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«Ti serve un mano?» chiese, ma sapeva che sua moglie aveva tutto sotto controllo. Come sempre.

«È pronto» disse Mags slacciandosi il grembiule. «Il riso con chili è nel forno, la birra in frigo e per dessert ci sono i brownie al cioccolato».

«Invitante». Si aggirava impacciato per la cucina.

«Puoi svuotare la lavastoviglie, se vuoi renderti utile».

Cominciò a tirar fuori i piatti puliti e intanto pensava a qualcosa da dire, voleva evitare di innescare l’ennesima discussione.

La cena di quella sera era stata un’idea di Mags per festeggiare il loro successo. Ray pensava che fosse anche un modo per scusarsi, dopo tutte le liti recenti.

«Sei stata gentile a invitarli» disse quando il silenzio cominciò a pesargli. Sollevò il cestello con le posate, facendo gocciolare dell’acqua sul pavimento. Mags gli porse uno straccio.

«È uno dei casi più impegnativi a cui avete lavorato. Bisogna brindare». Gli prese lo straccio dalle mani e lo buttò nel lavandino. «Ma forse avreste preferito festeggiare voi tre da soli al Nag’s Head…».

Ray incassò la frecciatina. Ecco dunque il vero motivo di quella cena.

Si muovevano tranquilli in cucina, come se Ray non avesse passato la notte sul divano; come se non ci fosse nulla di strano sotto il letto del loro primogenito. Non riusciva a decifrare l’espressione di sua moglie. Meglio tacere. Ultimamente tutto quello che diceva era sbagliato.

Non avrebbe dovuto fare paragoni tra Mags e Kate, ne era consapevole, ma in ufficio era tutto più semplice. Kate non era suscettibile, e lui non doveva prepararsi psicologicamente prima di affrontare un argomento spinoso.

Non pensava che Kate avrebbe accettato l’invito.

«Se preferisci evitare, lo capisco» le aveva detto Ray, ma lei lo aveva guardato confusa.

«Perché dovrei…». Si era morsa il labbro. «Oh, capisco». Era diventata seria, ma non sembrava preoccupata quanto Ray. Le brillavano gli occhi. «Ti ho detto che è tutto dimenticato. Per me non c’è problema, se tu te la senti».

«Me la sento».

 

Adesso sperava solo di riuscire a cavarsela. A un tratto si sentiva terribilmente a disagio al pensiero di stare con sua moglie e Kate nella stessa stanza. Aveva passato la notte sveglio sul divano, non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che Mags sapesse del loro bacio. Forse aveva invitato Kate proprio per questo. Non era da lei fare scenate, ma alla sola prospettiva di un confronto tra loro sudava freddo.

«Tom oggi ha portato a casa una lettera della preside» disse Mags all’improvviso. Era probabile che stesse aspettando il momento giusto per parlargliene fin da quando era rientrato a casa.

«Cosa dice?».

Mags gli porse una busta.

 

Gentili signori Stevens,

 

Vorrei discutere con voi di un problema emerso a scuola. Vi prego di prendere appuntamento tramite la segreteria.

Cordiali saluti

Ann Cumberland

Preside della scuola Morland Downs

 

«Era ora!» disse Ray. «Finalmente ammettono di avere un problema? Meglio tardi che mai.».

Mags aprì il vino.

«Da quanto tempo diciamo che Tom potrebbe essere vittima di bullismo? E loro si sono sempre rifiutati di prendere in considerazione l’idea!».

Mags lo guardò, i suoi lineamenti si contrassero e le sue difese cedettero.

«Come abbiamo fatto a non capire una cosa del genere?». Cercò invano un fazzoletto nella manica. «Mi sento così inutile!». Cercò anche nell’altra manica, con lo stesso risultato.

«Non fare così». Ray le asciugò le lacrime con il suo fazzoletto, dolcemente. «Non è vero che non te ne sei accorta. Ce ne siamo accorti tutti e due. Abbiamo capito che qualcosa non andava fin dal primo giorno e ne abbiamo parlato subito con le insegnanti ».

«Ma non è compito loro capire qual è il problema». Mags si soffiò il naso. «Siamo noi i genitori».

«È vero, ma il problema non è qui, giusto? È a scuola, e forse adesso finalmente faranno qualcosa per affrontarlo».

«Spero che questo non peggiori la situazione».

«Posso provare a parlare con l’assistente sociale di zona e chiedergli di organizzare una ciclo di lezioni sul bullismo alla Morland Downs».

«No!».

La reazione di Mags lo sorprese.

«Limitiamoci a discutere con la preside. Non c’è sempre bisogno di tirare in ballo la polizia. Per una volta affrontiamo la cosa in famiglia, okay? E preferirei che non parlassi di Tom al lavoro».

Proprio in quel momento suonarono alla porta.

«Sei sicura di stare bene?».

Mags annuì, si asciugò le lacrime e gli restituì il fazzoletto. «Sto bene».

Si guardò allo specchio, nell’ingresso, il volto pallido e tirato. All’improvviso gli venne voglia di mandare via Kate e Stumpy e di restare solo con sua moglie. Ma Mags aveva passato il pomeriggio in cucina, e di certo non l’avrebbe ringraziato se avesse mandato tutto all’aria. Respirò a fondo e aprì la porta.

Kate indossava un paio di jeans, stivali al ginocchio e un maglioncino nero a V. Non c’era nulla di appariscente nel suo aspetto, ma sembrava più giovane e rilassata del solito. Ray fece un passo indietro per invitarla a entrare, tutt’altro che indifferente.

«È stata davvero una bella idea. Grazie per avermi invitata».

«Grazie a te per essere qui». Le fece strada verso la cucina. «Tu e Stumpy avete lavorato sodo negli ultimi mesi. È giusto che sappiate che apprezzo i vostri sforzi. E a essere sinceri è stata un’idea di mia moglie, il merito è tutto suo».

Mags sorrise. «Ciao, Kate, è bello conoscerti, finalmente. Hai fatto fatica a trovare la strada?». Erano una di fronte all’altra, Ray dovette constatare quanto fossero diverse. Mags non si era cambiata, c’era una macchia di sugo proprio al centro della sua maglietta. Era gentile, accogliente, calorosa, ma di fianco a Kate sembrava… Ray faticava a trovare il termine giusto. Più ordinaria. Fu assalito all’istante dal senso di colpa, e si mise vicino alla moglie, come per rimediare.

«Che bella cucina». Kate guardò il vassoio dei brownie appena sfornati, ricoperti di scaglie di cioccolato bianco. «Ho portato un dolcetto, ma è davvero poca cosa al confronto» disse porgendo una cheesecake confezionata.

«Che gentile, grazie. Un dolce non si rifiuta mai!».

Kate sorrise e Ray si rilassò. Forse la serata sarebbe andata meglio del previsto, ma non vedeva l’ora che arrivasse Stumpy.

«Vuoi bere qualcosa?» chiese Mags. «Ray preferisce la birra, ma io ho aperto anche del vino».

«Perfetto».

«Tom, Lucy, venite a salutare, asociali che non siete altro» grido Ray.

I ragazzi arrivarono in cucina correndo, ma poi restarono sulla porta impacciati.

«Lei è Kate» disse Mags. «È una recluta e lavora nella squadra di papà».

Ray alzò gli occhi al cielo, ma Kate non sembrava infastidita da quella definizione.

«Ancora qualche mese e sarò un detective a tutti gli effetti. Come state, ragazzi?».

«Bene» risposero Lucy e Tom in coro.

«Tu devi essere Lucy» disse Kate.

Lucy aveva bei capelli, come la madre, ma per il resto era il ritratto di Ray. Era opinione comune che i ragazzi avessero preso dal padre. Ray invece non vedeva una grossa somiglianza, avevano personalità diverse. Si riconosceva nei propri figli solo quando dormivano e i loro lineamenti erano rilassati. Forse un tempo anche lui era stato indisponente come Tom in quel momento. Fissava il pavimento stizzito, come se ce l’avesse con le piastrelle, e i suoi capelli, pieni di gel, puntavano verso l’alto, aggressivi come lui.

«E lui è Tom» disse Lucy.

«Di’ ciao, Tom» intervenne Mags.

«Ciao, Tom» ripeté lui, senza alzare gli occhi da terra.

Kate gli sorrise e Tom guardò sua madre, impaziente di andarsene.

Mags, esasperata, tolse la pellicola protettiva da un piatto di tramezzini. «Voi due potete mangiare di sopra, se non volete stare con noi anziani».

Lucy si mise a ridere, Tom alzò gli occhi al cielo, e nel giro di qualche secondo erano già spariti, ognuno diretto alla propria camera.

«Sono due bravi ragazzi,» disse Mags. «Quasi sempre» aggiunse a bassa voce.

«Ha avuto altri problemi di bullismo?» chiese Kate.

Ray soffocò a stento un gemito. Mags si irrigidì ed evitò il suo sguardo.

«Nulla che non possiamo gestire» replicò, asciutta.

Trasalì. Avrebbe dovuto avvertire Kate: ogni discorso su Tom era tabù. Le rivolse un cenno di scuse mentre Mags era di spalle. Seguì un silenzio imbarazzante, poi il cellulare di Ray trillò per l’arrivo di un messaggio. Prese il telefono, contento di avere una scusa per allontanarsi, ma rimase di sasso.

«Stumpy non ce la fa. Sua madre è stata male, di nuovo».

«È grave?» chiese Mags.

«Non saprei, sta andando all’ospedale». Rispose al messaggio e rimise il telefono in tasca. «Siamo noi tre, quindi».

Kate guardò Mags, che si voltò e si mise a mescolare il chili.

«Sentite, perché non rimandiamo a un’altra volta, quando c’è anche Stumpy?».

«Non scherzare» disse Ray ostentando allegria, «non riusciremo mai a finire tutto questo chili senza il tuo aiuto». Mags continuava a mescolare. Sperava quasi che accettasse di posticipare la cena.

«Ci mancherebbe» disse invece senza tante cerimonie. Porse a Ray dei guanti da forno. «Ti spiace portare in tavola la pentola? Kate, perché non prendi quei piatti e mi segui in sala da pranzo?».

Non c’erano posti assegnati, Ray sedette a capotavola e Kate si mise alla sua sinistra. Mags portò una pentola di riso, poi tornò in cucina a prendere il formaggio grattugiato e la panna acida. Prese posto di fronte a Kate e cominciarono a riempirsi i piatti.

A parte il tintinnare delle posate, c’era un silenzio assoluto. Ray si arrovellava disperato alla ricerca di un argomento di conversazione. Se avessero parlato di lavoro, Mags non avrebbe apprezzato, ma forse era il terreno più sicuro. Prima che riuscisse a venirne a capo, Mags posò la forchetta e guardò Kate.

«Come ti trovi all’anticrimine?».

«Benissimo. I ritmi sono tosti, ma il lavoro mi piace ed è quello che ho sempre voluto fare».

«Ho sentito dire che l’ispettore è insopportabile».

Ray le lanciò un’occhiataccia, sempre più a disagio, ma Mags non se ne accorse nemmeno.

«Non è così male» disse Kate, strizzando un occhio. «Certo, è molto disordinato: il suo ufficio è un disastro. Ci sono tazze di caffè mezze piene abbandonate ovunque».

«Perché lavoro così tanto che non riesco neppure a finire un caffè» ribatté Ray. Farsi prendere in giro era un prezzo equo da pagare, considerate le circostanze.

«Ovviamente ha sempre ragione lui» disse Mags.

«Tranne quando ha torto».

Scoppiarono a ridere entrambe e Ray cominciò a rilassarsi.

«Anche a casa canticchia tutto il tempo Momenti di gloria?»

«Non saprei. Non lo vedo mai».

L’atmosfera allegra si dissolse di colpo e tornò l’imbarazzo. Per un po’ mangiarono in silenzio. Ray cercò di attirare l’attenzione di Kate, per scusarsi. Lei scrollò le spalle e si accorse che Mags li stava guardando, una ruga sottile le attraversava la fronte. Posò la forchetta e allontanò il piatto.

«Il lavoro ti manca?»

Le facevano tutti la stessa domanda, come se fosse naturale rimpiangere il lavoro d’ufficio, i turni impietosi e, di conseguenza, una casa sporca e caotica.

«Sì» rispose senza la minima esitazione.

«Sul serio?» chiese Ray.

Mags lo ignorò. «Non mi manca il lavoro in sé, ma vorrei essere di nuovo la persona di un tempo. Avevo qualcosa da dire, qualcosa da insegnare».

Era attonito. Mags era la stessa persona di allora, la persona che sarebbe sempre stata, con o senza distintivo.

«Pensi di tornare?». Kate mostrava un interesse autentico per sua moglie. Le era molto riconoscente per questo.

«Come potrei? Chi si occuperebbe di quei due di sopra? Per non parlare di lui. Sai come si dice: dietro un grande uomo…».

«È così» la interruppe, con uno slancio eccessivo. «Sei tu che tieni insieme tutto quanto».

«Dolce!» esclamò Mags, alzandosi da tavola. «A meno che tu non voglia dell’altro chili, Kate».

«Basta così, grazie. Posso darti una mano?».

«Resta lì, ci metto un secondo. Sparecchio e faccio un salto di sopra a controllare che i ragazzi non stiano combinando qualcosa». Portò tutto in cucina, poi salì le scale.

«Mi dispiace. Non so che cosa le è preso».

« È colpa mia?» chiese Kate.

«No, non pensarci neanche. Ultimamente è un po’ strana. È preoccupata per Tom, credo. Sarà colpa mia, come sempre».

Mags riapparve con un piatto di brownie e una ciotola con la panna.

«Scusate, credo che rinuncerò al dolce» disse Kate alzandosi.

«Vuoi della frutta? C’è del melone, se preferisci».

«No, non è quello. È solo che sono stanca. È stata una settimana pesante. La cena era deliziosa, davvero, grazie».

«Come vuoi». Mags posò i brownie. «Non ti ho fatto i complimenti per la risoluzione del caso Jordan: Ray mi ha detto che è stato tutto merito tuo. È davvero un ottimo risultato per il tuo curriculum, sei così giovane».

«In realtà è stato un gioco di squadra. Lavoriamo bene insieme».

Ray sapeva che si riferiva a tutti i colleghi dell’anticrimine, ma non osò controllare la reazione di sua moglie.

Nell’ingresso, Mags baciò Kate sulla guancia. «Torna a trovarci. Mi ha fatto piacere conoscerti». Nella sua voce era palese la totale assenza di sincerità.

Ray stabilì che sarebbe stato strano se non avesse baciato Kate. Cercò di essere rapido e disinvolto; quando finalmente ebbe richiuso la porta si sentì sollevato.

«Bene, non credo di poter resistere a quei brownie. Tu ne vuoi?».

«Sono a dieta» disse Mags. Andò in cucina e aprì l’asse da stiro, mise l’acqua nel ferro e aspettò che si scaldasse. «Nel frigo c’è un contenitore con riso e chili per Stumpy: glielo porti domani? Non avrà mangiato molto in ospedale».

Ray si portò il piatto di brownie in cucina. «È gentile da parte tua».

«È un bravo ragazzo».

«È vero. Ho la fortuna di lavorare con delle belle persone».

Mags tacque. Prese un paio di pantaloni e si mise a stirare, con insolita foga.

«È carina».

«Kate?».

«No, Stumpy». Lo guardò esasperata.

«Credo di sì. Non ci avevo mai fatto caso». Era una bugia patetica: Mags lo sapeva meglio di lui e inarcò un sopracciglio. Ma poi sorrise. Si azzardò a provocarla: «Sei gelosa?».

«Per niente. Anzi, se è capace di stirare può trasferirsi qui».

«Mi dispiace di averle raccontato di Tom».

Mags premette un pulsante e si sollevò una nuvola di vapore. «Lo so che ami il tuo lavoro, ne sono felice. È una parte di te. Ma io e i ragazzi passiamo sempre in secondo piano. Mi sento invisibile».

Ray stava per protestare ma Mags lo interruppe.

«Parli più con Kate che con me. L’ho capito stasera, siete affiatati. Non sono stupida, so com’è quando lavori tante ore con una persona. Ma questo non significa che tu non debba parlare anche con me». Spruzzò un altro getto di vapore e riprese a stirare con più energia. «Nessuno in punto di morte ha mai rimpianto di non aver lavorato abbastanza» disse. «I ragazzi stanno crescendo e tu ti stai perdendo tutto. Un giorno se ne andranno quando sarai in pensione, resteremo noi due e non avremo niente da dirci».

Aveva ragione, pensò Ray, e non trovò le parole per replicare. Si limitò a scuotere il capo.

Gli sembrò di sentire un singhiozzo, forse era stato solo un altro spruzzo di vapore.