33
Tuttavia quella notte, la sua terza notte in Unione Sovietica, Morrison dormì.
Dezhnev lo stava aspettando all’esterno della stanza di Konev con le guardie, un largo sorriso dipinto sul faccione e le orecchie che si agitavano quasi per l’allegria. Dopo il fervore cupo della personalità di Konev, Morrison si accorse di gradire le chiacchiere di Dezhnev, che toccavano qualsiasi argomento tranne la miniaturizzazione del giorno successivo.
Dezhnev volle offrirgli da bere. «Non è vodka, non è roba alcolica» disse. «È latte zuccherato e aromatizzato. L’ho rubato in magazzino, e credo che lo diano agli animali, perché tutti quei funzionari trovano che gli esseri umani siano più facilmente sostituibili degli animali. È il dramma della sovrappopolazione. Come diceva mio padre: “Per avere un essere umano ci vuole un attimo di piacere, ma per avere un cavallo ci vogliono dei soldi”. Comunque, bevi. Ti sistemerà lo stomaco. Giuro.»
La bevanda era in una lattina, che Morrison forò. La versò in una tazza offertagli da Dezhnev, e il gusto era ottimo. Morrison ringraziò Dezhnev, quasi con entusiasmo.
Quando arrivarono alla stanza di Morrison, Dezhnev disse: «Adesso l’importante per te è dormire. Sogni d’oro. Lascia che ti spieghi dove trovare quello che ti può servire.» Mentre lo faceva, assomigliava a una grossa chioccia arruffata. Poi con un caloroso: «Buona notte. E cerca di dormire molto» Dezhnev uscì.
E Morrison dormì. Non appena riuscì a mettersi nella sua posizione preferita (pancia in giù, gamba sinistra piegata, ginocchio in fuori) cominciò ad avvertire un senso di sonnolenza. Sì, aveva dormito poco le ultime due notti... ma d’un tratto ebbe il sospetto che ci fosse un blando sedativo nella tazza in cui aveva versato la bevanda... Poi pensò che forse il sedativo avrebbe dovuto prenderlo Konev. Poi... nulla.
Quando si svegliò, non ricordava nemmeno se avesse sognato.
E non si era nemmeno svegliato da solo. Dezhnev lo stava scuotendo, allegro come la sera prima, sveglissimo, e tirato a lucido nei limiti del possibile per un pagliaio ambulante qual era.
Disse: «Sveglia, compagno americano. È ora. Devi raderti e lavarti. Ci sono asciugamani puliti, pettini, deodoranti, fazzolettini e sapone in bagno. Lo so perché ho portato tutto io. C’è anche un rasoio elettrico nuovo. E per finire, nuovi indumenti di cotone con rinforzo all’inguine, così non ti sentirai scoperto. Li hanno proprio, i porci burocrati... basta saper chiedere nel modo giusto... mostrando i pugni.» E alzò una mano serrata contraendo la faccia in una maschera feroce.
Morrison si drizzò a sedere sul letto. In un attimo si orientò e superò lo shock provato nel constatare che era giovedì mattina e la miniaturizzazione era ormai prossima.
Dopo una mezz’ora, quando Morrison uscì dal bagno, lavato, asciugato, profumato, rasato e pettinato, e prese l’uniforme di cotone e le pantofole, Dezhnev chiese: «Evacuazione soddisfacente, amico mio? Niente stitichezza?»
«Soddisfacente, sì» rispose Morrison.
«Bene! Naturalmente non te lo chiedo per curiosità. Non sono affascinato dagli escrementi. Il fatto è che la nave non è il posto ideale per certe cose. Meglio salire tutti con l’intestino vuoto. Io non ho lasciato fare alla natura. Ho preso un po’ di lassativo.»
«Quanto rimarremo miniaturizzati?»
«Forse non molto. Un’ora se saremo fortunati, magari dodici se non lo saremo.»
«Senti» disse Morrison «dal mio colon non temo scherzi, però non posso resistere dodici ore senza orinare.»
«E chi resiste tanto?» fece allegro Dezhnev. «Ogni sedile della nave è attrezzato per questa evenienza. C’è un recesso, un coperchio rimovibile. Un gabinetto incorporato, per così dire. L’ho progettato io. Ma sarà un’operazione complicata, e imbarazzante, se sei un tipo sensibile. Un giorno, però, quando la miniaturizzazione a bassissimo consumo energetico sarà una realtà, potremo costruire transatlantici da miniaturizzare e a bordo vivremo come gli zar di un tempo.»
«Be’, speriamo che la spedizione non si protragga eccessivamente» disse Morrison. (Strano che, per un attimo, la sua apprensione si spostasse dalla paura della morte o dell’invalidità mentale a particolari tipo “come maneggiare il coperchio del gabinetto e come servirsene con la massima discrezione”. I grandi viaggi d’esplorazione del passato dovevano essere stati caratterizzati da molte indelicatezze e volgarità, rifletté. Tutte cose che non erano state riportate e che quindi erano passate inosservate.)
Aveva indossato gli indumenti di cotone e infilato le pantofole quando Dezhnev, che sfoggiava una versione leggermente più grande della stessa divisa (pure la sua con cavallo modificato), disse: «Andiamo a fare colazione, adesso. Mangeremo roba buona, alto contenuto calorico e scarso volume, perché a bordo della nave non mangeremo nulla. Naturalmente ci saranno acqua e succhi di frutta, ma nessuna bevanda vera. La dolce Natasha ha fatto una smorfia orribile quando ho suggerito che un goccetto di vodka di tanto in tanto magari ci sarebbe stato utile. Ha blaterato una filza di commenti a proposito di beoni e alcolizzati. Ah, Albert, sapessi come mi perseguitano... e ingiustamente.»
La colazione era abbondante, ma non propriamente sostanziosa. C’erano gelatina e crema di uova e latte, fette di pane bianco con burro e marmellata, succhi di frutta, e diversi tipi di pillole da mandar giù.
La conversazione a tavola fu abbastanza animata, e l’argomento centrale fu il torneo di scacchi locale. Nessun accenno alla nave o alla miniaturizzazione. (Che portasse sfortuna parlare del progetto?)
Morrison non aveva nulla in contrario che si parlasse d’altro. Fece addirittura alcuni commenti circa le proprie avventure di scacchista tutt’altro che illustre.
Poi, fin troppo presto, cominciarono a sparecchiare la tavola. Era giunta l’ora.
Si alzarono per raggiungere la nave.
34
Camminarono in fila indiana, distanziati tra loro. Dezhnev era in testa, seguivano la Kaliinin, la Boranova, Morrison, e infine Konev.
Quasi subito, Morrison capì il motivo. Erano in pubblico, e dovevano distinguersi individualmente. Ai bordi del corridoio c’erano uomini e donne, dipendenti del progetto, evidentemente, che osservavano attentissimi. Loro, almeno, dovevano sapere cosa stava accadendo, anche se il resto dell’Unione Sovietica (per non parlare del mondo) era all’oscuro.
Dezhnev, il capofila, agitò con vigore le mani a destra e a sinistra, come un monarca amabile e popolare, e la folla reagì in modo adeguato, gridando, sbracciandosi, chiamando forte il suo nome.
Il nome di ognuno fu gridato varie volte, dal momento che ogni membro dell’equipaggio doveva essere conosciuto da tutti. Le due donne ebbero una reazione controllata alle acclamazioni e Konev (notò Morrison voltandosi) avanzava, com’era prevedibile, con lo sguardo fisso di fronte a sé, impassibile.
Poi, sorpreso, Morrison sentì esclamare in inglese: «Urrà, l’americano!»
Si girò nella direzione del grido e di riflesso salutò con la mano, al che immediatamente si udì un urlo di entusiasmo e la frase fu ripresa da tutti e risuonò in un coro generale. «Urrà, l’americano!»
Morrison non riuscì più a conservare la cupa rassegnazione di alcuni istanti prima. Non era mai stato acclamato dalla folla, e ci prese gusto subito, salutando e distribuendo larghi sorrisi. Colse l’espressione solenne e divertita della Boranova, e vide che Dezhnev lo indicava col dito quasi a sottolineare “Eccolo l’americano”, ma non ci badò.
Poi superarono l’assembramento ed entrarono nella sala in cui Shapirov riposava nel bozzolo mentale del coma. Nella stanza c’era pure la nave.
Morrison si guardò attorno stupito. «C’è una squadra di ripresa là» disse.
La Kaliinin adesso gli si era affiancata. (Che splendido seno aveva, pensò Morrison. Era velato ma non nascosto dal tessuto sottile, e ora Morrison capiva come mai Konev avesse definito quella donna una “distrazione”.) Gli spiegò: «Oh, sì, saremo in televisione. Ogni esperimento significativo viene registrato, e ogni volta ci sono dei reporter che si occupano della cronaca. Anche ieri, quando noi due siamo stati miniaturizzati, c’era una telecamera, solo che l’abbiamo tenuta nascosta dal momento che non dovevi sapere che saresti stato miniaturizzato.»
«Ma se è un progetto segreto...»
«Non rimarrà sempre segreto. Un giorno, quando avremo ottenuto un successo pieno, i particolari della nostra conquista scientifica saranno rivelati al tuo popolo e al mondo... O li riveleremo prima, se avremo l’impressione che qualche altra nazione stia avanzando nella stessa direzione.
Morrison scosse la testa. «Non è positiva, questa smania di priorità. Il progresso sarebbe molto più rapido se scendessero in campo altri cervelli e altre risorse.»
La Kaliinin replicò: «Nel tuo settore di ricerca tu rinunceresti volentieri alla priorità?»
Morrison rimase zitto. Doveva aspettarselo quel rimbecco.
Scuotendo la testa, la Kaliinin disse: «Lo immaginavo. È facile essere generosi coi soldi degli altri.»
La Boranova intanto stava parlando con un tipo che l’ascoltava con estremo interesse. Doveva essere un reporter, rifletté Morrison, e si ritrovò a sua volta a seguire attentamente le parole della donna.
Natalya Boranova stava dicendo: «Questo è lo scienziato americano, Albert Jonas Morrison, un professore di neurofisica, che è, naturalmente, il campo dell’accademico Shapirov. È qui nella duplice veste di osservatore americano e di assistente dell’accademico Konev.»
«E sulla nave ci saranno cinque persone?»
«Sì. E non ci sarà mai più un quintetto così eccezionale, o un evento così eccezionale, anche se la miniaturizzazione durerà un milione di anni. L’accademico Konev è il primo essere umano sottoposto a miniaturizzazione. La dottoressa Sophia Kaliinin, la prima donna, e il professor Albert Morrison il primo americano. La Kaliinin e Morrison hanno subìto la prima miniaturizzazione multipla e sono stati i primi a essere miniaturizzati nella nave. Per quanto riguarda il viaggio di oggi, esso rappresenterà la prima miniaturizzazione contemporanea di cinque esseri umani, e per la prima volta una nave miniaturizzata e il suo equipaggio verranno immessi nel corpo di un essere umano vivo. Naturalmente, l’essere umano in cui verremo immessi è l’accademico Pyotr Shapirov, che è stato il secondo essere umano a essere miniaturizzato e la prima vittima del processo.»
Dezhnev, comparendo all’improvviso accanto a Morrison, gli mormorò rauco all’orecchio: «Ecco fatto, Albert. Adesso sei una postilla indelebile della storia. Forse finora immaginavi di essere un fallito, ma non è vero. Sei stato il primo americano miniaturizzato, e questo nessuno può togliertelo. Anche se i tuoi compatrioti metteranno a punto il processo di miniaturizzazione e miniaturizzeranno un americano, quell’americano non può aspirare che al secondo posto in graduatoria.»
Morrison non ci aveva pensato. Provò ad assaporare quel dato statistico personale recentissimo e permanente (sempre che i sovietici divulgassero un giorno la dichiarazione di Natalya senza travisamenti) e trovò che gli piaceva.
Tuttavia non era soddisfatto. «Non è per questo che voglio essere ricordato.»
«Fai un buon lavoro in questo viaggio e sarai conosciuto per molto di più» disse Dezhnev. «E poi, come diceva mio padre: “È bello essere a capotavola, anche se c’è solo un altro seduto con te e non c’è che una zuppiera di zuppa di cavoli da dividere”.»
Dezhnev si allontanò e la Kaliinin tornò accanto a Morrison. Tirandogli la manica, disse: «Albert.»
«Sì, Sophia?»
«Sei stato con lui ieri dopo cena, vero?»
«Mi ha mostrato una mappa del cervello di Shapirov. Meravigliosa!»
«Non ti ha detto nulla di me?»
Morrison esitò. «Perché avrebbe dovuto?»
«Perché sei un uomo curioso, che cerca di sfuggire ai suoi demoni personali, e gli avrai fatto delle domande.» Morrison sussultò sentendo quella descrizione di se stesso. Rispose: «Si è difeso.»
«Come?»
«Ha parlato di una gravidanza precedente... e... di un aborto. Una cosa che mi rifiuto di credere, Sophia, in mancanza di una tua ammissione.»
Gli occhi della Kaliinin si inumidirono. «Ti ha... ti ha descritto le circostanze?»
«No, Sophia. E io non gli ho chiesto nulla.»
«Avrebbe potuto dirtelo. Sono stata violentata a diciassette anni. Ci sono state delle conseguenze indesiderabili e i miei genitori hanno preso provvedimenti legali.»
«Capisco. Forse Yuri preferisce non crederci.»
«Forse preferisce credere che sia stata io a volerlo, ma è tutto documentato e il violentatore è ancora in prigione. La legge sovietica è severissima con chi commette reati del genere, ma solo se la situazione può essere dimostrata completamente. Riconosco che le donne possono montare delle false accuse di violenza carnale contro gli uomini, ma il mio caso era diverso e Yuri lo sa. È stato un vigliacco a presentarti una versione incompleta del fatto.»
«Comunque, adesso bisogna pensare a quello che ci aspetta, anche se capisco che questa storia ti deve toccare parecchio. Dovremo svolgere un compito complesso nella nave, e ci serviranno tutta la nostra concentrazione e la nostra abilità. Ti assicuro, però, che sono schierato con te, non con lui.»
Sophia annuì. «Grazie per la tua bontà e la tua comprensione, ma non temere... farò il mio lavoro.»
A quel punto, la Boranova annunciò: «Ora saliremo a bordo della nave nell’ordine in cui dirò i vostri nomi: Dezhnev, Konev, Kaliinin, Morrison, e la sottoscritta.»
Quindi si mise subito in posizione alle spalle di Morrison e mormorò: «Come ti senti, Albert?
«Schifosamente» disse Morrison. «Ti aspettavi qualche altra risposta?»
«No» ammise Natalya Boranova. «Tuttavia mi aspetto che tu svolga il tuo compito come se non ti sentissi schifosamente. Capito?»
«Ci proverò» disse Morrison a denti stretti e, seguendo la Kaliinin, sali sulla nave per la seconda volta.
35
Si sistemarono sui sedili nella disposizione descritta il giorno prima dalla Kaliinin. Dezhnev in prima fila a sinistra ai comandi, Konev a destra, la Kaliinin nella fila centrale a sinistra, Morrison a destra, e la Boranova nella fila posteriore a sinistra.
Morrison batté le palpebre e si soffiò il naso in un fazzolettino trovato in una tasca. E se avesse avuto bisogno di più fazzolettini di quelli in dotazione? (Era una preoccupazione sciocca, ma più salutare di certe altre preoccupazioni che avrebbero potuto affliggerlo.) Aveva la fronte umida. Dipendeva dalla vicinanza e dall’ambiente ristretto? Il respiro di cinque persone (forse in iperventilazione) in quello spazio esiguo avrebbe portato l’umidità al massimo? O l’aerazione sarebbe stata sufficiente?
Pensò d’un tratto ai primi astronauti di un secolo addietro, ancor più compressi e indifesi, che però si avventuravano in uno spazio in parte conosciuto e capito, non in un microcosmo che rappresentava un territorio vergine.
Eppure, prendendo posto, Morrison si accorse che il suo terrore si era attutito. In fin dei conti, era già stato sulla nave. Era stato miniaturizzato e de miniaturizzato, e non gli era successo nulla, non aveva subito danni.
Si guardò attorno per vedere come stessero reagendo gli altri. La Kaliinin, alla sua sinistra, era una maschera di freddezza inespressiva. Una bellezza piuttosto gelida. Era notevole, il fatto che non mostrasse alcun segno di paura e di ansia, probabilmente però (come lei aveva detto riferendosi a Morrison) stava lottando con altri demoni, demoni personali.
Dezhnev stava guardando dietro di sé, forse per studiare le reazioni altrui al pari di Morrison, e senza dubbio per ragioni diverse. Morrison stava cercando di rafforzare il poco coraggio che aveva dentro assorbendo quello degli altri, mentre Dezhnev (secondo Morrison) stava osservando i compagni per valutare le probabilità di successo della missione.
Konev aveva lo sguardo fisso in avanti, e Morrison gli vedeva solo la nuca. La Boranova stava sedendosi, aggiustandosi la sottile uniforme di cotone.
Dezhnev disse: «Amici, compagni di viaggio, prima di partire dobbiamo controllare il nostro equipaggiamento. Una volta partiti, se qualcuno mi dirà che qualcosa non funziona non la prenderò come una battuta particolarmente spiritosa. Come diceva mio padre: “Un vero trapezista non si guarda le unghie a mezz’aria”. Io controllerò che i comandi della nave siano a posto, e su questo non ho dubbi dal momento che li ho progettati io e ho seguito la costruzione... Per quanto riguarda te, Yuri, amico mio... la tua cereb-eccetera-eccetera, o mappa del cervello, come la chiamerebbe qualsiasi persona con un po’ di buon senso, è stata riversata integralmente nel software del tuo computer dietro la piastra che hai di fronte. Per favore, assicurati di saper maneggiare la piastra e poi vedi se la mappa del cervello funziona alla perfezione.
«Sophia, mia piccola colomba, cosa fai tu non lo so... so solo che produci elettricità, quindi assicurati di poterla produrre nel modo che riterrai opportuno. Natalya» Dezhnev alzò leggermente la voce «tutto a posto lì dietro?»
La Boranova rispose: «Tutto a posto. Per favore, controlla Albert. È lui che ha più bisogno del tuo aiuto.»
«Certo» disse Dezhnev. «L’ho lasciato per ultimo per dedicargli tutta la mia attenzione... Albert, sai come si fa ad azionare il pannello che hai di fronte?»
«Certo che no» rispose secco Morrison. «Come posso saperlo?»
«Tra due secondi, lo saprai. Questo contatto è per aprire, e questo per chiudere. Albert, apri!... Ah, vedi, scorre senza alcun rumore. Ora chiudi! Perfetto. Adesso sai come si fa... E hai visto cosa c’è nella cavità?»
«Un computer» rispose Morrison.
«Perfetto, ma sii gentile e guarda se è un computer equivalente al tuo. Il tuo software è nello scomparto di lato. Controllalo, assicurati che si adatti al computer e che funzioni come dovrebbe. Conto su di te per sapere se funziona alla perfezione. Mi raccomando! Se hai qualche dubbio, qualche sospetto, se hai l’impressione che qualcosa non sia proprio a posto, aspetteremo finché non sarà sistemata secondo le tue indicazioni.»
La Boranova intervenne. «Ti prego, Arkady, cerca di stringere. Non abbiamo tempo.»
Dezhnev la ignorò. «Ma se mi dirai che c’è qualcosa che non va e non è vero, mio buon Albert, Yuri lo scoprirà, garantito, e nessuno di noi sarà contento. Quindi se ti venisse in mente di inventare un problema tecnico nella speranza che il viaggio venga rinviato o addirittura annullato, toglitelo subito dalla mente.»
Morrison si accorse che stava arrossendo, e si augurò che gli altri pensassero a una reazione vistosa di collera per quell’insinuazione sulla sua onestà e non a un rossore di colpa per una trama sventata.
In effetti, chinandosi sul computer, pensò di nuovo alle conseguenze delle continue modifiche apportate al suo programma. Di tanto in tanto, le ultime versioni del programma gli avevano permesso di avere... delle sensazioni.
Non era qualcosa di identificabile, ma aveva l’impressione che i suoi centri di pensiero fossero stimolati direttamente dalle onde cerebrali che stava analizzando. Non aveva riferito ufficialmente il fenomeno, pera occasionalmente ne aveva parlato, e si era sparsa la voce. Shapirov aveva definito il suo programma un ritrasmettitore proprio per questo... volendo credere a Yuri. Be’, adesso come poteva controllare l’efficacia del fenomeno, se era una sensazione che aveva avuto solo in modo sporadico e imprevedibile?
E se si fosse trattato semplicemente di autosuggestione, della volontà di credere, la stessa voglia che aveva portato Percival Lowell a vedere i canali su Marte?
Morrison si rese conto che non aveva mai pensato di tentare di ostacolare il viaggio dicendo che il suo programma non funzionava. Per quanto desiderasse evitare il rischio, non poteva farlo denigrando il programma che aveva ideato.
All’improvviso, un nuovo senso di panico si diffuse nell’animo di Morrison. E se il programma fosse rimasto danneggiato durante il trasporto? Come avrebbe fatto a convincerli che c’era davvero qualcosa che non andava e non si trattava di una sua finzione?
Ma tutto funzionava perfettamente, almeno per quel che poteva stabilire senza essere in contatto con un cranio che contenesse un cervello attivo.
Osservando la mani di Morrison che si muovevano, Dezhnev disse: «Abbiamo montato delle batterie nuove lì dentro. Batterie americane.»
«Funziona tutto, a quanto posso vedere» disse Morrison.
«Bene... Tutti soddisfatti dell’equipaggiamento? Allora alzate i vostri graziosi posteriori dal sedile e controllate i pannelli scorrevoli sotto. Funzionano? Credetemi, sareste tutti molto infelici se non funzionassero.»
Morrison osservò la Kaliinin che apriva e chiudeva il pannello (coperto da un sottile strato di rivestimento) su cui stava seduta. La imitò e vide che anche il suo funzionava.
Dezhnev disse: «Può contenere anche rifiuti solidi, entro certi limiti, ma speriamo di non dover verificare la cosa. Nel peggiore dei casi, c’è un piccolo rotolo di carta a portata di mano sotto il bordo del sedile. Con la miniaturizzazione tutto perde massa, quindi gli escrementi galleggerebbero, sospesi. Comunque, per impedirlo, ci sarà una corrente d’aria rivolta verso il basso. Non spaventatevi se la sentite. Sotto il lato del sedile, in un minuscolo frigorifero, c’è un litro d’acqua,.solo per bere. Se vi sporcate, o sudate, o puzzate, non pensateci e rimanete come siete. Non ci si lava finché non si esce. E non si mangia. Se perdiamo qualche etto, tanto meglio.»
La Boranova commentò asciutta: «Se tu perdessi sette chili, Arkady, tanto meglio. E consumeremmo meno energia nella miniaturizzazione.»
«Ci ho pensato a volte, Natasha» replicò imperturbabile Dezhnev. «Ora proverò i comandi della nave. Se tutto funzionerà a dovere, e su questo non ho dubbi, saremo pronti a iniziare.»
Seguì un’attesa silenziosa che a Morrison sembrò carica di tensione. Si udiva solo un debole fischiettio tra i denti da parte di Dezhnev, chino sui comandi.
Poi Dezhnev si drizzò, si asciugò la fronte con la manica e annunciò: «Tutto in ordine. Compagne signore, compagno signore, compagno americano, il viaggio fantastico sta per iniziare.» Mise un auricolare all’orecchio sinistro, si piazzò un minuscolo microfono davanti alla bocca e comunicò: «All’interno, tutto pronto. Lì fuori?... Benissimo, allora, augurateci buona fortuna, compagni.»
Apparentemente non accadde nulla, e Morrison lanciò un’occhiata alla Kaliinin. Sophia sedeva immobile, ma sembrò accorgersi che Morrison si era voltato verso di lei, perché disse: «Sì, ci stiamo miniaturizzando.»
Il sangue rimbombò nelle orecchie di Morrison. Era la prima volta che veniva miniaturizzato consapevolmente.