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«Certo che avrebbe potuto fermarsi!» disse Kate camminando per la stanza avanti e indietro… «È così glaciale. Mi mette i brividi».

«Ti spiace sederti?» Ray buttò giù il caffè e soffocò uno sbadiglio.

«Mi stai facendo stancare». Era appena passata la mezzanotte quando avevano sospeso l’interrogatorio per concedere un po’ di riposo a Jenna.

Kate ubbidì. «Perché pensi che si sia arresa così facilmente dopo più di un anno?».

«Non lo so» disse Ray, appoggiandosi allo schienale e allungando i piedi sulla scrivania di Stumpy. «C’è qualcosa che non mi torna».

«Tipo?».

Ray scosse il capo. «È una sensazione. Ma forse sono solo stanco». La porta si aprì ed entrò Stumpy. «Ci hai messo un sacco. Com’era la città?».

«Caotica. Non capisco come fa la gente a viverci».

«Hai convinto la madre di Jacob?».

Stumpy annuì. «Diciamo che non aprirà un fan club a breve, ma è dalla nostra parte. Dopo la morte del figlio, si è sentita attaccata. Non era stato facile farsi accettare nel quartiere. E dopo l’incidente le cose sono peggiorate».

«Quando se n’è andata?» chiese Kate.

«Subito dopo il funerale. A Londra c’è una nutrita comunità polacca. Anya è andata vivere da alcuni cugini, in una casa in condivisione. Sospetto che non abbia un regolare permesso di lavoro. Anche per questo è stato difficile rintracciarla».

«Era sollevata?» Ray distese le braccia e fece schioccare le dita. Kate trasalì.

«Sì. Mi è sembrato che avesse bisogno di parlare di Jacob. La sua famiglia in Polonia non sa niente, Anya ha detto che si vergognava troppo».

«Si vergognava? E di che cosa dovrebbe vergognarsi?» chiese Ray.

«È una lunga storia. Anya aveva diciotto anni quando si è trasferita. È stata un po’ vaga nel raccontare come è arrivata qui, comunque è finita a fare le pulizie in nero negli uffici a Gleethorne. Ha fatto amicizia con un tizio che lavorava lì ed è rimasta incinta».

«E non ha più visto il padre» intuì Kate.

«Esatto. I familiari di Anya rimasero sconvolti quando seppe del bambino, e le chiesero di tornare a casa, ma lei rifiutò. Voleva dimostrare di potersela cavare da sola».

Ray scosse il capo. «Poveretta. Quanti anni ha?».

«Ventisei. Crede che la morte di Jacob sia una punizione, per non aver ascoltato la sua famiglia».

«È davvero triste». Kate sedeva con le ginocchia raccolte contro il petto. «Ma non è stata colpa sua, non guidava lei quella maledetta macchina!».

«Gliel’ho detto, naturalmente, ma si porta dietro un enorme senso di colpa, già da prima dell’incidente. Le ho comunicato che avevamo fermato una persona e che a breve avremmo formalizzato le accuse. Se voi due avete fatto bene il vostro lavoro». Lanciò un’occhiata allusiva a Kate.

«Non farmi arrabbiare. È tardi è il mio senso dell’umorismo è andato a dormire. La Gray ha confessato, ma finiremo l’interrogatorio domani. L’abbiamo mandata a riposare».

«È esattamente quello che farò io» disse Stumpy. «Se per te va bene, capo» aggiunse slacciandosi la cravatta.

«Andiamo via tutti» disse Ray. «Vieni, Kate. Domattina cercheremo di farci dire dov’è finita l’auto».

Scesero nel cortile sul retro. Stumpy oltrepassò i cancelli e lì salutò dall’auto. Ray e Kate rimasero nel parcheggio buio.

«È stata una lunga giornata» le disse. Malgrado la stanchezza, a un tratto non aveva nessuna voglia di tornare a casa.

«Già».

Erano molto vicini, sentiva una traccia leggerissima del profumo di Kate. I battiti del cuore accelerarono. Se l’avesse baciata di nuovo, non ci sarebbe stato modo di tornare indietro.

«Allora notte» disse Kate, ma non si mosse.

Ray prese le chiavi dalla tasca. «Notte, Kate. Dormi bene».

Mentre si allontanava in macchina, espirò a fondo. C’era andato vicino. Troppo vicino.

 

Era crollato nel letto alle due. Quando la sveglia suonò, gli sembrava di essersi appena coricato.

Aveva dormito a sprazzi, senza smettere di pensare a Kate. Si sforzò di allontanarla dalla mente, almeno durante il briefing della mattina.

Alle dieci erano in mensa per la colazione. Ray si chiese se anche Kate avesse trascorso la notte pensando a lui. Si sentì ridicolo, doveva dimenticare quella faccenda.

«Sono troppo vecchio per fare le notti» commentò mentre erano in coda. Sperò che Kate lo rincuorasse e di nuovo si sentì uno stupido. Il menù prevedeva un’altra delle specialità di Moira, «la Morsa», così chiamata per le sue proprietà nutritive che favorivano l’ostruzione delle arterie.

«Sono felice di non fare più i turni » disse. «Ti ricordi i colpi di sonno delle tre del mattino?».

«Come potrei dimenticarli? Cercavo di stare sveglio e speravo disperatamente in un inseguimento per rimettere in circolo l’adrenalina. Non ce la farei più».

Si sedettero a un tavolo libero con i piatti pieni di bacon, salsiccia, uova, sanguinaccio e pane fritto.

Kate si mise a sfogliare una copia del Bristol Post. «La solita lettura esaltante» commentò. «L’elezione della giunta, le vacanze scolastiche, gli escrementi dei cani sui marciapiedi…». Piegò il giornale e lo mise da parte, la foto di Jacob era in prima pagina.

«Sei riuscita a sapere qualcosa in più da Jenna Gray?» chiese Ray.

«Ha ribadito la versione di ieri. Se non altro è coerente. Ma non ha voluto dirmi dove si trova l’auto, né ha spiegato perché non si è fermata».

«Non importa, a noi interessa scoprire che cosa è successo, non perché è successo. Abbiamo abbastanza elementi per incriminarla. Passa tutto al procuratore. Vediamo se decidono entro oggi».

Kate era pensierosa.

«Che cosa c’è?».

«Ieri sera hai detto che c’era qualcosa di strano…».

«Sì?» la esortò Ray.

«Ho le stessa sensazione anch’io». Kate bevve un sorso di tè e posò la tazza sul tavolo, fissandola come se potesse trovarci una risposta.

«Pensi che si sia inventata tutto?».

A volte capitava, soprattutto in casi complicati come quello. Qualcuno si faceva avanti e confessava un crimine, poi durante l’interrogatorio ti rendevi conto che non poteva essere stato lui. Mancava qualche particolare fondamentale, dettagli del caso che non erano stati resi pubblici, e la storia semplicemente non stava in piedi.

«No, non credo. La macchina è sua, e il suo racconto coincide perfettamente con quello di Anya. Però…». Si appoggiò allo schienale. «Ricordi quando ha descritto il momento dell’impatto?».

Ray annuì.

«Ha riferito troppi particolari su Jacob, su quello che indossava…».

«Ha buona memoria. È probabile che una cosa del genere ti resti impressa, non ci vedo niente di strano». Stava facendo l’avvocato del diavolo, anticipando le possibili obiezioni del sovrintendente e del suo capo. Ma Ray continuava ad avere la sensazione che Jenna Gray nascondesse qualcosa.

«Dalle tracce degli pneumatici sappiamo che la macchina non ha rallentato» proseguì Kate. «Per usare le sue parole, Jacob è “spuntato dal nulla”. Ma se è accaduto tutto così in fretta, come ha potuto notare tanti particolari? E se invece ha avuto il tempo necessario per registrare ogni dettaglio, perché non ha frenato?».

Ray rimase in silenzio. Gli occhi di Kate brillavano, nonostante gli arretrati di sonno. Aveva la solita espressione determinata. «Che cosa vuoi dire?».

«Non voglio che sia incriminata. Non ancora».

Esitò. Non potevano rimettere in libertà un sospettato dopo una confessione. Il capo avrebbe perso la testa.

«Voglio l’auto, prima. »

«Non farà nessuna differenza» disse Ray. «Potremmo trovare al massimo il DNA di Jacob sul cofano e le impronte della Gray sul volante. La macchina non ci dirà niente che non sappiamo già. Mi interessa di più trovare il cellulare. Dice di averlo buttato quando se n’è andata da Bristol, perché non voleva essere rintracciata da nessuno, ma se invece l’avesse fatto sparire perché conteneva della prove? Voglio sapere se ha fatto chiamate prima dell’incidente e anche dopo».

«Quindi per adesso la lasciamo andare» disse Kate.

Incriminare Jenna era la strada più semplice. Avrebbe ricevuto congratulazioni dai colleghi e una pacca sulla spalla dal capo. Ma sentiva di non doversi limitare a considerare i fatti. Il suo istinto gli suggeriva che c’era di più.

Ripensò ad Annabelle Snowden, prigioniera in casa, mentre il padre pregava la polizia di trovare un fantomatico rapitore. Il suo istinto allora aveva ragione, ma lui lo aveva ignorato.

Se avessero lasciato Jenna in libertà provvisoria per qualche settimana, avrebbero potuto cercare di mettere insieme un quadro più preciso. Dovevano assicurarsi che non ci fossero incongruenze nella ricostruzione dei fatti prima di portarla in tribunale.

Annuì. «Lasciamola andare».