28
Erano tornati nell’area di miniaturizzazione... tra le persone indaffarate, che badavano ognuna al proprio compito e si ignoravano a vicenda. La Kaliinin si muoveva in mezzo a loro con portamento eretto, e con l’aria aristocratica che nasce automaticamente quando si ha la deferenza di tutti.
Sophia Kaliinin era una figura preminente, osservò Morrison (continuando a tenere una mano sulla guancia, che gli bruciava e che lui era restio a scoprire), e tutti quelli che la incrociavano o le si avvicinavano piegavano la testa in una specie di inchino rudimentale e si scostavano di un passo, quasi timorosi di intralciarle il cammino. La presenza di Morrison invece passava inosservata.
Avanti, avanti, attraverso un susseguirsi di sale... e ovunque una sensazione di energia contenuta a stento.
La Kaliinin doveva averla avvertita anche lei, per quanto dovesse esserle familiare, perché mormorò a Morrison con un certo orgoglio: «C’è una centrale solare nello spazio, e la maggior parte della sua produzione è destinata a Malenkigrad.»
Poi arrivarono, prima che Morrison avesse la possibilità di rendersi conto di cosa stesse guardando. Non era una stanza molto grande e l’oggetto che conteneva non era di dimensioni notevoli. A prima vista, Morrison pensò che si trattasse di un esemplare artistico.
Era un oggetto aerodinamico poco più grande di un’automobile, sicuramente più corto di una grossa berlina, anche se più alto. Ed era trasparente.
Di riflesso, Morrison allungò la mano per toccarlo.
Non era freddo al tatto. Era liscio e quasi umido, ma quando Morrison tolse la mano, i suoi polpastrelli erano asciutti. Provò di nuovo, e quando passò le dita sulla superficie gli sembrò che si appiccicassero leggermente, ma non lasciarono alcuna impronta. D’impulso, Morrison alitò sull’oggetto. Sul materiale trasparente si formò una lieve chiazza appannata, che scomparve subito.
«È una sostanza plastica» disse la Kaliinin «ma non so la sua composizione. Se la conoscessi, probabilmente sarebbe un’informazione riservata... comunque, è più forte dell’acciaio, più robusta e resistente agli urti, a parità di peso.
«A parità di peso, forse» osservò Morrison, e la sua curiosità scientifica ebbe momentaneamente il sopravvento sulla sua inquietudine. «Ma questo strato di materia plastica non può essere robusto quanto uno strato di acciaio del medesimo spessore. Non può avere la stessa solidità, a parità di volume.»
«D’accordo... ma dove andremo?» replicò Sophia Kaliinin. «Non ci sarà differenza di pressione all’interno e all’esterno della nave; non ci saranno meteoriti e nemmeno polvere cosmica da cui proteggerci. Attorno a noi avremo solo morbida struttura cellulare. Questa plastica sarà una protezione sufficiente, ed è leggera. Se provassimo, forse riusciremmo a sollevarla. È questo che conta. Come avrai senz’altro capito, dobbiamo limitarci con la massa. Ogni chilo in più consuma parecchia energia elettromagnetica in fase di miniaturizzazione e nella deminiaturizzazione produce parecchio calore.»
«C’è spazio sufficiente per l’equipaggio?» chiese Morrison, guardando dentro.
«Sì. È molto compatta, ma ha sei posti, e noi saremo solo in cinque. E contiene una quantità sorprendente di dispositivi insoliti. Non tutti quelli che vorremmo, naturalmente. Il progetto originale... Ma che possiamo farci? In questo mondo ingiusto si tende sempre a economizzare, anche quando non si dovrebbe.»
«Economizzare, fino a che punto?» chiese Morrison agitandosi. «Funziona tutto?»
«Ti assicuro che funziona tutto.» Il volto di Sophia si era illuminato. Ora che la depressione se n’era andata – solo temporaneamente, Morrison ne era certo –, la Kaliinin era inequivocabilmente bella. «Tutto è stato collaudato in maniera scrupolosa, e singolarmente e come funzionamento collettivo. Ridurre a zero il fattore rischio è impossibile, ma in questo caso lo abbiamo ridotto a un valore abbastanza vicino allo zero. E tutto senza usare in pratica parti metalliche. Coi microchip, le fibre ottiche e i giunti di Mannilsky, abbiamo tutto quello che vogliamo e il peso complessivo dei vari dispositivi è inferiore ai cinque chili. Ecco perché la nave può avere queste dimensioni. In fin dei conti, i viaggi nel microcosmo non dovrebbero durare che alcune ore, così non abbiamo bisogno di cuccette per dormire, di scorte d’aria e di viveri... solo di qualche semplice dispositivo per le funzioni escretorie e via dicendo.»
«Chi sarà ai comandi?»
«Arkady.»
«Arkady Dezhnev?»
«Sembri sorpreso.»
«Non so perché. Immagino che sia qualificato.»
«Certo. È un ingegnere progettista, e nel suo ramo è un genio. Non devi basarti sui suoi modi, assolutamente. Credi che potremmo sopportare il suo umorismo e i suoi atteggiamenti grossolani se non fosse un genio in qualcosa? L’ha progettata lui la nave... ogni pezzo, ogni congegno. Ha inventato una decina di sistemi completamente nuovi per abbassare la massa e ridurre lo spazio necessario. Non avete niente del genere negli Stati Uniti.»
Morrison ribatté acido: «Non posso sapere cos’abbiano o meno gli Stati Uniti in fatto di marchingegni strani.»
«Questo non ce l’hanno, ne sono sicura. Dezhnev è una persona fuori del comune, malgrado gli piaccia tanto presentarsi come un bifolco. È un discendente di Semyon Ivanov Dezhnev. Hai sentito parlare di lui, suppongo.»
Morrison scosse la testa.
«Davvero?» La voce della Kaliinin divenne gelida. «È soltanto il famoso esploratore che, ai tempi di Pietro il Grande, esplorò la Siberia fino al suo lembo di terra più orientale e disse che c’era un tratto di mare che separava la Siberia dal Nord America qualche decennio prima che Vitus Bering, un danese al servizio dei russi, scoprisse lo Stretto di Bering... E tu non conosci Dezhnev. Tipicamente americano. A meno che non sia stato un occidentale a fare una cosa, voi non ne avete mai sentito parlare.»
«Non vedere delle offese dappertutto, Sophia. Non ho studiato storia delle esplorazioni. Ci sono molti esploratori americani che non conosco... e che nemmeno tu conosci.» Morrison l’ammonì agitando l’indice, ricordando lo schiaffo ricevuto e strofinandosi di nuovo la guancia. «Ecco cosa intendo dire. Tu trovi apposta delle cose per alimentare il tuo odio... cose di poco conto che dovresti vergognarti di tirare in ballo.»
«Semyon Dezhnev era un grande esploratore... non uno di poco conto.»
«Sono pronto ad ammetterlo. Sono contento di avere scoperto questo personaggio e la sua impresa mi riempie di meraviglia. Ma il fatto di non avere sentito parlare di lui non è un motivo sufficiente per accendere la rivalità sovietico-americana. Vergognati!»
La Kaliinin abbassò gli occhi, poi guardò la guancia di Morrison. (Gli aveva lasciato un livido? si chiese lui.) «Mi spiace di averti colpito, Albert. Non era necessario che lo facessi così forte, ma non volevo che svenissi. In quel momento ho pensato che non avrei avuto la pazienza di occuparmi di un americano svenuto. Mi sono lasciata guidare da una rabbia ingiustificata.»
«Lo so, l’hai fatto a fin di bene, però spiace anche a me che tu mi abbia colpito con tanta forza. Comunque, accetto le tue scuse.»
«Allora saliamo a bordo della nave.»
Morrison abbozzò un sorriso. Si sentiva un po’ più a proprio agio con la Kaliinin di quanto non sarebbe stato con Dezhnev o Konev... o perfino la Boranova. Una donna graziosa, ancora piuttosto giovane, riesce a distogliere la mente di un uomo dai suoi problemi con maggiore efficacia di tante altre cose. Morrison fece: «Non hai paura che cerchi magari di sabotarla?»
Sophia Kaliinin si fermò. «A dire il vero, no. Secondo me, hai abbastanza rispetto per uno strumento di esplorazione scientifica da evitare di danneggiarlo. E poi... e parlo seriamente, Albert... le leggi contro il sabotaggio sono severissime in Unione Sovietica, e il minimo errore d’uso delle apparecchiature della nave farà scattare un allarme e le guardie saranno qui nel giro di pochi secondi. Abbiamo delle leggi rigorose che impediscono alle guardie di malmenare i sabotatori, ma a volte le guardie tendono a scordarsene tanta è la loro indignazione. Quindi, per favore, non ti venga in mente di toccare qualcosa.»
Mise una mano sullo scafo mentre parlava, e probabilmente toccò un contatto, anche se Morrison non riuscì a notare nulla del genere. Una porta, un rettangolo curvo, si aprì. Il bordo della porta sembrava doppio. Che fungesse anche da comparto stagno?
L’apertura era angusta. Sophia Kaliinin, entrando per prima, dovette chinarsi. Tese la mano a Morrison. «Attento, Albert.»
Morrison oltre a chinarsi dovette girarsi di lato. Una volta all’interno della nave, si accorse di non poter stare completamente dritto. Quando urtò piano con la testa, guardò il soffitto, sorpreso.
La Kaliinin spiegò: «Lavoreremo quasi sempre seduti, quindi non preoccuparti per il soffitto.
«Uno affetto da claustrofobia non gradirebbe una cosa simile, credo.»
«Soffri di claustrofobia?»
«No.»
Sophia annuì risollevata. «Bene. Sai, dobbiamo risparmiare spazio... Cosa posso dirti?»
Morrison si guardò attorno. C’erano sei sedili, su due file. Si sedette su quello più vicino alla porta e osservò: «Anche questi non sono tanto spaziosi.»
«No» ammise Sophia. «Un sollevatore di pesi non ci starebbe.»
«È evidente che questa nave è stata costruita molto tempo prima che Shapirov entrasse in coma.»
«Certo. È da parecchio che intendiamo far penetrare del personale miniaturizzato nei tessuti viventi. È indispensabile, se vogliamo compiere delle scoperte biologiche veramente importanti. Naturalmente, prevedevamo di iniziare con gli animali, studiando in modo dettagliato il sistema circolatorio. È per questo progetto che è stata costruita questa nave. Nessuno poteva immaginare che quando fosse giunto il momento di compiere il primo microviaggio, il soggetto non solo sarebbe stato un corpo umano ma addirittura Shapirov stesso.»
Morrison stava ancora studiando l’interno della nave. Sembrava spoglio. Era difficilissimo distinguere i particolari data la trasparenza e le dimensioni microscopiche dei componenti tradizionali. «Saremo in cinque a bordo: tu e io, la Boranova, Konev e Dezhnev.»
«Esatto.»
«E cosa farà ognuno di noi?»
«Arkady controllerà la nave. È evidente che è capace, dal momento che si tratta della sua creatura. Occuperà il sedile anteriore sinistro. Alla sua destra ci sarà l’altro uomo, che ha una mappa completa della struttura neurocircolatoria del cervello di Shapirov. Lui sarà il pilota. Io siederò dietro Arkady e controllerò lo schema elettromagnetico della superficie della nave.»
«Uno schema elettromagnetico? A che serve?»
«Mio caro Albert, tu riconosci gli oggetti dalla luce riflessa, un cane li riconosce dall’odore emesso, una molecola li riconosce dalla struttura elettromagnetica superficiale. Se vogliamo penetrare come oggetto miniaturizzato tra le molecole, dobbiamo avere lo schema giusto per essere trattati da amici e non considerati nemici.»
«Sembra una faccenda complicata.»
«Lo è... ma si dà il caso che sia la materia che studio da una vita. Natalya siederà dietro di me. Sarà il comandante della spedizione. Prenderà le decisioni.»
«Che genere di decisioni?»
«Quelle che saranno necessarie. È ovvio che non possiamo predirle in anticipo... E tu siederai alla mia destra.»
Morrison si alzò e riuscì a spostarsi lungo lo stretto corridoio tra il portello e i sedili e a raggiungere quelli centrali. Prima occupava quello di Konev, adesso invece era in quello destinato a lui. Sentì che il cuore gli batteva mentre immaginava se stesso al proprio posto il giorno seguente, col processo di miniaturizzazione in corso.
Disse con voce un po’ strozzata: «Solo un uomo, allora... solo Yuri Konev è stato miniaturizzato e deminiaturizzato senza subire conseguenze...»
«Sì.»
«E non ha parlato di disagi durante il procedimento... di qualche malessere fisico, di disturbi mentali?»
«Non è stato riferito niente del genere.»
«Forse perché è uno stoico? Forse perche riteneva indegno di un eroe della scienza sovietica lamentarsi?»
«Non essere sciocco. Non siamo eroi della scienza sovietica, e la persona di cui parli non è di certo un eroe. Siamo esseri umani e scienziati e, infatti, se avvertissimo dei disagi saremmo obbligati a descriverli dettagliatamente, dal momento che apportando delle modifiche al processo potremmo eliminare tali disagi rendendo la miniaturizzazione futura meno difficoltosa. Nascondere anche in minima parte la verità sarebbe un gesto poco scientifico, poco etico, e pericoloso. Dovresti capirlo, visto che sei anche tu uno scienziato.»
«Eppure potrebbero esserci delle differenze individuali. Yuri Konev ne è uscito indenne. Pyotr Shapirov no... non del tutto.»
«Non è dipeso affatto dalle differenze individuali» replicò impaziente la Kaliinin.
«Non possiamo stabilirlo in realtà, vero?»
«Allora, giudica tu stesso, Albert. Pensi che affronteremmo la spedizione senza un test generale... con e senza equipaggio umano a bordo? Questa nave è stata miniaturizzata, vuota, la scorsa notte... non moltissimo, ma abbastanza da sapere che è tutto a posto.»
Morrison si drizzò subito per abbandonare il sedile. «In tal caso, se non ti dispiace, Sophia, voglio uscire prima che la collaudino con degli esseri umani a bordo.»
«Ma, Albert, è troppo tardi.»
«Cosa?»
«Guarda la stanza all’esterno. Non hai guardato fuori una sola volta da quando sei salito... il che è stato un bene, credo. Ma guarda fuori, adesso. Forza. Le pareti sono trasparenti e il processo è completo per ora. Per favore! Guarda!»
Morrison, allibito, guardò. Poi, molto lentamente, piegò le ginocchia e tornò a sedere. «Le pareti della nave hanno un effetto d’ingrandimento?» chiese (e mentre lo chiedeva si rese conto di quanto dovesse sembrare sciocco).
«No, certo che no. Là fuori tutto è rimasto com’era. La nave, tu e io, siamo stati miniaturizzati e ridotti a circa la metà delle nostre dimensioni lineari.»
29
Morrison fu colto da un capogiro e piegò la testa tra le ginocchia respirando lentamente e a fondo. Quando alzò la testa, vide che la Kaliinin lo osservava pensierosa. Era in piedi nell’angusto corridoio, appoggiata di lato al bracciolo di un sedile per non urtare il soffitto.
«Potevi svenire, questa volta» gli disse. «Non mi avrebbe dato fastidio. Adesso ci stanno deminiaturizzando, e questa fase sarà più lunga della miniaturizzazione, che ha richiesto non più di tre o quattro minuti. Ci vorrà all’incirca un’ora per rientrare, quindi hai tempo a sufficienza per riprenderti.»
«Farlo senza avvisarmi non è stata una bella azione, Sophia.»
«Al contrario. È stato un gesto gentile. Saresti salito sulla nave così di buon grado se avessi sospettato che ci avrebbero miniaturizzati? Avresti ispezionato la nave con tanta calma se lo avessi saputo? Se ti fossi aspettato la miniaturizzazione, non avresti manifestato sintomi psicogeni di ogni tipo?»
Morrison restò in silenzio.
La Kaliinin continuò: «Hai sentito qualcosa? Ti sei accorto che ti stavano miniaturizzando?»
Morrison scosse la testa. «No.»
Poi, provando una certa vergogna, soggiunse: «Anche tu non eri mai stata miniaturizzata in precedenza, vero?»
«Mai. Prima d’ora, Konev e Shapirov erano gli unici esseri umani sottoposti a miniaturizzazione.»
«E non eri per nulla preoccupata?»
«Non proprio. Ero inquieta. Sappiamo dalla nostra esperienza coi viaggi spaziali che, come hai detto prima, ci sono delle differenze individuali di reazione agli ambienti insoliti. Per esempio, alcuni astronauti soffrono di attacchi di nausea a gravità zero, alcuni no. Non potevo essere sicura di come avrei reagito... Hai avuto nausea?»
«No, finché non ho scoperto che eravamo stati miniaturizzati, ma immagino che averla adesso non conti... Chi ha organizzato il test?»
«Natalya.»
«Naturale. Domanda superflua, la mia» disse asciutto Morrison.
«Un motivo c’era. Natalya l’ha fatto per evitare che crollassi una volta iniziato il viaggio. Non potevamo permetterci di affrontare una tua crisi isterica a miniaturizzazione in corso.»
«Suppongo di meritare questa mancanza di fiducia» disse Morrison imbarazzato, distogliendo lo sguardo dagli occhi della Kaliinin. «E immagino che abbia assegnato a te l’incarico di accompagnarmi proprio per distrarre la mia attenzione mentre succedeva quel che è successo.»
«No. L’idea è stata mia. Natalya voleva venire di persona, ma ho pensato che con lei, a questo punto, avresti potuto subodorare qualcosa.»
«Mentre con te avrei potuto sentirmi a mio agio.»
«O almeno distrarti, come dici tu. Sono ancora abbastanza giovane da attirare l’attenzione degli uomini» disse la Kaliinin. E con un pizzico di amarezza aggiunse: «Di quasi tutti gli uomini.»
Morrison alzò lo sguardo, socchiudendo gli occhi. «Hai detto che avrei potuto subodorare qualche inganno...»
«Sì, con Natalya.»
«E chi mi dice che tu non m’inganni? D’accordo, vedo che tutto quanto all’esterno sembra ingrandito. Ma può darsi che sia un’illusione, un trucco per indurmi a pensare che sono stato miniaturizzato e che la cosa è innocua... così domani salirò a bordo tranquillamente, no?»
«Ridicolo, Albert. Comunque, consideriamo una cosa. Tu e io abbiamo perso metà della nostra dimensione lineare in ogni direzione. La forza dei nostri muscoli varia inversamente con la loro sezione trasversale. Ora i nostri muscoli sono la metà del normale come ampiezza e spessore, quindi hanno un quarto della sezione e della forza che avrebbero normalmente. Capisci?»
«Certo» fece Morrison seccato. «È elementare.»
«Ma i nostri corpi, complessivamente, sono alti la metà, ampi la metà, e spessi la metà, così il volume totale, e anche la massa e il peso, è la metà della metà della metà, cioè un ottavo, rispetto all’originale... Se siamo miniaturizzati, ovvio.»
«Sì. È una legge nota fin dall’epoca di Galileo.»
«Lo so, però tu non ci hai pensato. Se adesso cercassi di sollevarti, solleverei un ottavo del tuo peso normale e lo farei coi miei muscoli a un quarto della loro forza normale. I miei muscoli rispetto al tuo peso avrebbero una forza doppia in condizioni miniaturizzate.»
Al che, la Kaliinin mise le mani sotto alle ascelle di Morrison e, con un grugnito, alzò. Morrison si staccò dal sedile.
Sophia Kaliinin lo tenne in quella posizione ansimando un paio di volte, poi lo mise giù. «Non è facile» disse un po’ affannata «ma ci sono riuscita. E dato che forse starai pensando: “Ah, già, ma questa è Sophia, probabilmente una sollevatrice di pesi sovietica”, prova tu con me.»
Si sedette davanti a lui e allargò le braccia incitandolo: «Su, alzati e sollevami.»
Morrison si drizzò in piedi, si infilò nel corridoio, avanzò e si girò verso Sophia. Il soffitto basso lo costringeva a stare leggermente piegato, in una posizione scomoda. Per un attimo, esitò.
Sophia Kaliinin disse: «Forza, afferrami sotto le braccia. Uso il deodorante. E non avere paura di toccarmi il seno. Non sarebbe la prima volta. Su... sono più leggera di te, e tu sei più forte di me. Se ci sono riuscita io, non dovresti avere la minima difficoltà a sollevarmi.»
Infatti Morrison non ebbe difficoltà. Non poteva impiegare tutta la sua forza data la lieve inclinazione in avanti, ma automaticamente usò la forza che riteneva necessaria per un oggetto delle dimensioni della donna. E Sophia si staccò dal sedile quasi non pesasse nulla. Anche se era in parte preparato a tale evenienza, per poco Morrison non la lasciò cadere.
«Secondo te è un’illusione?» gli chiese la Kaliinin. «O siamo miniaturizzati?»
«Siamo miniaturizzati» rispose Morrison. «Ma come hai fatto? Non ti ho visto fare nessuna mossa, non mi è sembrato che azionassi dei comandi per la miniaturizzazione.»
«Non ho mosso un dito, io. Fanno tutto dall’esterno. La nave è dotata di dispositivi di miniaturizzazione propri, ma io non oserei toccarli. Questo è compito di Natalya.»
«E adesso anche la deminiaturizzazione è controllata dall’esterno, vero?»
«Esatto.»
«E se ci sarà qualche intoppo durante la deminiaturizzazione, i nostri cervelli rimarranno danneggiati come quello di Shapirov... o peggio.»
«Molto improbabile» disse la Kaliinin allungando le gambe nel corridoio «E pensarci, non è che aiuti. Perché non ti rilassi e chiudi gli occhi?»
Morrison insisté. «Ma un incidente è possibile.»
«Certo che è possibile. Quasi tutto è possibile. Tra due minuti un meteorite largo tre metri potrebbe pioverci addosso, sfondare il guscio della montagna che abbiamo sopra, piombare in questa sala e distruggere la nave e noi e forse l’intero progetto in pochi secondi... Ma è improbabile.»
Se la nave si fosse surriscaldata, chissà se sarebbe riuscito a sentire il calore prima che le proteine del suo cervello si alterassero? si chiese Morrison, stringendosi la testa tra le braccia.
30
Passò più di mezz’ora prima che Morrison si convincesse che gli oggetti all’esterno della nave stavano rimpicciolendo visibilmente riacquistando le loro dimensioni normali.
«Sto pensando a un paradosso» disse.
«Quale?» fece la Kaliinin sbadigliando. Evidentemente aveva seguito il suo stesso consiglio circa una salutare parentesi di relax.
«Gli oggetti all’esterno della nave sembrano più grandi via via che noi diminuiamo. Non dovrebbero aumentare anche le lunghezze d’onda della luce all’esterno e diventare man mano più lunghe? Tutto quel che c’è fuori dovrebbe assumere una colorazione rossastra, dal momento che è difficile che all’esterno ci siano abbastanza ultravioletti che possano espandersi e sostituire le onde più corte dello spettro visibile, no?»
La Kaliinin rispose: «Se potessi vedere le onde luminose esterne, in effetti ti apparirebbero così. Ma non le vedi. Tu vedi le onde luminose solo quando sono penetrate nella nave e ti hanno colpito la retina. E penetrando nella nave, le onde subiscono l’influenza del campo miniaturizzante e automaticamente diminuiscono in lunghezza, quindi all’interno della nave le vedi esattamente come le vedresti all’esterno.»
«Se diminuiscono in lunghezza, la loro energia deve aumentare.»
«Sì, se la costante di Planck nel campo miniaturizzante avesse lo stesso valore che ha all’esterno. Ma la costante di Planck diminuisce all’interno del campo di miniaturizzazione... è questa l’essenza della miniaturizzazione. Le lunghezze d’onda, diminuendo, conservano il loro rapporto con la costante di Planck diminuita e non acquistano energia. Un caso analogo è quello degli atomi. Anch’essi si restringono eppure le interrelazioni tra gli atomi e tra le particelle subatomiche che li compongono rimangono le stesse per noi all’interno della nave, non riscontriamo nessuna differenza rispetto all’esterno.»
«Ma la gravità cambia. Qui dentro diventa più debole.»
«L’interazione forte e l’interazione elettrodebole rientrano nella teoria dei quanti. Dipendono dalla costante di Planck. Per quanto riguarda la gravitazione?» La Kaliinin si strinse nelle spalle. «Malgrado due secoli di sforzi, la gravitazione non è mai stata quantizzata. Francamente, secondo me il cambiamento gravitazionale della miniaturizzazione è una prova sufficiente che la gravitazione non può essere quantizzata, che è fondamentalmente non quantum.»
«Mi rifiuto di crederci» replicò Morrison. «Due secoli di insuccessi possono solo significare che per ora non siamo riusciti a-penetrare abbastanza a fondo il problema. La teoria delle supersimmetrie per poco non ci ha dato finalmente il nostro campo unificato.» (Per lui era un sollievo discutere dell’argomento. Sicuramente non sarebbe stato in grado di farlo se la temperatura del suo cervello avesse superato il livello di guardia.)
«Per poco, non conta» disse la Kaliinin. «Comunque, credo che Shapirov fosse d’accordo con te. A suo avviso, una volta collegata la costante di Planck alla velocità della luce, oltre all’effetto pratico di miniaturizzare e deminiaturizzare con un dispendio energetico minimo, dovremmo riuscire a individuare il collegamento tra la teoria dei quanti e la relatività e ad avere finalmente una valida teoria di campo... probabilmente più semplice di quanto potessimo immaginare, diceva Shapirov.»
«Può darsi» disse Morrison. Non ne sapeva abbastanza per aggiungere altro.
Infervorandosi, la Kaliinin continuò: «Shapirov diceva che con l’ultraminiaturizzazione l’effetto gravitazionale sarà abbastanza vicino a zero da essere completamente ignorato, e che la velocità della luce sarà tanto grande da poter essere considerata infinita. Con la massa praticamente nulla, l’inerzia è praticamente nulla e qualsiasi oggetto, per esempio questa nave, può essere spinto a qualsiasi velocità con un impiego di energia infinitamente basso. All’atto pratico, avremmo l’antigravità e i viaggi ultraluce. Secondo Shapirov, l’energia chimica ci ha dato il sistema solare, la propulsione ionica ci darebbe le stelle più vicine, ma la miniaturizzazione relativistica ci offrirebbe l’intero Universo in un baleno.»
«Una visione affascinante» commentò Morrison, incantato.
«Allora, sai cosa stiamo cercando adesso, vero?»
Morrison annuì. «Sempre che riusciamo a leggere la mente di Shapirov. E ammesso che i suoi fossero dati concreti e non solo sogni.»
«Non ti sembra che valga la pena di rischiare?»
«Sto quasi convincendomi» rispose Morrison sottovoce. «Sei molto persuasiva. Natalya non poteva usare argomenti di questo tipo invece di quelli che ha usato?»
«Natalya è... Natalya. È una persona estremamente pratica, non una sognatrice. Lei bada al sodo.»
Morrison studiò Sophia Kaliinin che si sedeva alla sua sinistra e guardava di fronte a sé con un’espressione assorta che conferiva al profilo della donna un’aria sognante... forse però, a differenza di Shapirov, lei non sognava di conquistare l’Universo. Per lei la meta era qualcosa di più vicino, forse.
Morrison disse: «La tua infelicità non è affar mio, Sophia, come mi hai già fatto notare... ma mi hanno raccontato di Yuri...»
Gli occhi di Sophia si infiammarono. «Arkady! È stato lui, lo so. È un... un...» Scosse la testa. «Nonostante la sua istruzione e il suo genio, resta sempre un contadino. Me lo figuro sempre come un servo barbuto con una bottiglia di vodka.»
«Credo che sia preoccupato per te, a modo suo, anche se non si esprime poeticamente. Tutti devono essere preoccupati.»
Sophia fissò Morrison con un’espressione rabbiosa, come se stesse frenando le parole.
Morrison la pungolò con delicatezza. «Perché non me ne parli? Ti farà bene, e io sono la persona più adatta, essendo l’estraneo del gruppo... Ti assicuro che di me puoi fidarti.»
Sophia lo fissò di nuovo, questa volta quasi con riconoscenza.
«Yuri!» sibilò. «Può darsi che tutti si preoccupino... tranne Yuri. Lui non ha sentimenti.»
«Doveva essere innamorato di te un tempo.»
«Doveva? Non ci credo. Lui ha un... un...» Sophia alzò lo sguardo e allargò le mani, che tremavano, quasi stesse cercando inutilmente una parola e dovesse accontentarsi di una inferiore. «Un sogno.»
«Non sempre siamo padroni delle nostre emozioni e dei nostri affetti, Sophia. Se Yuri ha trovato un’altra donna e sogna di...»
«Non c’è nessun’altra donna» fece Sophia accigliata. «Nessuna! È la scusa dietro cui si nasconde! Se mi ha amata, l’ha fatto solo distrattamente, perché ero a portata di mano, perché soddisfacevo un vago bisogno fisico, e perché anch’io ero impegnata nel progetto, così lui non doveva perdere molto tempo a trastullarsi con me. A patto di avere bene sotto controllo il progetto, non gli dispiaceva che fossi disponibile... con discrezione, a tempo perso.»
«Per un uomo, il lavoro...»
«Non deve necessariamente occupare ogni attimo della vita. Yuri ha un sogno, ti ho detto. Vuole diventare il nuovo Newton, il nuovo Einstein. Vuole fare delle scoperte tanto grandi, tanto basilari, da non lasciare più nulla per il futuro. Prenderà le ipotesi di Shapirov e le trasformerà in scienza concreta. Yuri Konev diventerà la summa delle leggi naturali e tutti gli altri passeranno in secondo piano.»
«Non potrebbe essere un’ambizione ammirevole?»
«Non quando lo spinge a sacrificare tutto e tutti, a rinnegare la propria figlia. Io? Che importanza ho? Posso essere abbandonata, ripudiata. Sono una persona adulta. So badare a me stessa. Ma una bambina? Negarle un padre? Respingerla così? Lo distrarrebbe dal suo lavoro, significherebbe un impegno, gli ruberebbe qualche minuto prezioso... così Yuri insiste di non essere il padre.»
«Un’analisi genetica...»
«No. Dovrei trascinarlo in tribunale e costringerlo ad accettare una sentenza giuridica? Pensa a cosa implica il fatto che neghi... La bambina non è nata da una vergine. Qualcuno deve essere il padre. Yuri insinua... no, sostiene... che sono un tipo promiscuo. Non ha esitato a dire che non conosco il padre di mia figlia perché non so decidere tra numerose possibilità. E io dovrei penare perché il tribunale dimostri che un uomo così spregevole è il padre di mia figlia? No. Deve essere lui a venire da me, ad ammettere la paternità e a scusarsi per quel che ha fatto... e forse, di tanto in tanto, gli lascerò vedere la bambina.»
«Eppure, ho la sensazione che l’ami ancora.»
«Se l’amo ancora, è una disgrazia mia» disse la Kaliinin amara. «Non ricadrà su mia figlia.»
«È per questo che è stato necessario persuaderti perché accettassi di partecipare a questa miniaturizzazione?»
«E di lavorare con lui? Sì. Ma, a quanto mi hanno detto, non posso essere rimpiazzata, quello che faremo per la scienza trascende qualsiasi sentimento personale... la rabbia, l’odio. E poi...»
«E poi?»
«Abbandonando il progetto, perderei il mio status di scienziato sovietico. Perderei molti privilegi e vantaggi economici, che non hanno importanza, e li perderebbe anche mia figlia... che è molto importante.»
«Hanno dovuto persuadere anche Yuri, perché lavorasse con te?»
«Lui? Certo che no. Ha in mente solo il progetto, vede solo quello. Non mi guarda. Non mi vede. E se morisse durante questa impresa...» La Kaliinin tese la mano verso Morrison, supplichevole. «Ti prego, cerca di capire che non credo affatto che accadrà... È solo una stupida idea romantica con cui mi torturo per il gusto di soffrire, suppongo... Se dovesse morire, non si renderebbe nemmeno conto che morirei insieme a lui.»
Morrison rabbrividì. «Non parlare così. E in tal caso che ne sarebbe di tua figlia? Te l’ha detto Natalya?»
«Non è necessario. Lo so già. Mia figlia verrebbe allevata dallo Stato, come figlia di un martire della scienza sovietico. Forse lei starebbe meglio così.» Sophia s’interruppe, guardandosi attorno. «Là fuori le cose cominciano ad avere un aspetto abbastanza normale. Tra poco dovremmo uscire dalla nave.»
Morrison si strinse nelle spalle.
«Per il resto della giornata dovrai sorbirti una serie di esami medici e psicologici, Albert. Anch’io. Sarà una cosa molto noiosa, ma è indispensabile. Come ti senti?»
«Mi sentirei meglio se tu non avessi parlato di morire» rispose con la massima sincerità Morrison. «Ascolta! Domani, quando entreremo nel corpo di Shapirov, a che livello verremo miniaturizzati?»
«Sarà Natalya a deciderlo. A dimensioni cellulari come minimo, è ovvio. Forse a dimensioni molecolari.»
«Non l’ha mai fatto nessuno?»
«Non mi risulta.»
«Conigli? Oggetti inanimati?»
La Kaliinin scosse la testa e ripeté: «Non mi risulta.»
«Allora, chi vi dice che la miniaturizzazione a simili livelli sia possibile? O ammesso che sia possibile, chi vi-dice che possiamo sopravvivere?»
«La teoria dice che è possibile e che noi non ne risentiremo. Finora, ogni parte sperimentale ha confermato la teoria.»
«Sì, ma ci sono sempre dei limiti. Non sarebbe meglio provare prima a ultraminiaturizzare un semplice pezzo di plastica, poi un coniglio, poi un...»
«Certo. Ma convincere il Comitato di coordinamento centrale a permettere il consumo energetico sarebbe un’impresa mastodontica, e questi esperimenti dovrebbero essere ripartiti lungo un arco di mesi o anni. Noi non abbiamo tempo! Dobbiamo penetrare subito nel corpo di Shapirov.»
«Ma faremo qualcosa che non ha precedenti, ci avventureremo nell’ignoto, basandoci solo su delle teorie non verif...»
«Appunto, appunto. Vieni, la luce sta lampeggiando e dobbiamo uscire e andare coi medici che ci aspettano.»
Per Morrison l’euforia marginale di una deminiaturizzazione sicura stava scemando. L’esperienza vissuta quel giorno non contava nulla, perché il giorno seguente avrebbe dovuto affrontare qualcosa di completamente diverso.
Il terrore stava tornando.