero normali... e voi capireste di trovarvi di fronte a un’illusione ottica... Comunque, occorre parecchia energia per ridurre la costante di Planck a un valore molto minore di quello normale, anche per un volume di Universo relativamente piccolo, ed è per questo che la miniaturizzazione è una tecnica tanto dispendiosa. Per aumentare di nuovo la costante di Planck si deve avere una produzione di energia pari a quella consumata in origine, perché la legge della conservazione dell’energia vale anche per il processo di miniaturizzazione. La deminiaturizzazione quindi non può avvenire più in fretta dell’eliminazione del calore prodotto, di conseguenza richiede parecchio tempo... molto di più che la miniaturizzazione.»
Per un po’, Morrison rimase in silenzio. Per lui la spiegazione riguardo la conservazione dell’energia era stata più convincente della dimostrazione stessa. Dei ciarlatani non si sarebbero curati di rispettare con tanta meticolosità i vincoli della fisica.
Infine disse: «Mi sembra, allora, che il vostro processo di miniaturizzazione difficilmente possa essere una tecnica pratica. Al massimo, forse, potrà servire solo come mezzo per ampliare ed espandere la teoria dei quanti.
La Boranova replicò: «Sarebbe già un risultato sufficiente, ma non giudicate una tecnica dalla sua fase iniziale. Noi speriamo di risolvere il problema di questi grandi impieghi energetici, di scoprire metodi di miniaturizzazione e deminiaturizzazione più efficienti. Tutta l’energia dei campi elettromagnetici deve proprio essere assorbita dalla miniaturizzazione, per esempio? E durante la deminiaturizzazione l’energia deve proprio trasformarsi in calore? Non sarà possibile fare in modo che la deminiaturizzazione scarichi energia sempre sotto forma di campi elettromagnetici? Forse così si avrebbero meno problemi pratici.»
«Avete annullato la seconda legge della termodinamica?» chiese Morrison con cortesia esagerata.
«Niente affatto. Non ci aspettiamo una trasformazione impossibile del cento per cento. Se riusciremo a trasformare il settantacinque per cento, o anche solo il venticinque percento, dell’energia di deminiaturizzazione in un campo elettromagnetico, sarà già un bel miglioramento rispetto alla situazione attuale. A ogni modo, speriamo in una tecnica ancor più ingegnosa e molto più efficiente, ed è qui che entrate in scena voi.»
Morrison spalancò gli occhi. «lo? Io non so nulla. Perché avete scelto proprio me come vostro salvatore? Tanto valeva che prendeste un bambino dell’asilo.»
«No. Sappiamo quel che facciamo. Venite, dottor Morrison, voi e io andremo nel mio ufficio mentre Sophia e Arkady inizieranno il compito tedioso di riportare Katinka alla normalità Là vi dimostrerò che sapete quanto basta per aiutarci a fare della miniaturizzazione una tecnica efficiente e quindi anche pratica commercialmente. Vedrete, vi renderete conto al di là di ogni dubbio che siete l’unica persona in grado di aiutarci.»