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Ray entrò a passo di marcia negli uffici dell’anticrimine, senza neanche togliersi il cappotto. Trovò Kate alla sua scrivania. «Nel mio ufficio, subito».

Lei si alzò e lo seguì. «Che cosa succede?».

Non rispose. Accese il computer e posò il biglietto da visita azzurro sul tavolo. «Ricordami di chi era questo biglietto».

«Dominica Letts. La ragazza di uno degli spacciatori».

«Ha detto qualcosa?».

«Neanche una parola».

Ray incrociò le braccia. «Sono rifugi per donne».

Kate lo guardò confusa.

«La casa di Grantham Street, e anche questa». Indicò il cartoncino azzurro. «Credo che siano rifugi per donne vittime di abusi». Si sedette appoggiandosi allo schienale e intrecciò le mani dietro la testa. «Sappiamo che Dominica Letts ha subito maltrattamenti, per poco il suo caso non ha messo a rischio l’Operazione Falco. Stamattina sono passato all’indirizzo indicato nel biglietto: ho trovato sensori di movimento, tende tirate e nessuna cassetta delle lettere, proprio come in Grantham Street».

«Pensi che anche Jenna Gray sia vittima di abusi?».

«Hai notato che non ti guarda mai negli occhi? Ha sempre un’espressione schiva e nervosa, e si chiude in se stessa ogni volta che si sente attaccata».

Il telefono squillò, sul display lampeggiava l’interno della reception.

«C’è una persona che chiede di lei» gli disse Rachel. «Un uomo di nome Patrick Mathews».

«Non aspetto nessuno. Fagli lasciare un messaggio e liberati di lui».

«Ci ho provato, signore, ma insiste. Vuole parlarle della sua fidanzata, Jenna Gray».

Ray spalancò gli occhi. Il fidanzato di Jenna. Avevano fatto dei controlli su di lui, era saltata fuori solo una segnalazione per ubriachezza, quando era uno studente. Ma se ci fosse stato altro?

«Accompagnalo di sopra» chiese Ray. Mentre aspettavano aggiornò Kate.

«Credi che sia lui il fidanzato violento?» chiese lei.

«A vederlo, non si direbbe».

«È sempre così». Rachel entrò insieme a Patrick Mathews. L’uomo indossava una giacca cerata consumata e portava uno zaino in spalla. Ray indicò la sedia accanto a Kate e lui si sedette sul bordo, come se dovesse scattare in piedi da un momento all’altro.

«Quindi ha delle informazioni su Jenna Gray» disse Ray.

«Be’, non proprio delle informazioni. È poco più di una sensazione».

Ray guardò l’orologio. L’udienza era programmata subito dopo pranzo e lui voleva assistere alla sentenza. «Che genere di sensazione, signor Mathews?». Kate alzò le spalle: Patrick Mathews non sembrava un uomo violento. Ma allora di chi aveva paura Jenna?

«Mi chiami pure Patrick. Sembrerà scontato da parte mia, ma non credo che Jenna sia colpevole».

Ray si ridestò.

«C’è qualcosa che mi ha tenuto nascosto a proposito dell’incidente. Credo non ne abbia parlato con nessuno. Ero convinto che potessimo avere un futuro insieme, ma non si è mai aperta con me». Sorrise malinconico, e Ray pensò a Mags. «Tu non mi parli» aveva detto.

«Che cosa le sta nascondendo?» chiese Ray per tagliare corto. Possibile che in tutte le relazioni ci fossero segreti?

«Jenna tiene una scatola sotto il letto. L’altra sera l’ho presa e lei è scattata come una molla. Mi ha detto di lasciarla in pace. Non avrei mai pensato di frugare tra le sue cose. Ma non mi raccontava mai niente. Ho sperato di trovare qualche risposta».

«E così ha dato un’occhiata». Ray osservò Patrick attentamente. Non sembrava aggressivo. Ma se si era messo a frugare tra le cose della sua compagna, forse gli mancava un po’ di autocontrollo.

Patrick annuì. «Avevo le chiavi del cottage: stamattina dovevo passare a prendere il cane». Fece un sospiro. «Vorrei non averlo fatto». Tirò fuori una busta.

Ray la aprì, vide l’inconfondibile copertina rossa di un passaporto inglese. Nella foto Jenna era più giovane, i capelli raccolti in una coda morbida. Lesse il nome, sulla destra: Jenna Petersen.

«È sposata». Com’era possibile? L’intelligence faceva controlli su tutti coloro che venivano trattenuti in custodia, eppure si erano lasciati sfuggire quel dettaglio fondamentale. Guardò Patrick: «Lei lo sapeva?».

La corte si sarebbe riunita da lì a dieci minuti. Ray era impaziente. Quel cognome gli diceva qualcosa.

«Mi ha detto che era stata sposata: ho dedotto che fosse divorziata».

Si scambiarono un’occhiata. Ray prese il telefono e chiamò il tribunale. «È già stata convocata la causa della Gray?». Rimase in attesa.

Petersen, non Gray. Un bel pasticcio.

«Va bene, grazie». Attaccò. «Il giudice King è un po’ in ritardo. Abbiamo mezz’ora».

«Dov’è il verbale che ti ho lasciato l’altro giorno, dopo che ho parlato con quella donna preoccupata per l’incolumità della sorella?» chiese Kate.

«Da qualche parte sulla scrivania».

Kate prese tre dossier dal vassoio della posta in entrata e non sapendo dove appoggiarli li mise a terra. Scorse i fogli sottostanti, scartandoli uno dopo l’altro.

«Eccola!» esclamò trionfante. Estrasse il verbale dalla cartellina di plastica e lo posò sul tavolo. Alcuni frammenti di una cartolina caddero sulla scrivania. Patrick ne prese uno. Lo osservò attentamente, poi si rivolse a Ray.

«Posso?».

«Faccia pure» disse Ray perplesso.

Ricompose la fotografia. Non appena l’immagine della baia di Penfach prese forma davanti a loro, Ray si lasciò sfuggire un fischio. «E così Jenna Gray è la sorella di Eve Mannings! ».

In un baleno passò all’azione. «Signor Mathews, grazie per averci portato il passaporto. Le devo chiedere di aspettarci in tribunale. Rachel le darà tutte le indicazioni. Saremo lì il prima possibile. Kate, ci vediamo all’UVD tra cinque minuti».

Mentre lei accompagnava Patrick di sotto, Ray prese di nuovo il telefono. «Natalie? Ray Stevens dell’anticrimine. Mi guardi per favore che cosa abbiamo su Ian Petersen? Bianco, sui cinquanta…».

 

Scese le scale correndo, percorse il corridoio fino a una porta su cui era scritto “Servizi di protezione”. In quel momento Kate lo raggiunse, suonarono il citofono dell’Unità violenze domestiche. Una donna sorridente con i capelli corti e neri e una vistosa collana aprì la porta.

«Trovato qualcosa, Nat?».

Mostrò loro il monitor del computer. «Ian Francis Petersen, 12 aprile 1965. Precedenti per guida in stato di ubriachezza e aggressione. Attualmente è oggetto di ordine restrittivo».

«Riguarda una donna di nome Jennifer, per caso?» chiese Kate, ma Nat scosse il capo.

«Marie Walker. L’abbiamo aiutata a lasciare Petersen dopo sei anni di abusi ininterrotti. Lei ha sporto denuncia ma lui se l’è cavata. L’ordine restrittivo è stato deciso dal tribunale civile».

«Nessun’altra donna prima di Marie?».

«Nessuna relazione, ma dieci anni fa ha ricevuto una diffida per aver aggredito sua madre».

«Crediamo che Petersen sia sposato con la donna accusata dell’omicidio di Jacob Jordan» disse. Natalie si alzò e andò verso gli schedari. Aprì un cassetto e cercò tra le pratiche.

«Ecco» disse. «Questo è tutto ciò che abbiamo su Jennifer e Ian Petersen. Non sarà una lettura piacevole».