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Ray scivolò fuori dalle coperte cercando di non disturbare Mags.
Le aveva promesso un fine settimana senza lavoro, ma alzandosi subito avrebbe avuto il tempo di guardare le email e di fare il punto sull’Operazione Break prima che lei si svegliasse.
Presto avrebbero perquisito i due locali e, se le loro fonti dicevano il vero, avrebbero trovato in entrambi grossi quantitativi di cocaina, oltre ai registri contabili.
Infilò i pantaloni e scese a prepararsi un caffè.
Mentre aspettava che fosse pronto, sentì dei passi dietro di sé e si voltò.
«Papi!». Lucy lo abbracciò di slancio. «Non sapevo che fossi sveglio!».
«E tu da quando sei in piedi?» le disse, sciogliendosi dal suo abbraccio e chinandosi per darle un bacio. «Mi dispiace di non averti salutato ieri sera prima di andare a dormire. Com’è andata a scuola?».
«Bene, credo. E al lavoro?».
«Bene, credo».
Si scambiarono un sorriso.
«Posso vedere la tele?». Lucy trattenne il respiro e lo guardò supplichevole. Mags non voleva che vedessero la televisione al mattino.
«Va bene». In fondo era sabato e aveva bisogno di lavorare.
Lucy corse in sala prima che il padre potesse cambiare idea. La televisione si accese con un bip e Ray sentì le voci squillanti dei personaggi di un cartone animato. Sedette al tavolo della cucina e accese il BlackBerry.
Alle otto aveva già smaltito la maggior parte delle email e si stava preparando una seconda tazza di caffè, quando Lucy entrò in cucina chiedendo se fosse pronta la colazione.
«Tom dorme ancora?» le chiese Ray.
«Sì, il pigrone».
«Io non sono pigro!» si udì una voce dal piano di sopra e un rumore di passi sul pianerottolo.
«Sì, invece!» gridò Lucy di rimando.
Tom si precipitò giù dalle scale, la faccia ancora assonnata e lo sguardo torvo sotto i capelli arruffati. Una brutta acne gli deturpava la fronte. «No, invece!» gridò, spingendo la sorella.
«Ahi!» urlò Lucy, gli occhi già pieni di lacrime e le labbra tremanti.
«E dai, non ho ti ho fatto male!».
«Sì, invece!».
Ray sbuffò e si chiese se tutti i fratelli litigassero come i suoi figli. Proprio mentre stava per separarli, arrivò Mags.
«Sono solo le otto, Lucy. Tom è tutt’altro che pigro» disse con dolcezza. «E tu, non picchiare tua sorella». Prese il caffè: «È per me?».
«Certo». Ray riempì di nuovo il bollitore. Guardò i ragazzi, che si erano seduti a tavola e facevano programmi per le vacanze estive. La lite di prima era già un ricordo, almeno per il momento. Mags riusciva sempre a placare i loro scontri con grande facilità. «Come ci riesci?».
«Si chiama “fare il genitore”, dovresti provare qualche volta».
Ray non raccolse la provocazione.
Ultimamente non facevano altro che battibeccare: non aveva voglia di infilarsi nell’ennesima discussione sul lavoro e l’educazione dei figli.
Mags si aggirava per la cucina sorseggiando il caffè: apparecchiava la tavola, tostava il pane, versava il succo di frutta. «A che ora sei rientrato ieri sera? Non ti ho sentito». Infilò il grembiule sopra il pigiama e cominciò a sbattere le uova.
Era stato Ray a regalarle quel grembiule anni prima. Lo aveva fatto per scherzare, per scimmiottare quei mariti odiosi che regalavano alle mogli padelle e assi da stiro, ma Mags da allora lo indossava sempre.
Il grembiule raffigurava una casalinga degli anni Cinquanta e una scritta che diceva: «Adoro cucinare con il vino. A volte ne uso un po’ anche per le mie ricette».
Ray ripensò ai tempi in cui rientrava a casa e trovava sua moglie, intenta a preparare la cena. Allora la abbracciava, accarezzando le pieghe del grembiule. Era da tanto ormai che non lo faceva più.
«Intorno all’,una» disse Ray. C’era stata una rapina a mano armata in un distributore di benzina di periferia. La polizia aveva arrestato i quattro i rapinatori nel giro di poche ore, e Ray era rimasto in ufficio, più per solidarietà nei confronti della sua squadra che per reale necessità.
Il caffè era bollente, ma lui ne bevve subito un sorso, scottandosi la lingua.
Il BlackBerry vibrò e Ray guardò lo schermo. Stumpy lo informava che i quattro rapinatori erano stati incriminati e portati davanti ai magistrati, che avevano confermato la custodia in carcere.
Ray scrisse una breve mail al sovrintendente.
«Ray! Niente lavoro, avevi promesso!».
«Scusa, stavo leggendo le novità sul caso di ieri sera».
«Sono solo due giorni: possono cavarsela anche senza di te». Mags mise in tavola la padella con le uova e si sedette.
«Attenta che scotta» disse a Lucy. Poi guardò Ray: «Ne vuoi?».
«No, grazie, mangerò qualcosa più tardi. Vado a fare una doccia». Era già sulla porta.
«Lunedì vengono a lavare i vetri: dovremo lasciare il cancello aperto. Ricordatene quando porti i bidoni fuori, domani sera, okay? Ah, sono andata a lamentarmi dai vicini: hanno detto che la prossima settimana faranno tagliare gli alberi. Ci crederò solo quando lo vedrò con i miei occhi».
Ray stava pensando alla rapina di quella notte. Sperava che il Post pubblicasse un articolo a riguardo. Di solito erano tempestivi, soprattutto quando si trattava di casi che la polizia non riusciva a risolvere.
«Ottimo» disse.
Mags posò la forchetta e lo guardò perplessa.
«Cosa c’è?» chiese Ray. Salì a fare la doccia, ma prima prese il BlackBerry e scrisse all’addetto stampa. Sarebbe stato un peccato non sfruttare un successo.
«Grazie per oggi» disse Mags. Erano seduti sul divano, ma nessuno dei due aveva ancora acceso la televisione.
«Per cosa?».
«Per aver messo da parte il lavoro, almeno una volta». Mags reclinò il capo e chiuse gli occhi. Le piccole rughe sul suo viso si distesero, facendola sembrare subito più giovane: Ray si rese conto che di recente era quasi sempre accigliata; forse lo era spesso anche lui.
La madre di Ray diceva sempre che aveva un sorriso «generoso». «Vuol dire che ho la bocca larga?» aveva commentato Mags, ridendo, la prima volta.
Ripensò ai quei giorni. Anche se negli ultimi tempi sorrideva meno, Mags non era cambiata. Si lamentava dei chili che aveva messo su dopo le gravidanze, ma a Ray piaceva di più ora: il ventre appena accennato, il seno pieno e morbido. Era sempre stata sorda ai complimenti e lui da tempo aveva rinunciato a farglieli.
«È stato bello» disse. «Dobbiamo farlo più spesso».
Avevano passato la giornata a casa, sbrigando qualche faccenda domestica e sfidandosi a cricket in giardino. Si erano goduti il sole. Ray aveva tirato fuori dal capanno il set per giocare a Swingball.
Tom fingeva di annoiarsi, ma in realtà lui e Lucy si erano divertititi moltissimo.
«È stato bello vederlo ridere » disse Mags.
«Non capita spesso ultimamente, eh?».
«Sono preoccupata per lui».
«Vuoi parlare di nuovo con gli insegnanti?».
«Non credo che serva. Ormai l’anno scolastico è quasi finito. Dal prossimo avrà nuovi insegnanti, spero gli farà bene. E poi non sarà più tra i piccoli: magari questo gli darà un po’ di fiducia in se stesso».
Ray ci sperava. Tom stava per chiudere l’anno scolastico così come l’aveva iniziato: senza nessun entusiasmo. Non c’erano stati progressi da quando erano stati convocati a scuola la prima volta. «Vorrei solo che si aprisse con noi» disse Mags.
«Lui giura che va tutto bene» replicò Ray. «È in piena crisi adolescenziale, tutto qui. Ma dovrà superarla, perché se terrà questo atteggiamento anche alle superiori, lo schiacceranno».
«Oggi siete andati d’accordo» disse Mags.
Era vero, avevano trascorso una giornata intera senza litigare. Ray aveva ignorato le rispostacce di Tom, e Tom si era sforzato di evitare le consuete manifestazioni di insofferenza nei confronti del padre. Era stata una buona giornata.
«E non è poi così terribile tenere spento il BlackBerry, no?» disse Mags. «Hai avuto palpitazioni? Sudori freddi? Delirium Tremens?».
«Ah, ah! No, non è terribile». Non l’aveva spento, ovviamente: il telefono aveva continuato a vibrare nella tasca per tutto il giorno. Alla fine si era chiuso in bagno per controllare le email e assicurarsi che non ci fossero urgenze. Aveva risposto a un messaggio del capo sull’Operazione Break e aveva scorso velocemente un messaggio di Kate sul pirata della strada: non vedeva l’ora di leggerlo con calma. Mags non capiva: non poteva ignorare il BlackBerry per due giorni. Avrebbe accumulato una montagna di arretrati e sarebbe stato costretto a correre per tutta la settimana cercando di mettersi in pari.
Si alzò. «Adesso però andrei nello studio a lavorare un’oretta».
«Cosa? Ray, avevi detto niente lavoro!».
Ray era confuso. «I ragazzi sono a letto».
«Sì, ma io…». Mags s’interruppe e scosse leggermente il capo.
«Tu?».
«Niente. Vai pure. Fai quello che devi fare».
«Tra un’ora al massimo torno giù, prometto».
Erano passate quasi due ore quando Mags si affacciò alla porta dello studio. «Ti va una tazza di tè?».
«Grazie». Ray si stiracchiò, la schiena scricchiolò e gli sfuggì un gemito.
Mags posò la tazza e sbirciò la pila di fogli che Ray stava leggendo. «L’indagine sui nightclub?». Scorse velocemente la prima pagina. «Jacob Jordan? Ma non è il bambino ucciso da quel pirata della strada l’anno scorso?».
«Esatto».
Mags era sorpresa. «Pensavo che il caso fosse stato ormai archiviato».
«È così, infatti».
Mags si sedette sul bracciolo della poltrona che tenevano lì perché non s’intonava al tappeto del soggiorno. Non si adattava neppure allo studio, in realtà, ma Ray diceva che era la poltrona più comoda su cui si fosse mai seduto e non intendeva separarsene. «Allora perché te ne occupi ancora?».
Ray sospirò. «Il caso è chiuso ma io non l’ho mai davvero archiviato. Stiamo ripercorrendo le indagini a distanza di tempo per essere certi che non ci sia sfuggito nulla».
«Stiamo?».
Ray esitò. «La squadra». Non avrebbe saputo dire perché non aveva fatto il nome di Kate. Meglio lasciarla fuori, nel caso in cui il capo fosse venuto a sapere qualcosa. Meglio che non si rovinasse la reputazione proprio a inizio carriera.
«Ray,» disse Mags con gentilezza «non ti bastano i casi con indagini in corso? Come fai a occuparti anche di quelli irrisolti?».
«Questo può essere risolto» disse Ray. «Non riesco a non pensare che ce l’abbiano tolto troppo presto. Se potessimo lavorarci ancora, scopriremmo qualcosa».
Mags rimase in silenzio qualche istante. «Non è per Annabelle, vero?».
Ray strinse con forza la tazza.
«No».
«Non puoi torturarti in questo modo per ogni caso che non si conclude bene». Gli toccò un ginocchio. «Finirai per impazzire».
Ray bevve un sorso di tè. Quello della scomparsa di Annabelle Snowden era stato il suo primo incarico quando era diventato ispettore. Era sparita all’uscita di scuola e i suoi genitori erano impazziti dal dolore. O almeno così era sembrato. Due settimane più tardi Ray aveva chiesto l’incriminazione del padre di Annabelle per omicidio, dopo che il corpo della bambina era stato ritrovato dentro la base di un divano letto nel suo appartamento.
La piccola era stata tenuta prigioniera lì dentro, viva, per più di una settimana.
«Sapevo che qualcosa che non tornava » disse alla fine guardando Mags. «Avrei dovuto arrestare Terry Snowden subito dopo la scomparsa della bambina».
«Non avevi prove. L’istinto del poliziotto è importante, ma non si può portare avanti un’indagine basandosi sulle sensazioni». Chiuse con delicatezza il dossier di Jacob. «Questo è un caso diverso. Con protagonisti diversi».
«È sempre un bambino» disse Ray.
Gli prese le mani. «Lui è morto. Puoi lavorare ogni ora per il resto dei tuoi giorni, ma non riuscirai a portarlo indietro. Lascialo andare».
Ray non rispose.
Si voltò e riaprì il dossier, senza quasi accorgersi di Mags, che usciva per andare a dormire. Quando controllò la posta trovò un nuovo messaggio di Kate, inviato appena un paio di minuti prima.
Le rispose subito.
Sei ancora sveglia?
La risposta arrivò pochi secondi dopo.
Sto controllando se la madre di Jacob è su Facebook.
E intanto guardo un’offerta su eBay. Tu?
Verifico le denunce della polizia locale sulle auto incendiate.
Vado avanti ancora un po’.
Grande, così mi tieni sveglia!
Ray immaginò Kate rannicchiata sul divano, con il portatile e qualcosa da mangiare.
Gelato? Scrisse.
Come fai a saperlo?
Ray sorrise. Cliccò sulla finestra della posta e la spostò in un angolo dello schermo, per tenere d’occhio i messaggi in arrivo. E cominciò a leggere le registrazioni degli ospedali ricevute via fax.
Non avevi promesso a Mags di prenderti il weekend libero?
Mi sto prendendo il weekend libero.
Ma adesso che i ragazzi sono a letto, ne approfitto per sbrigare un po’ di lavoro. Qualcuno deve pur tenerti compagnia…
Sono onorata. Quale modo migliore di passare il sabato sera?
Ray rise.
Trovato niente su Facebook?
Un paio di omonimi, ma niente foto.
Aspetta, mi suona il telefono. Torno subito.
A malincuore, Ray chiuse la posta e si concentrò sulla documentazione degli ospedali. Erano passati mesi dalla morte di Jacob. Una vocina fastidiosa gli ripeteva che quel lavoro era inutile. Avevano scoperto che il fanale rotto della Volvo apparteneva all’auto di una casalinga che era slittata sul ghiaccio andando a sbattere contro alcuni alberi.
Tutte quelle ore di indagini per niente, eppure non riuscivano a darsi per vinti. Sapeva di giocare con il fuoco, contravvenendo agli ordini del suo capo e lasciando che Kate facesse altrettanto. Ma ormai c’era dentro fino al collo: non avrebbe potuto fermarsi neppure se lo avesse voluto.