Capitolo
sesto.
Decisione
Siamo sempre certi che la decisione appena presa sia sbagliata.
DEZHNEV SENIOR
23
Morrison, finalmente, si alzò, sentendosi un po’ malfermo.. non sapeva se dipendesse dalla vodka, o dalla tensione generale della giornata, o da quell’ultima rivelazione... non lo sapeva e non gli interessava saperlo.
Batté alcune volte i piedi, quasi volesse stabilizzarli, poi percorse la stanza avanti e indietro.
Fermandosi di fronte alla Boranova disse con voce aspra: «Potete miniaturizzare un coniglio, e apparentemente non gli succede nulla. Non avete pensato che il cervello umano è il frammento di materia più complesso che conosciamo? Che anche se tutto il resto magari sopravvive, forse per il cervello umano il discorso cambia?»
«Certo» rispose flemmatica la Boranova. «Ma tutte le nostre indagini hanno dimostrato che la miniaturizzazione non influisce affatto sulle interrelazioni esistenti all’interno del soggetto miniaturizzato. In teoria, la miniaturizzazione non dovrebbe influire nemmeno sul cervello umano.
«In teoria!» sbottò Morrison sprezzante. «Assurdo! Basandovi solo sulla teoria avete tentato l’esperimento con Shapirov, un uomo dal cervello molto prezioso per voi, se non sbaglio! E adesso che con lui avete fallito, subendo una perdita enorme, siete tanto pazzi da voler ripetere l’esperimento su di me per recuperare quel che avete perso. No, fallirete anche con me, e questo non posso accettarlo.»
Dezhnev intervenne. «Non dire sciocchezze. Non siamo pazzi. Non abbiamo fatto nulla alla leggera. La colpa è stata di Shapirov.»
La Boranova disse: «In un certo senso, è vero. Shapirov era un eccentrico. Mi pare che lo chiami “Peter il Pazzo” in inglese, e forse è una definizione abbastanza azzeccata. Era deciso a provare l’esperienza della miniaturizzazione. Stava invecchiando, diceva, e non voleva, come Mosè, raggiungere la Terra Promessa senza entrarci.»
«Potevi proibirglielo.»
«Io? Io proibire qualcosa a Shapirov? Scherzi, vero?»
«Non tu. Il vostro governo. Se il processo di miniaturizzazione è tanto prezioso per l’Unione Sovietica...»
«Shapirov ha minacciato di abbandonare il progetto se non avesse potuto fare a modo suo, e non si poteva correre un rischio simile. E il nostro governo non è più prepotente come un tempo nelle sue pressioni sugli scienziati scomodi. Adesso deve tener conto maggiormente dell’opinione pubblica mondiale, come il tuo governo. È il prezzo della cooperazione globale. Se sia meglio o se sia peggio, non posso dirlo. In ogni caso, alla fine Shapirov è stato miniaturizzato.»
«Pazzesco» borbottò Morrison.
«No» ribatté la Boranova «perché non abbiamo agito senza le precauzioni necessarie. Anche se ogni miniaturizzazione costa parecchio e fa venire i brividi al Comitato di coordinamento centrale, abbiamo insistito per poter usare la massima prudenza. Abbiamo miniaturizzato due volte degli scimpanzé e due volte li abbiamo riportati alla normalità senza riscontrare alcun cambiamento in loro... né studiandone attentamente il comportamento né attraverso l’esame a risonanza magnetica del cervello.»
«Uno scimpanzé non è un essere umano» osservò Morrison.
«Lo sappiamo» fece seria la Boranova. «Infatti, poi abbiamo miniaturizzato un essere umano. Un volontario. Yuri Konev, per la precisione.»
Konev disse: «Non poteva essere diversamente. Ero io a sostenere con maggior decisione che il cervello umano non avrebbe subito ripercussioni. Sono il neurofisico del progetto, e sono stato io a eseguire i calcoli necessari. Non avrei mai chiesto a un altro essere umano di rischiare il suo equilibrio mentale affidandosi solo ai miei calcoli e alla mia certezza. La vita è una cosa... tutti la perdiamo prima o poi... La sanità di mente è una cosa del tutto diversa.»
«Che coraggioso» mormorò la Kaliinin, guardandosi la punta delle dita. «Un’impresa degna di un autentico eroe sovietico.» Le labbra le tremavano, come se stesse per sogghignare.
Fissando Morrison, Konev disse: «Sono un fedele cittadino sovietico, ma non l’ho fatto per motivi nazionalistici, che in questo caso sarebbero stati irrilevanti. L’ho fatto per una questione di decenza e di etica scientifica. Avevo fiducia nella mia analisi, e che valore avrebbe avuto la mia fiducia se non fossi stato pronto a rischiare di persona? E poi c’è dell’altro... Quando la miniaturizzazione passerà alla storia, io verrò citato come il primo essere umano miniaturizzato. E questo eclisserà le imprese di un mio prozio, un generale che combatté contro i nazisti nella Grande Guerra Patriottica. Mi piacerebbe, non per vanità, ma perché credo che le conquiste pacifiche dovrebbero sempre essere giudicate superiori alle vittorie militari.»
La Boranova disse: «Be’, accantonando gli ideali e passando ai fatti... Yuri è stato miniaturizzato due volte. La prima volta è stato ridotto di circa-la metà delle sue dimensioni ed è stato riespanso in condizioni perfette. Poi è stato ridotto alle dimensioni di un topo, ed è stato di nuovo riespanso perfettamente.»
Morrison disse: «Poi è toccato a Shapirov?»
«Poi è toccato a Shapirov. Non è stato facile tenerlo a bada. Voleva essere a tutti i costi la prima persona miniaturizzata. Dopo la prima riduzione di Konev, abbiamo dovuto penare parecchio per convincerlo ad aspettare una seconda e ben più drastica prova. Poi non siamo più riusciti a frenarlo. Ci ha costretti a miniaturizzarlo, giurando che se non lo avessimo fatto avrebbe abbandonato il progetto e si sarebbe trasferito all’estero iniziando un nuovo progetto di questo tipo. E ha preteso una miniaturizzazione maggiore di quella di Konev. Non avevamo scelta. Se “Peter il Pazzo”, come lo chiami tu, era così folle da parlare di emigrare, be’, anche coi tempi che corrono il nostro governo non l’avrebbe permesso. Non volevamo che venisse imprigionato, così l’abbiamo miniaturizzato, riducendolo alle dimensioni di una cellula.
«Una miniaturizzazione oltre i limiti di sicurezza, vero?»
«No. Nonostante l’intensità della miniaturizzazione, abbiamo ragione di credere che fosse in condizioni perfette. È stato riespanso, e a un certo punto della deminiaturizzazione si è verificata una disgrazia. La deminiaturizzazione è avvenuta un po’ troppo rapidamente e la temperatura corporea di Shapirov è aumentata leggermente. L’effetto è stato quello di una febbre alta... non letale, ma sufficiente a ledergli permanentemente il cervello. Sarebbe stato possibile salvarlo, se avessimo potuto intervenire subito, prima però bisognava completare la deminiaturizzazione, così è passato del tempo. È stata una catastrofe, e adesso non ci resta che sperare di recuperare quello che ci occorre da quel che resta del suo cervello.»
«E potrebbe succedere un’altra disgrazia se dovessi essere miniaturizzato, vero?»
«Sì» rispose la Boranova. «Non lo nego. La storia della scienza è costellata di fallimenti e di disgrazie. È inutile che ti ricordi i cosmonauti sovietici e americani morti nello spazio, credo. Quelle morti non hanno impedito che colonizzassimo la Luna, e lo spazio, creando un nuovo territorio per l’umanità.»
«D’accordo, però i progressi spaziali hanno avuto come protagonisti dei volontari. Nessuno è stato lanciato nello spazio contro la propria volontà. E io non mi sto offrendo volontario.»
Natalya Boranova insisté: «Non devi avere paura. Abbiamo fatto del nostro meglio per rendere il processo sicuro nei limiti del possibile... e, tra parentesi, non ti avventurerai da solo. Konev e Shapirov sono andati da soli, e senza nessuna protezione, come la coniglia, perché, come Katinka, erano in un campo miniaturizzante aereo. Tu, invece, sarai a bordo di una navicella... una specie di sommergibile modificato, che è già stato miniaturizzato e de miniaturizzato senza inconvenienti. È un po’ meno dispendioso effettuare il processo con un oggetto inanimato, perché può sopportare più facilmente un aumento di temperatura. Infatti l’aumento di temperatura non intacca la robustezza e la stabilità dei suoi componenti.»
«Non andrò, Natalya... né da solo né con l’Armata Rossa.»
La Boranova ignorò le parole di Morrison. «Oltre a te sulla nave ci saremo noi quattro... Io, Sophia, Yuri e Arkady. Ecco perché ti ho presentato gli altri. Parteciperemo tutti a questo grande viaggio d’esplorazione. Non attraverseremo un oceano, non ci spingeremo nel vuoto dello spazio... Entreremo invece in un oceano microscopico e ci spingeremo nel cervello umano. Come scienziato, come neurofisico, puoi tirarti indietro?»
«Certo che posso. E facilmente. Io non vengo.»
La Boranova continuò: «Abbiamo il tuo software, il tuo programma. Lo porti sempre con te, e lo avevi con te quando ti abbiamo portato qui. A bordo della nave avremo un computer per te, identico a quello che usi nel tuo laboratorio. Non dovrebbe essere un viaggio lungo. Verremo tutti miniaturizzati, rischieremo insieme a te. Tu esaminerai i dati del computer e registrerai le sensazioni che riceverai, dopo di che saremo deminiaturizzati e il tuo compito sarà finito. Di’ che ti unirai a noi. Di’ che lo farai.»
Morrison serrò i pugni e rispose caparbio: «Non mi unirò a voi. Non lo farò.»
La Boranova disse: «Mi spiace davvero, Albert, ma è la risposta sbagliata. Non l’accetteremo.»
24
Morrison sentì che il cuore gli batteva di nuovo forte. Se era uno scontro tra forze di volontà, non era sicuro di riuscire a tener testa a quella donna che, malgrado la sua apparente gentilezza, sembrava fatta di acciaio. E poi, lei aveva alle spalle l’intero apparato dell’Unione Sovietica mentre lui era solo.
Disperato, disse: «Tutta questa faccenda è una fantasticheria che non sta in piedi, dovreste capirlo benissimo. Chi vi dice che esista un collegamento tra la costante di Planck e la velocità della luce? Avete solo una dichiarazione di Shapirov, vero? Vi ha fornito qualche dettaglio? Qualche prova? Qualche spiegazione? Qualche analisi matematica? La sua è stata una semplice affermazione, un’ipotesi fantastica... o no?»
Morrison si sforzò di mostrarsi sicuro di sé. Dopo tutto, se Shapirov avesse lasciato agli altri qualche elemento concreto, loro non avrebbero compiuto quel tentativo disperato di frugargli nel cervello in cerca di qualcosa di utile. Trattenne il respiro, aspettando una reazione.
La Boranova guardò Konev poi, con una lieve riluttanza, disse: «Continueremo la nostra politica di dirti la verità nuda e cruda. Sì, è così... non abbiamo in mano nulla, a parte qualche dichiarazione di Shapirov. Gli piaceva tenere le cose per sé, per poi estrarle dal cilindro e mostrarcele a sorpresa una volta complete. Sotto questo aspetto era piuttosto infantile. Forse era un lato della sua eccentricità... o del suo genio... o di entrambi.»
«Ma chi vi garantisce, date le circostanze, che simili supposizioni non comprovate siano valide?»
«Quando l’accademico Shapirov diceva: “Sento che sarà così e così”, be’, poi saltava fuori che aveva ragione.»
«Ma via... Sempre?»
«Quasi sempre.»
«Quasi sempre. Questa volta potrebbe essersi sbagliato.»
«Lo ammetto. Può darsi.»
«O se aveva davvero delle idee utili, può darsi che si trovassero nella parte di cervello rimasta distrutta.»
«Sì.»
«O se sono idee utili e si trovano nella parte di cervello ancora intatta, può darsi che io non sia in grado di interpretare correttamente le onde cerebrali.»
«Sì, può essere.»
«Sommando tutto, allora... può darsi che l’ipotesi di Shapirov sia errata, o che sia esatta ma ormai irreperibile, o che sia disponibile ma non interpretabile da me. Considerando questi fattori, che probabilità di successo ci sono? Non capite che metteremo in pericolo le nostre vite per qualcosa che quasi certamente non riusciremo a ottenere?»
«Considerando il problema in modo obiettivo» disse la Boranova «pare che le probabilità di successo siano molto scarse. Comunque, se non rischiamo la vita, le probabilità di ottenere qualcosa sono zero... zero assoluto. Rischiando, le probabilità di successo sono molto esigue, lo ammetto, però sempre superiori a zero. Date le circostanze, dobbiamo correre il rischio, dunque, anche se al massimo possiamo dire che le nostre probabilità non sono zero.»
«Per me il rischio è troppo grande e le probabilità di successo troppo piccole» ribatté Morrison.
Natalya Boranova gli posò una mano sulla spalla. «Sicuramente, questa non è la tua decisione definitiva.»
«È proprio definitiva.»
«Pensaci. Pensa a quanto è importante per l’Unione Sovietica. Pensa ai benefici per il tuo paese quando verrà riconosciuta la tua partecipazione, ai bisogni della scienza mondiale, alla tua fama. Questi sono tutti punti a favore del viaggio. Contro, ci sono le tue paure personali. È comprensibile che tu abbia paura, ma nella vita ogni conquista richiede il superamento della paura.»
«Anche pensandoci, non cambierò idea.»
«Pensaci fino a domattina, comunque. Hai quindici ore... non possiamo concederti di più. In fin dei conti, soppesando paure e speranze si può rimanere indecisi una vita intera, e noi non abbiamo una vita intera. Il povero Shapirov potrebbe restare in coma dieci anni, ma non sappiamo per quanto tempo quel che rimane del suo cervello conserverà le sue idee, quindi abbiamo molta fretta.»
«Non posso e non voglio occuparmi dei vostri problemi.»
Ignorando i ripetuti rifiuti di Morrison, la Boranova disse col solito tono pacato: «Non insisteremo coi nostri tentativi di persuasione, adesso. Puoi cenare in tutta tranquillità Puoi guardare i nostri programmi olovisivi se vuoi, vedere i nostri libri, pensare, dormire. Arkady ti riaccompagnerà all’albergo, e se hai altre domande, basta che tu chieda a lui.»
Morrison annuì.
«E, Albert... ricorda, domattina devi comunicarci la tua decisione.»
«Ve la comunico subito. Tanto non cambierà.»
«No. Devi comunicarci che hai deciso di unirti a noi e di aiutarci. Vedi di giungere a questa decisione... perché devi... e sarà più facile per tutti se lo farai di buon grado e spontaneamente.»
25
Fu una cena silenziosa e cupa per Morrison, e non molto sostanziosa, perché riuscì solo a sbocconcellare il cibo. Dezhnev non sembrava influenzato dalla mancanza di appetito e dall’atteggiamento spento dell’altro. Mangiò di gusto e parlò senza sosta attingendo a un vasto campionario di storie buffe (in cui suo padre aveva un ruolo chiave), deliziato dal fatto di poterle sottoporre a un nuovo pubblico.
Morrison sorrise debolmente a un paio di aneddoti... non perché li avesse seguiti con interesse, più che altro perché dal tono di voce più alto di Dezhnev aveva intuito che era stata pronunciata la battuta culminante.
Valeri Paleron, la cameriera che li aveva serviti a colazione, era ancora in sala a cena. Una lunga giornata... o riceveva un salario maggiore per questo, o rientrava nei suoi compiti straordinari. Comunque, ogni volta che si avvicinava al tavolo, la donna fissava in cagnesco Dezhnev, forse perché (rifletté di sfuggita Morrison) non approvava le sue storielle, tutte abbastanza irriguardose verso il regime sovietico.
A Morrison non piaceva la piega dei propri pensieri. Ora che intravedeva la remota possibilità di andarsene dalla Grotta, da Malenkigrad, dall’Unione Sovietica, cominciava a provare una delusione perversa per quello che avrebbe potuto perdere. Senza volerlo, si ritrovava a fantasticare sulla miniaturizzazione... a sognare di usarla per dimostrare la validità delle sue teorie, di trionfare sugli sciocchi presuntuosi che lo avevano escluso su due piedi.
Di tutte le argomentazioni presentate dalla Boranova, si rendeva conto che solo quella di tipo personale lo aveva toccato. Qualsiasi riferimento al bene della scienza, o dell’umanità, o di questa o di quella nazione, era solo vana retorica. Il suo posto nella scienza invece era qualcosa di importante, che lo faceva fremere dentro.
Quando l’inserviente passò accanto al tavolo, Morrison si scosse un po’ e le disse: «Quanto tempo dovete rimanere, cameriera?»
La donna lo guardò arcigna. «Finché voi due granduchi non vi deciderete ad andarvene.»
«Non c’è fretta» disse Dezhnev vuotando il proprio bicchiere. Parlava già in modo legato, ed era rosso in viso. «La compagna cameriera mi piace moltissimo... potrei star qui finché scorre il Volga, a guardare la sua faccia.»
«Purché io non debba guardare la vostra» borbottò la Paleron.
Morrison riempì il bicchiere di Dezhnev e chiese: «Che ne pensi della signora Boranova?»
Dezhnev fissò il bicchiere con un’aria da allocco e non lo alzò immediatamente. Cercando di assumere un atteggiamento serio, rispose: «Non è una scienziata di prim’ordine, così mi dicono... ma è un’eccellente ammi.. amministratrice. Acuta, rapida nelle decisioni, e assolutamente incorr... corruttibile. Una rompiscatole, mi pare. Se un amministratore è incorr... troppo onesto, ti rende la vita difficile in cento modi. Venera Shapirov, poi, e lo ritiene incorr... no, incom... no, incontrovertibile. Ecco.»
Morrison non era sicuro del termine russo. «Vuoi dire... lei pensa che Shapirov abbia sempre ragione?»
«Esatto. Se Shapirov dice di conoscere il modo di ridurre il costo della miniaturizzazione, be’, lei non ha dubbi. Anche Yuri Konev ci crede. È un altro adoratore. Ma è la Bora... Boranova che ti manderà nel cervello di Shapirov. In un modo o nell’altro, ti ci manderà. Sa come fare, lei... Per quanto riguarda Yuri, quello sbarbatello è il vero scienziato del gruppo. Molto brillante.» Dezhnev annuì solenne e sorseggiò adagio dal bicchiere pieno.
«Yuri Konev mi interessa» disse Morrison, seguendo con gli occhi l’ascesa del bicchiere. «Anche la ragazza, Sophia Kaliinin.» Dezhnev sogghignò. «Bel pezzo di figliola.» Poi, scuotendo mesto la testa, soggiunse: «Ma non ha il senso dell’umorismo.»
«È sposata, se ho ben capito.»
Dezhnev scosse la testa con maggior vigore. «No.»
«Ha detto di avere un figlio.»
«Sì, una bambina... ma non è firmando il registro matrimoniale che una rimane incinta. Sposata o no, è il gioco del letto che conta.»
«Il puritano governo sovietico approva la cosa?»
«No, ma nessuno gliel’ha mai chiesta l’approvazione, credo.» Dezhnev scoppiò a ridere. «E poi, come scienziata di Malenkigrad, la Kaliinin ha i suoi pri... privilegi particolari. Il governo si gira dall’altra parte.»
«Mi sembra che a Sophia interessi molto Yuri Konev» osservò Morrison.
«Ah, l’hai notato, eh? Non ci vuole molta perspicacia. Le interessa tanto che ha messo bene in chiaro che la bambina è nata grazie alla collaborazione di Yuri nel gioco di cui ti parlavo.»
«Davvero?»
«Ma lui nega. Recisamente. È tragicomico, il fatto che sia costretto a lavorare con lei. Tutti e due sono indispensabili al progetto, e il massimo che può fare Yuri è far finta che Sophia non esista.»
«Ho notato che non la guarda mai, però un tempo dovevano essere amici.»
«Molto amici... se vogliamo credere a lei. In tal caso, sono stati molto discreti. Ma che differenza c’è? Sophia non ha bisogno di Yuri per mantenere la bambina. Ha uno stipendio alto, e quando è al lavoro c’è l’asilo nido che cura amorevolmente sua figlia. Per lei è solo una questione di sentimento.»
«Chissà perché si sono divisi?»
«Mah? Gli amanti prendono le loro discussioni così seriamente... Io non ho mai voluto innamorarmi... non in senso poetico. Se mi piace una ragazza, gioco con lei. Se mi stanco, proseguo per la mia strada. Per fortuna le donne che incontro sono prag... pragmatiche, bella parola, eh?... pragmatiche come me e non fanno tante storie. Come diceva mio padre: “Una donna che non fa storie è senza pecche”. A volte, se devo essere sincero, si stancano prima di me... ma anche in questo caso, dov’è il problema? Di una ragazza che è stanca di me non so che farmene, e in fin dei conti ce ne sono altre.»
«Anche Yuri è fatto così, vero?»
Dezhnev aveva vuotato il bicchiere, e tese la mano vedendo che Morrison intendeva riempirglielo ancora. «Basta! Basta!»
«Figurati se basta» ribatté calmo Morrison. «Mi stavi parlando di Yuri.»
«Che c’è da dire? Yuri non è il tipo da passare da una donna all’altra. Però ho sentito che...» Dezhnev fissò Morrison con occhi appannati. «Sai come circolano certe voci... uno lo dice a un altro, che lo dice a un altro e così via, e non sai mai se la storia che ti arriva è uguale a quella di partenza... Comunque, ho sentito dire che negli Stati Uniti, dove era andato a farsi un’istruzione all’occidentale, Yuri ha conosciuto una ragazza americana. La Bella Americana, pare, avrebbe preso il posto della povera piccola sovietica, cioè di Sophia. Forse è successo così. Forse al suo ritorno Yuri era cambiato, e può darsi che sogni ancora il suo amore perduto d’oltreoceano.»
«È per questo che Sophia è tanto mal disposta nei confronti degli americani?»
Dezhnev fissò il bicchiere di vodka e ne sorseggiò un po’. «Alla nostra Sophia gli americani non sono mai piaciuti. Non c’è da meravigliarsi.» Si sporse verso Morrison, col fiato che sapeva di cibo e alcool. «Gli americani non sono un popolo simpatico... senza offesa.»
«Nessuna offesa» disse pacato Morrison, osservando la testa di Dezhnev che calava lentamente e si posava sul braccio piegato.
Il respiro di Dezhnev era una specie di rantolo. Morrison attese una trentina di secondi, poi alzò la mano per chiamare la cameriera.
La donna arrivò subito, con un dondolio di fianchi abbondanti, e fissò la figura assopita di Dezhnev abbozzando un sogghigno di scherno. «Be’, volete che prenda delle pinze giganti e le usi per portare a letto il nostro principe?»
«Non ancora, signorina Paleron. Come sapete, sono americano.»
«Come sanno tutti. Basta che diciate un paio di parole, e i tavoli e le sedie di questa stanza si guardano e dicono: “Ecco un americano”.»
Morrison sussultò. Era sempre stato orgoglioso della purezza del proprio russo, ed era la seconda volta che quella donna lo derideva.
«A ogni modo» disse «sono stato portato qui con la forza, contro la mia volontà. Credo che sia stato fatto senza che il governo sovietico ne fosse a conoscenza, perché se l’avesse saputo il vostro governo avrebbe disapprovato una simile azione e l’avrebbe impedita. Queste persone... soprattutto la dottoressa Boranova, che voi avete definito la Zarina... hanno agito di propria iniziativa. Il governo sovietico dovrebbe esserne informato, così da provvedere con la massima rapidità al mio ritorno negli Stati Uniti ed evitare un incidente internazionale che sarebbe spiacevole per tutti. Non siete d’accordo?»
La cameriera, portando i pugni ai fianchi, rispose: «E cosa può importare alla gente, qui o negli Stati Uniti, se sono d’accordo o no? Sono un diplomatico? Sono lo spirito reincarnato dello Zar Pietro il Grande Bevitore?»
«Potete fare in modo che il governo lo venga a sapere. In fretta» disse Morrison, di colpo incerto.
«Cosa pensate, americano? Che basti che lo dica al mio amante, che è del Presidium, perché tutto si aggiusti per voi?... Che c’entro io col governo?... E poi... in tutta serietà, compagno forestiero... non voglio che mi parliate più in questo modo. Molti bravi e fedeli cittadini sono stati compromessi irrimediabilmente da stranieri che parlavano troppo. Naturalmente, riferirò tutto alla compagna Boranova, subito, e lei prenderà provvedimenti per impedire che mi insultiate ancora così.»
La donna si allontanò di scatto accigliata. e Morrison rimase a fissarla allibito. Un attimo dopo si voltò stupefatto sentendo la voce di Dezhnev che diceva: «Albert, Albert, sei soddisfatto, figliolo?»
Dezhnev aveva alzato la testa dal braccio e, anche se i suoi occhi erano un po’ arrossati, la sua voce adesso era perfettamente chiara e normale. «Mi chiedevo come mai fossi tanto ansioso di riempirmi il bicchiere, così ho bevuto un po’ e ho pensato bene di crollare. È stato tutto molto interessante.»
«Non sei ubriaco?» fece Morrison spalancando gli occhi.
«Be’, in altre occasioni ero più lucido, però adesso non sono fuori combattimento. Voi non bevitori avete un’idea esagerata della velocità con cui un autentico cittadino sovietico riesce a finire al tappeto steso dall’alcool... il che dimostra quanto sia pericoloso essere dei non bevitori.»
Morrison stentava ancora a credere che la cameriera gli avesse rifiutato la sua collaborazione. «Avevi detto che quella era un’agente dello spionaggio.»
«Davvero?» Dezhnev si strinse nelle spalle. «Se non sbaglio avevo detto che probabilmente era un’agente... ma spesso i sospetti si rivelano infondati. E poi, lei mi conosce meglio di te, Albert, e sicuramente non pensava che fossi ubriaco. Scommetto dieci rubli contro un copeco che sapeva che stavo ascoltando con le orecchie bene aperte. Cosa avrebbe dovuto dire, date le circostanze?»
«Comunque» osservò Morrison, facendosi coraggio» ha sentito quel che ho detto e riferirà ugualmente ogni cosa al tuo governo. Per evitare un incidente internazionale, il tuo governo ordinerà la mia liberazione, probabilmente presentandomi le sue scuse, e voialtri dovrete fornire spiegazioni convincenti. Vi conviene liberarmi e rimandarmi a casa spontaneamente.
Dezhnev rise. «Sprechi il tuo tempo, mio piccolo intrigante. Hai una concezione troppo romantica del nostro governo. Un giorno magari ti lasceranno andare ma, infischiandosene delle possibili complicazioni, non prima che tu sia stato miniaturizzato e...»
«Non credo che le autorità sappiano che mi avete rapito. Quando lo scopriranno, è impossibile che approvino.»
«Forse non lo sanno, forse digrigneranno i denti quando lo scopriranno... ma che possono fare? Il governo ha investito troppi soldi nel progetto per lasciarti andare senza che tu abbia provato a renderlo pratico, così da ripagare tutte le spese... e guadagnarci anche. Be’? Non ti sembra un ragionamento logico?»
«No. Perché non vi aiuterò» replicò duro Morrison. «Non mi lascerò miniaturizzare.
«A questo penserà Natasha. Sai, sarà furiosa con te, e non avrà pietà. Ti ricordo che hai tentato cinicamente di screditare i membri del progetto agli occhi del governo, di far mettere a riposo alcuni di noi... o peggio. E questo, dopo che noi ti avevamo trattato con la massima considerazione e gentilezza.»
«Mi avete rapito.»
«Anche quello è stato fatto con la massima considerazione e gentilezza. Ti è stato fatto del male? Sei stato maltrattato? Eppure, tu hai cercato di farci del male. Natasha ti contraccambierà il favore.»
«Come? Con la forza? Con la tortura? Con le droghe?»
Dezhnev alzò gli occhi al soffitto. «Non la conosci proprio la nostra Natasha. Lei non fa certe cose. Io magari potrei, lei no. Ha l’animo tenero come il tuo, mio malvagio Albert... a modo suo. Ma ti costringerà a venire con noi.»
«Sì? Come?»
«Non lo so. Non riesco mai a capire bene come faccia. Però ottiene quel che vuole. Vedrai.» Il sorriso di Dezhnev assunse una sfumatura feroce, al che Morrison si rese finalmente conto di non avere scampo.