Capitolo
sedicesimo.
Morte
Non appena tramonta il sole, scende l’oscurità: non lasciarti cogliere di sorpresa.
DEZHNEV SENIOR
70
Morrison in seguito non riuscì a ricordare quel che era accaduto... né appena prima del suo ritorno a bordo né immediatamente dopo. Per quanto si sforzasse, non ricordava di aver visto la nave che gli andava incontro, né il momento del recupero, né quando gli avevano tolto la tuta di plastica.
Spingendosi abbastanza indietro con la mente, ricordava la disperazione e la solitudine provate mentre attendeva l’esplosione e la morte. Spingendosi in avanti, ricordava il volto preoccupato della Kaliinin china su di lui. Ma tra questi due estremi non c’era nulla.
Non era già successo? I due episodi, collegati dalla presenza della Kaliinin che si prendeva cura di lui, erano separati da parecchie ore, ma si fusero in uno solo.
Con voce rauca, quasi incomprensibile, Morrison disse in inglese: «Siamo rivolti nella direzione giusta?»
La Kaliinin esitò, poi lentamente, in un inglese un po’ accentato, rispose: «Sì, Albert, ma quello è successo un po’ di tempo fa, quando eravamo nel capillare. Sei rientrato e poi sei uscito una seconda volta. Adesso siamo in un neurone. Ricordi?»
Morrison corrugò la fronte. Cos’era quella storia?
Lentamente, a frammenti, la memoria gli tornò. Chiuse gli occhi e cercò di riordinare le idee. Poi, questa volta in russo, chiese: «Come avete fatto a trovarmi?»
Konev rispose: «Ho percepito, molto forte, le onde cerebrali di Shapirov attraverso il tuo strumento.»
«Il mio computer! È salvo?»
«Era ancora attaccato a te» disse Konev. «Hai sentito dei pensieri veri e propri, tu?»
«Pensieri veri e propri?» Morrison lo fissò, confuso. «Che pensieri? Di cosa stai parlando?»
Konev stava già spazientendosi, ma serrò le labbra e disse: «Ho captato le onde del pensiero di Shapirov che arrivavano fino a me attraverso la cellula grazie alla tua apparecchiatura, ma non c’erano né parole né immagini.»
«Cos’hai sentito allora?»
«Angoscia.»
La Boranova disse: «Il resto di noi non ha sentito nulla, comunque ci è parso che la sensazione descritta da Yuri fosse l’angoscia di una mente che sapeva di essere intrappolata in uno stato comatoso, di essere prigioniera. Non hai sentito niente di più preciso?»
«No.» Morrison si guardò e si rese conto di essere steso su due sedili, con la testa appoggiata alle braccia della Kaliinin, e di avere addosso l’uniforme di cotone. Cercò faticosamente di drizzarsi. «Acqua, per favore.»
Bevve avidamente, poi disse: «Non ricordo di aver sentito o percepito nulla. Nella mia situazione...»
Konev l’interruppe brusco: «Che c’entra la tua situazione? Il tuo computer trasmetteva informazioni. Le ho percepite a una distanza considerevole. Com’è possibile che tu non abbia sentito nulla?»
«Avevo altre cose a cui pensare, Yuri. Ero rimasto isolato ed ero sicuro di morire. Date le circostanze, non ho prestato attenzione a nient’altro.
«Non posso crederci, Albert. Non mentirmi.»
«Non sto mentendo... Comandante Boranova!» disse Morrison, chiamandola in modo molto formale. «Esigo che mi si tratti con cortesia.»
«Yuri, niente accuse» ordinò la Boranova. «Se hai delle domande, falle.»
Konev riprese: «Mettiamola in questo modo, allora. Ho percepito una quantità massiccia di sensazioni, anche se ero lontano dal computer considerato il nostro livello di miniaturizzazione. Tu, Albert, eri proprio a contatto con lo strumento, uno strumento regolato apposta per il tuo cervello. I nostri cervelli apparterranno anche allo stesso gruppo, però non sono identici, e col tuo strumento puoi ottenere percezioni migliori delle mie. Com’è possibile che io abbia avuto tante percezioni mentre tu affermi di non avere sentito nulla?»
Morrison replicò caparbio: «Secondo te, avevo il tempo o la voglia di seguire le percezioni? Ero stato strappato via dalla nave... ero isolato, solo, perso.»
«Capisco, però non è necessario uno sforzo particolare per percepire. Qualsiasi cosa avvenga, le sensazioni ti penetrano nella mente.»
«Io comunque non ho ricevuto nessuna sensazione. Avevo la mente occupata da due cose... ero solo e sarei mono. Possibile che tu non capisca? Pensavo che mi sarei surriscaldato e sarei mono, come per poco non è successo la prima volta. «Un dubbio improvviso assalì Morrison, che si rivolse alla Kaliinin. «Sono state due le volte, vero?»
«Sì, Albert.»
«E poi mi sono reso conto che non mi stavo surriscaldando. Mi è sembrato invece di diventare più grande e più piccolo... di oscillare. Invece del passaggio di energia termica c’era una specie di passaggio di energia miniaturizzante. È possibile, Natalya?»
La Boranova esitò, poi rispose: «Questo effetto lo si deduce logicamente dalle equazioni di campo della miniaturizzazione. Non è mai stato verificato direttamente, ma a quanto pare la tua esperienza là fuori lo conferma.»
«Sembrava che le dimensioni dell’ambiente esterno oscillassero, che le molecole d’acqua attorno a me si espandessero e si restringessero, ma era più logico che a oscillare fossi io, e non tutto il resto.»
«Osservazione esatta. Quel che ci hai appena riferito è prezioso. Dunque potremmo dire che la situazione drammatica in cui ti sei ritrovato non è stata del tutto negativa.»
Konev sbottò indignato: «Albert, ci vieni a raccontare che eri perfettamente in grado di compiere osservazioni meticolose e razionali... e continui a pretendere che ti crediamo quando affermi di non avere percepito nulla?»
Morrison alzò la voce. «Non capisci, monomaniaco, che erano proprio queste osservazioni meticolose e razionali a riempirmi la mente lasciando fuori tutto il resto? Ero terrorizzato. A ogni contrazione delle molecole mi aspettavo che la contrazione proseguisse all’infinito, il che all’atto pratico avrebbe significato la mia espansione illimitata... in parole povere, sarebbe subentrata la deminiaturizzazione spontanea, e io sarei esploso, morendo. Non mi interessava affatto percepire le onde scettiche in quel frangente. Anche se mi fossero entrate in testa, data la mia situazione le avrei ignorate. Ecco come stanno le cose.»
Konev contrasse i lineamenti in un’espressione di disprezzo. «Se avessi un incarico importante da svolgere e mi trovassi di fronte a un plotone d’esecuzione, negli attimi prima degli spari mi concentrerei ugualmente sul mio incarico.»
Dezhnev borbottò: «Come diceva mio padre: “Tutti sono capaci di cacciare coraggiosamente un orso, quando l’orso è assente”.»
Konev lo aggredì rabbioso. «Ne ho abbastanza di tuo padre, vecchio ubriacone.»
Dezhnev disse: «Ripetilo quando saremo tornati sani e salvi nella Grotta e ti accorgerai che stai cacciando l’orso quando l’orso è presente.»
«Non aggiungere una sola parola, Yuri» intervenne la Boranova. «Intendi litigare con tutti?»
«Natalya, intendo fare il mio lavoro. Albert deve uscire di nuovo.»
«No» fece Morrison atterrito. «Mai.»
Fissando Konev in cagnesco, Dezhnev commentò: «Ha parlato un vero eroe sovietico. Lui deve fare il suo lavoro, quindi Albert deve uscire di nuovo nella cellula.
La Boranova annuì. «Dezhnev ha ragione, Yuri. Ti vanti che nemmeno un plotone d’esecuzione ti distoglierebbe dal tuo dovere. Esci tu, allora... per una volta, visto che Albert è già uscito due volte.»
Konev ribatté: «È la sua macchina. È adatta al suo cervello.»
«D’accordo» convenne la Boranova. «Ma hai detto che avete lo stesso gruppo cerebrale, no? Quello che ha percepito Albert, anche tu l’hai percepito. Quando era disperso nel fluido intercellulare, le onde scettiche le hai sentite, mi pare. Ed eri lontano. Uscendo all’esterno e con la macchina nelle tue stesse mani, raccoglieresti dei dati di persona, che per noi avrebbero più valore in ogni caso. Non serve a nulla insistere sulla maggiore sensibilità di Albert se continui a non credere a quel che dice.»
Tutti fissavano Konev, adesso. Anche la Kaliinin riuscì a lanciargli qualche sporadica occhiata attraverso le lunghe ciglia.
Poi Morrison tossicchiò. «Ecco... temo di avere orinato nella tuta... Un po’. Non molto, credo. Il terrore ha un prezzo.»
«Lo so» disse la Boranova. «L’ho vuotata e ho pulito la tuta come ho potuto. Ma ci vuol altro per bloccare Yuri. Un residuo di urina sicuramente non influirà sull’attaccamento al dovere di un uomo come lui.»
Konev disse: «Questo vostro goffo sarcasmo è irritante, comunque uscirò nella cellula. Pensate davvero che abbia paura? Volevo che fosse Albert a uscire soltanto perché lui è il più sensibile. Tuttavia, dopo di lui vengo io, come sensibilità di ricezione, e se lui non vuole uscire, bene, uscirò io, a patto che...»
Fece una pausa, e Dezhnev disse: «A patto che l’orso non sia presente, eh, Yuri, mio eroe.»
Konev sbottò aspro: «No, vecchio ubriacone, a patto che sia fissato saldamente alla nave. Albert ha perso il contatto perché era attaccato debolmente, un lavoro malfatto da parte della persona incaricata. Io non voglio lavori malfatti.»
Fissandosi la punta delle dita, la Kaliinin disse: «Albert deve avere colpito un organulo in maniera tale da aderire perfettamente alla sua struttura elettrica. Le probabilità che potesse verificarsi una cosa del genere erano bassissime. Comunque, cercherò di dare alla nave e alla tuta una struttura elettromagnetica insolita per ridurre il più possibile il fattore rischio.»
Konev annuì: «Così va bene» disse alla Boranova. E rivolto a Morrison: «Hai detto che non c’è assorbimento termico?»
Morrison rispose: «No. Io ho notato solo l’oscillazione.»
«Allora non mi spoglierò nemmeno.»
La Boranova intervenne: «Yuri, sia chiaro che non rimarrai fuori a lungo. Il rischio di una deminiaturizzazione continua ad aumentare.»
«Capisco» annuì Konev, e con l’aiuto di Morrison infilò la tuta.
71
Morrison osservò Konev attraverso lo scafo trasparente.
Due volte si era trovato in una situazione inversa. Lui all’esterno, che guardava dentro. (E per un po’, la seconda volta, si era trovato nel nulla a guardare il nulla.)
Di fronte alla compostezza di Konev, si sentì piuttosto mortificato. Konev non si girò a guardare la nave. Reggeva il computer di Morrison, seguendo le istruzioni frettolose che aveva ricevuto circa gli aspetti elementari dell’espansione e della messa a fuoco. Sembrava completamente intento al suo lavoro. Era davvero così freddo e coraggioso? Avrebbe continuato a concentrarsi se fosse stato strappato dalla nave com’era successo a Morrison? Probabilmente... e Morrison si vergognò di se stesso.
Guardò gli altri membri dell’equipaggio.
Dezhnev sedeva ai comandi. Doveva tenersi vicino alla membrana cellulare. Aveva suggerito di portarsi nella fascia calma tra le due correnti, così quasi immobili (probabilmente trascinati da un mulinello lento, per la precisione), non avrebbero rischiato l’incidente che aveva staccato Morrison dalla nave. Konev si era dichiarato subito contrario. Era lungo la membrana che scorrevano le onde scettiche, e lui voleva una posizione in prossimità delle onde.
Dezhnev aveva inoltre suggerito di capovolgere la nave. L’alto e il basso non contavano lì nella cellula, come nello spazio esterno. Capovolgendo la nave, il comparto stagno si sarebbe trovato sulla fiancata lontana dalla membrana, e Konev avrebbe potuto tenersi a distanza dalle strutture del citoscheletro.
Konev si era semplicemente arrabbiato. Aveva fatto notare che tali strutture potevano trovarsi ovunque, e che in ogni caso non voleva che tra lui e la membrana ci fosse l’ostacolo dello scafo.
Così adesso era là fuori, nelle condizioni desiderate, e Dezhnev controllando i comandi fischiettava piano tra sé.
La Boranova era china sul proprio strumento, e ogni tanto alzava la testa e lanciava un’occhiata pensierosa a Konev. La Kaliinin era agitata. Era l’unico termine adatto. I suoi occhi si spostavano verso Konev cento volte, e cento volte cambiavano direzione.
D’un tratto la Boranova chiese: «Albert, l’apparecchiatura è la tua. Credi che Yuri riesca ad adoperarla? Credi che stia ricevendo qualcosa?»
Morrison abbozzò un sorriso. «Gliel’ho regolata io. Yuri non deve fare quasi niente, e la messa a fuoco gliel’ho spiegata. Comunque, so già che non sta ricevendo nulla, Natalya.»
«Com’è che lo sai?»
«Se percepisse qualcosa, anch’io la sentirei di riflesso, come lui mi ha sentito quando ero fuori nella corrente. Non sento nulla... assolutamente nulla.»
La Boranova parve sorpresa. «Ma è possibile? Se Yuri ha sentito qualcosa quando il computer era in mano tua, perché non dovrebbe sentirla anche adesso che il computer lo ha lui?»
«Forse la situazione è cambiata. Pensa a tutta l’angoscia che Konev sostiene di aver percepito seguendo il mio computer che trasmetteva a me i pensieri di Shapirov. Prima non abbiamo sentito certe cose.»
«Lo so. Prima era qualcosa di quasi idilliaco. Campi verdi. Equazioni matematiche.»
«Forse la parte ancora viva del cervello di Shapirov, se è cosciente, si è resa conto solo da poco dello stato comatoso, magari solo nell’ultima ora...»
«Perché dovrebbe essere successo nell’ultima ora? Mi pare una coincidenza un po’ strana il fatto che sia successo proprio adesso che siamo nel cervello.»
«Forse entrando nel cervello lo abbiamo stimolato e il cervello ha constatato quale sia il suo stato. O forse è una coincidenza. Lo strano delle coincidenze è che accadono... E forse per l’angoscia provata nel rendersi conto della propria situazione, Shapirov si è chiuso in un silenzio apatico.»
La Boranova sembrava incerta. «Non sono convinta. Pensi davvero che Yuri non stia ricevendo nulla?»
«Nulla di minimamente importante. Non ho dubbi.»
«Forse dovrei richiamarlo a bordo.»
«Al tuo posto lo farei, Natalya. È fuori da quasi dieci minuti. Un periodo più che sufficiente, se non sta ricevendo nulla.»
«Ma se stesse ricevendo qualcosa?»
«Allora si rifiuterà di entrare. Tu lo conosci Yuri.»
La Boranova disse: «Batti sullo scafo, Albert. Sei il più vicino alla sua faccia.»
Morrison lo fece e Konev guardò nella loro direzione. La faccia era indistinta per via del casco di plastica, ma l’espressione era inequivocabilmente accigliata. La Boranova gli fece cenno di rientrare.
Konev esitò, poi annuì, e Morrison disse alla Boranova: «Ecco la prova che volevi.»
Konev salì a bordo, rosso in viso, e quando gli sganciarono il casco respirò a fondo.
«Ah! Che sollievo. Cominciava a far caldo là fuori. Dato che ero attaccato alla nave, le oscillazioni erano minori del previsto e l’assorbimento termico era percettibile... Aiutatemi a togliere questa armatura di plastica.»
La Boranova chiese, di colpo speranzosa: «È per questo che hai accettato di rientrare? Per il caldo?»
«È stato sicuramente il motivo principale.»
«Non hai sentito nulla, Yuri?»
E Konev rabbuiandosi rispose: «No. Niente di niente.»
Morrison alzò la testa. Un muscolo della guancia destra gli si contrasse leggermente, ma Morrison non sorrise.
72
«Be’, Natalya, mia piccola comandante» disse Dezhnev con un’aria di giovialità un po’ spenta. «Che si fa adesso? Qualche idea?»
Nessuna risposta. Sembrava che gli altri non si fossero accorti che aveva parlato.
Konev stava ancora asciugandosi il torace e il collo, e il modo in cui guardava Morrison non aveva nulla di gioviale. I suoi occhi scuri scintillavano minacciosi. «Quando eri all’esterno c’era un flusso di trasmissioni notevole.»
«Se lo dici tu» fece gelido Morrison. «Ma torno a ripeterti che non ricordo nulla.»
«Forse la persona che ha in mano il computer è un elemento determinante.»
«Non ci credo.»
«La scienza non è una questione di opinioni, ma di prove. Perché non vediamo cosa succede quando esci tenendo il tuo strumento esattamente come ho fatto io? Ti fisseremo bene, così non ti staccherai ancora, e resterai fuori dieci minuti, come me. Non un minuto di più.»
«No» rispose Morrison. «Abbiamo già provato.»
«E io ho sentito i pensieri di Shapirov... anche se tu dici di non averli sentiti.»
«Non hai sentito i suoi pensieri. Hai solo percepito uno stato d’animo. Non c’erano parole.»
«Perché hai lasciato andare il computer. L’hai ammesso tu stesso. Riprova adesso, senza lasciarlo andare.»
«No. Non funzionerà.»
«Eri spaventato perché ti eri staccato. Questa volta non succederà, come non è successo a me. Non sarai spaventato.»
«Sottovaluti la mia sensibilità alla paura, Yuri» disse Morrison stringendosi nelle spalle.
Konev parve disgustato. «Ti sembra il momento di scherzare?»
«Non scherzo. Mi spavento facilmente, io. Non ho il tuo... non so che.»
«Coraggio?»
«D’accordo. Se vuoi un’ammissione, non ho coraggio, lo ammetto.»
Konev si rivolse alla Boranova. «Natalya, sei tu il comandante. Intima ad Albert di tentare ancora.»
«Non credo di potergli intimare nulla date le circostanze. Come ha detto Albert stesso, a che servirebbe mettergli la tuta con la forza e spingerlo fuori? Se non è in grado di fare nulla, sarebbe fatica sprecata... Comunque posso chiederglielo... Albert?»
«Risparmia il fiato» disse stancamente Morrison.
«Ancora una volta. Non più di tre minuti esatti se non riceverai nulla.»
«Non riceveremo nulla. Ne sono convinto.»
«Allora solo tre minuti per dimostrare che hai ragione.»
Morrison rispose: «A che scopo, Natalya? Se non riceverò nulla, Yuri dirà che ho manomesso apposta la regolazione del computer. Se non c’è fiducia tra noi, non combineremo nulla in ogni caso. Cosa succederebbe, per esempio, se adottassi l’atteggiamento di Konev, se anch’io considerassi una bugia ogni dissenso? Io dico di non avere sentito né alcun pensiero né alcuno stato d’animo di Shapirov quando ero solo nella corrente intracellulare. Konev dice di avere sentito parecchio. Qualcun altro ha sentito? Tu, Natalya?»
«No. Non ho sentito nulla.»
«Sophia?»
La Kaliinin scosse la testa.
«Arkady?»
In tono addolorato, Dezhnev rispose: «A quanto pare io non sono capace di sentire granché.»
Morrison disse: «Bene. Dunque, Yuri è solo. Chi ci garantisce che abbia davvero sentito qualcosa? Non sarò scortese come lui. Non lo accuserò di mentire... però, può darsi che il suo desiderio folle di sentire qualcosa gli abbia fatto immaginare di averla sentita, no?»
Konev era sbiancato per la collera, ma la sua voce, a parte un lieve tremito, era abbastanza calma. «Lascia perdere queste storie. Siamo in questo corpo da diverse ore e io sto chiedendo un’ultima osservazione, un ultimo esperimento, che possa giustificare quanto è stato fatto finora.»
«No» rispose Morrison. «L’ultima volta è quella buona. Ho già sentito questa storia.»
«Albert» intervenne la Boranova «questa volta non ci saranno errori. Un ultimo esperimento.»
Dezhnev disse: «Deve essere per forza l’ultimo. Le nostre riserve energetiche sono scese a un livello che non mi piace. Per trovarti abbiamo consumato parecchio, Albert.»
«Però ti abbiamo trovato, e senza preoccuparci di quanto ci costava» disse Yuri. «Io ti ho trovato.» All’improvviso fece un sorrisetto feroce. «E non ti avrei trovato se non avessi captato quello che trasmetteva il tuo strumento. Sarebbe stato impossibile. Ecco la prova che quello che ho sentito non era frutto della mia immaginazione. E dal momento che ti ho trovato, ripagami.»
Le narici di Morrison fremettero. «Mi avete cercato perché se fossi esploso sareste morti tutti in pochi minuti, forse. Dovrei ricompensarti perché eri ansioso di salvare la tua Vi...»
La nave d’un tratto oscillò violentemente, e Konev, che era in piedi, barcollò e si aggrappò allo schienale del sedile.
«Cos’è stato?» chiese ad alta voce la Boranova, afferrandosi con una mano alla propria apparecchiatura.
La Kaliinin si chinò sul computer. «L’ho appena intravisto, ma con questa luce non si distingue bene. Forse era un ribosoma.»
«Un ribosoma» ripeté Morrison meravigliato.
«Perché no? Sono sparsi in tutta la cellula. Sono gli organuli che producono le proteine.»
«Lo so cosa sono» fece Morrison indignato.
«Be’, ci ha urtati. O meglio, avanzando l’abbiamo urtato noi. Che differenza c’è, tanto? È stata solo una scossa browniana di enorme entità.»
«Peggio» disse Dezhnev, indicando l’esterno inorridito. «Non c’è passaggio di calore... abbiamo delle oscillazioni di campo.»
Morrison, fissando disperato, riconobbe il fenomeno che aveva visto quando era disperso nella cellula. Le molecole d’acqua si espandevano e si restringevano... in maniera visibile.
«Bloccale! Bloccale!» urlò Konev.
«Sto tentando» rispose a denti stretti la Boranova. «Arkady, spegni gli ugelli e lasciami tutta l’energia disponibile... Spegni il condizionatore, le luci, tutto!»
E si chinò sul debole bagliore del suo computer a batteria.
Morrison non vedeva nulla, a parte il riflesso del computer della Boranova e di quello della Kaliinin. Nell’oscurità totale di una cellula all’interno del cervello, era impossibile vedere le molecole d’acqua che si gonfiavano e si sgonfiavano.
Comunque, sul fatto che quel fenomeno stesse verificandosi non c’erano dubbi. Morrison sentiva le scosse alla bocca dello stomaco. Non erano le molecole a oscillare, in fin dei conti. Era il campo miniaturizzante che oscillava... e gli oggetti che conteneva, compreso Morrison.
Ogni volta che la nave si espandeva (e le molecole d’acqua sembravano restringersi), il campo trasformava parte della sua energia in calore, e Morrison sentiva sul proprio corpo l’ondata di caldo. Poi. quando la Boranova immetteva energia nel campo, obbligandolo a contrarsi, il calore svaniva. Per un po’, Morrison sentì che le oscillazioni rallentavano e si calmavano.
Ma a un certo punto ricominciarono con violenza maggiore, e Morrison capì che la Boranova non riusciva più a controllare il fenomeno, che non era in grado di arrestare la deminiaturizzazione spontanea che stava sviluppandosi, che tra dieci secondi lui sarebbe morto. Lui... e tutti gli altri, e il corpo in cui erano penetrati, sarebbero esplosi dissolvendosi in una nuvola di vapore acqueo e anidride carbonica.
Morrison avvertì un senso di vertigine. Stava per svenire e, vigliaccamente, avrebbe così anticipato la morte di un secondo e il suo ultimo sentimento consapevole sarebbe stato di intensa vergogna.