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«Andiamo!» gridò Ray dalle scale a Tom e Lucy, guardando l’orologio per la quinta volta in pochi minuti. «Faremo tardi!».
Come se il lunedì mattina non fosse già abbastanza stressante, Mags aveva passato la notte da sua sorella e non sarebbe tornata prima di pranzo. Ray aveva dovuto cavarsela da solo per ventiquattro ore. La sera prima aveva permesso ai bambini – incautamente, ora se ne rendeva conto – di stare alzati fino a tardi per guardare un film, e alle sette e mezza aveva dovuto pregare perfino Lucy, che di solito era mattiniera, per tirarla giù dal letto. Adesso erano già le otto e trentacinque e avrebbero fatto meglio a sbrigarsi. Ray era stato convocato nell’ufficio del capo alle nove e mezza ma, se continuava così, per quell’ora rischiava di trovarsi ancora lì, ai piedi delle scale a urlare ai suoi figli di scendere.
«Sbrigatevi!» Ray usci di casa lasciando spalancata la porta e avviò il motore. Lucy si precipitò fuori, i capelli spettinati che le svolazzavano sul viso, e salì svelta accanto al padre. La divisa scolastica blu scuro era stropicciata e una calza era già scivolata alla caviglia. Un minuto dopo Tom uscì di casa con calma, la camicia che sventolava fuori dai pantaloni e la cravatta in mano. Era cresciuto tutto in una volta e portava in giro la sua nuova altezza in modo goffo, la testa sempre bassa e le spalle chine.
Ray tirò giù il finestrino: «La porta, Tom!».
«Eh?». Tom lo guardò.
«La porta, non si chiude?». Ray serrò i pugni. Come faceva Mags a non perdere la pazienza? Nella sua mente si delineò la lista delle cose che doveva fare. Quel giorno, più di ogni altro, avrebbe fatto volentieri a meno di portare i ragazzi a scuola.
«Oh». Tom tornò flemmatico verso casa e sbatté porta. Poi salì dietro. «Perché Lucy è davanti?».
«Tocca a me».
«No».
«Sì».
«Basta!» ruggì Ray.
Nessuno disse più una parola e, nei cinque minuti che impiegarono a raggiungere la scuola di Lucy, la pressione di Ray tornò normale. Parcheggiò la Mondeo sulle strisce trasversali gialle e accompagnò Lucy in classe. La salutò con un bacio e tornò alla macchina giusto in tempo per vedere una donna che prendeva nota del suo numero di targa.
«Oh, è lei!» disse quando Ray raggiunse di corsa l’auto. Agitò l’indice: «Non me lo sarei mai aspettato, Ispettore».
«Mi scusi» disse Ray. «Un caso urgente. Sa com’è».
La lasciò che tamburellava con la penna sul blocco. Dannati volontari, pensò. Avevano troppo tempo libero, ecco il problema.
«Allora» cominciò Ray, guardando Tom. Aveva preso posto davanti non appena Lucy era scesa dalla macchina e fissava ostinatamente fuori dal finestrino. «Come va la scuola?».
«Bene».
La sua insegnante sosteneva che le cose non erano peggiorate, ma non erano neppure migliorate. Nell’ultimo incontro a scuola aveva riferito che Tom non aveva amici, studiava il minimo indispensabile e non alzava mai la mano.
«La signora Hickson dice che stanno mettendo insieme una squadra di calcio per il doposcuola, il mercoledì. Ti piacerebbe?».
«Non particolarmente».
«Io ero piuttosto bravo ai miei tempi, magari hai preso da me, no?». Anche senza guardarlo, Ray sapeva che Tom aveva alzato gli occhi al cielo e in quel momento ebbe la sgradevole sensazione di assomigliare un po’ troppo a suo padre.
Tom s’infilò gli auricolari.
Ray fece un sospiro. La pubertà aveva trasformato suo figlio in un adolescente scontroso e taciturno, e cominciava a temere che un giorno sarebbe successa la stessa cosa anche a Lucy. Sapeva che non era giusto, ma aveva un debole per la figlia, che a nove anni lo cercava ancora per farsi coccolare e per farsi raccontare le storie della buonanotte. Anche prima della trasformazione adolescenziale, Ray e Tom si scontravano di continuo. Troppo simili, diceva Mags, ma Ray non riusciva a vedere in che cosa.
«Puoi lasciarmi qui» disse Tom slacciando la cintura mentre la macchina si muoveva ancora.
«Ma non siamo arrivati».
«Papà, va bene. Cammino un po’». Impugnò la maniglia della portiera e per un istante Ray pensò che volesse aprirla per lanciarsi fuori.
«Va bene, ho capito!» Ray accostò, ignorando i segnali stradali per la seconda volta quella mattina.
«Farai tardi per l’appello, lo sai?».
«Ciao».
E un istante dopo era andato, sbattendo la portiera e tuffandosi nel traffico per attraversare la strada. Che fine aveva fatto il ragazzino allegro e gentile di un tempo? Quel silenzio ostinato era solo un rito di passaggio dell’adolescenza o c’era dell’altro? Ray scosse il capo. Per uno abituato a indagare su casi complicati, occuparsi dei figli avrebbe dovuto essere una passeggiata. Ma era più facile interrogare un sospettato piuttosto che fare due chiacchiere con Tom. C’era molto più dialogo, si disse Ray con un pizzico di ironia. Grazie a Dio toccava a Mags andare a prendere i ragazzi dopo la scuola.
Quando arrivò alla centrale, Ray aveva ormai relegato il pensiero di Tom in un angolo della mente. Non ci voleva un genio per capire perché il capo volesse parlargli. Il caso del pirata della strada era ormai vecchio di sei mesi e le indagini erano a un punto morto. Ray sedette fuori dall’elegante ufficio in pannelli di quercia e l’assistente del capo gli rivolse un sorriso solidale.
«È al telefono» disse. «Non ci vorrà molto».
Il commissario Olivia Rippon era una donna in gamba ma decisamente ostica. Aveva fatto una carriera rapida e brillante. Era stata capitano ad Avon e Somerset per sette anni. A un certo punto stava per diventare capo della polizia di Londra, ma per «ragioni personali» aveva deciso di restare nel suo distretto dove traeva grande soddisfazione nel ridurre gli agenti più anziani a fantocci farfuglianti durante le riunioni mensili di aggiornamento. Era una di quelle donne nate per indossare la divisa, i capelli scuri trattenuti da una crocchia severa e le gambe robuste nascoste sotto spesse calze nere.
Ray strofinò i palmi sui pantaloni per assicurarsi che fossero perfettamente asciutti. Girava voce che Olivia avesse bloccato la promozione di un agente promettente solo perché le mani sudaticce del poveretto non le ispiravano fiducia. Se fosse vero o no, Ray non poteva dirlo, ma non voleva correre rischi. Stando attenti alle spese, se la cavavano abbastanza bene con il suo stipendio da ispettore. Mags continuava a ripetere che avrebbe potuto insegnare, ma Ray aveva fatto due conti: ancora un paio di promozioni e non ce ne sarebbe stato bisogno. Ripensò a quanto erano complicate le mattinate a casa. Mags faceva già tanto: non era giusto che dovesse anche lavorare per qualche lusso extra.
«Adesso può entrare» disse l’assistente.
Lui fece un profondo respiro e aprì la porta. «Buongiorno, signora».
Ci fu qualche istante di silenzio mentre il commissario scribacchiava su un blocco con la sua calligrafia illeggibile. Ray indugiò vicino alla porta fingendo di ammirare le numerose targhe e fotografie che tappezzavano le pareti. La moquette blu navy era più spessa e soffice che nel resto dell’edificio e un enorme tavolo per le riunioni occupava una buona metà della stanza. Sul lato opposto, Olivia Rippon sedeva a una grande scrivania a semicerchio. Finalmente smise di scrivere e levò lo sguardo.
«Voglio che chiuda il caso del pirata di Fishponds».
Era chiaro che non lo avrebbe invitato ad accomodarsi, ma Ray prese posto ugualmente sulla sedia più vicina. La donna inarcò un sopracciglio senza dire nulla.
«Se solo avessimo ancora un po’ di tempo…».
«Ne avete avuto abbastanza» disse Olivia. «Cinque mesi e mezzo per la precisione. È imbarazzante, Ray. Ogni volta che il Post pubblica uno dei vostri cosiddetti aggiornamenti, non fa che riportare l’attenzione su un caso che non siamo stati in grado di risolvere. L’assessore Lewis mi ha telefonato ieri sera: vuole archiviare il caso, e anch’io».
Ray sentì la rabbia montargli dentro. «Non è stato Lewis a respingere la richiesta dei residenti di abbassare il limite di velocità sulle strade di quartiere a venti miglia all’ora?».
Olivia diede un colpo secco sul tavolo e gli rivolse un’occhiata gelida.
«Il caso è chiuso, Ray».
Si guardarono in silenzio da un lato all’altro della liscia scrivania di noce. Con grande stupore di Ray, fu Oliva a cedere per prima, appoggiandosi allo schienale della poltrona e intrecciando le mani davanti a sé.
«Lei è un ottimo detective, uno dei migliori, e la sua tenacia le fa onore. Ma se vuole fare carriera deve accettare il fatto che un’indagine di polizia è una questione politica oltre che investigativa».
«Lo capisco, signora». Ray si sforzò di non lasciar trapelare la frustrazione.
«Bene» disse Olivia, togliendo il cappuccio alla penna e prendendo un foglio dal vassoio della corrispondenza in entrata. «Quindi siamo d’accordo. Il caso è chiuso da oggi».
Per una volta Ray fu grato al traffico che ritardava il suo rientro in ufficio. Non aveva nessuna fretta di dire a Kate che il caso era chiuso, e si chiese perché fosse proprio lei il primo dei suoi pensieri. Forse perché era ancora nuova e avrebbe dovuto sperimentare la frustrazione di veder archiviare un lavoro a cui aveva dedicato tante energie. Stumpy si sarebbe rassegnato più facilmente.
Non appena arrivato, li convocò nel suo ufficio. Kate entrò per prima, con una tazza di caffè che posò sul tavolo di Ray, accanto ad altre tre ancora mezze piene.
«Sono della settimana scorsa?».
«Già. La signora delle pulizie si rifiuta di lavarle».
«La capisco. Potresti farlo tu, ci hai pensato?». Kate si sedette nel momento in cui Stumpy entrava salutando Ray con un cenno del capo.
«Ti ricordi l’auto che Brian e Pat hanno individuato nei filmati delle telecamere?» disse Kate non appena Stumpy si fu seduto. «Quella che sembrava avere molta fretta di levarsi di torno».
Ray annuì.
«Non siamo riusciti a capire di che auto si tratti e vorrei mostrarla a Wesley. Se non altro potremo escluderla con sicurezza».
Wesley Barton era un tipo pallido e pelle e ossa che si era fatto una certa reputazione come esperto di telecamere a circuito chiuso. Lavorava in uno scantinato senza finestre in Redland Road e aveva un armamentario impressionante di attrezzature, in grado di trasformare le immagini delle telecamere di sorveglianza in prove inconfutabili. Ray era abbastanza sicuro che fosse pulito visti i suoi contatti con la polizia, ma quell’uomo aveva qualcosa di inquietante che gli dava i brividi.
«Mi dispiace, Kate, ma non posso autorizzare la spesa» disse Ray. Detestava doverle dire che tutto il suo duro lavoro non sarebbe più servito a niente. Wesley si faceva pagare, ma era bravo, Kate aveva avuto un’ottima idea. Non gli piaceva ammetterlo, nemmeno a se stesso, ma nelle ultime settimane non era stato troppo presente. La storia di Tom lo distraeva, e per un istante provò risentimento nei confronti del figlio. Era imperdonabile che la sua vita privata influisse sul lavoro, soprattutto con un caso difficile come quello. Non che importasse più, pensò con amarezza, ora che il capo aveva emesso la sentenza.
«Non è una grossa spesa» disse Kate. «Gli ho parlato e…».
Ray la interruppe. «Non posso più autorizzare nessuna spesa per questo caso» disse senza mezzi termini. Stumpy lo guardò. Era in polizia da abbastanza tempo per conoscere già il seguito.
«Il capo mi ha dato ordine di chiudere il caso» disse Ray con lo sguardo fisso su Kate.
Ci fu un momento di silenzio.
«Spero che tu le abbia spiegato dove può ficcarselo, il suo ordine». Kate rise ma nessuno si unì a lei. Guardò Ray e poi Stumpy e si fece serissima. «Dici sul serio? Davvero rinunciamo così?».
«Non stiamo rinunciando» disse Ray. «Abbiamo fatto tutto il possibile. Hai cercato quel fanale dappertutto…».
«Ci sono ancora decine di numeri di targa da verificare» disse Kate. «Moltissime officine non hanno nemmeno un registro delle riparazioni. Questo non vuol dire che non sarò in grado di rintracciarlo, solo che mi serve più tempo».
«È uno spreco di energie» disse Ray con dolcezza. «Bisogna capire quando è il momento di fermarsi».
«Abbiamo davvero fatto il possibile» disse Stumpy, «ma è come cercare un ago in un pagliaio. Non conosciamo il numero di targa, né il colore, la marca o il modello: ci serve di più, Kate».
Ray era grato a Stumpy per il supporto. «E invece non abbiamo niente» disse. «Perciò mi dispiace ma ora come ora dobbiamo tirare una riga su questo caso. È chiaro che se dovessero emergere nuovi sviluppi torneremmo a lavorarci, ma altrimenti…». Non terminò la frase, si accorse che stava parlando come in un comunicato stampa.
«È tutta una questione politica, vero?» disse Kate. «Il capo dice “buttatevi nel vuoto” e noi chiediamo “da che altezza?”». Ray si rese conto di quanto la stesse prendendo sul personale.
«Andiamo, Kate. Sei qui da abbastanza tempo per sapere che a volte è necessario fare scelte difficili». S’interruppe, non voleva darle una lezione di vita. «Ascolta, sono passati sei mesi e non abbiamo niente di concreto. Nessun testimone, nessuna prova, niente di niente. Potremmo investire in questo caso tutte le nostre risorse e non troveremmo comunque un indizio rilevante. Mi dispiace, ma ci sono altre vicende da risolvere, altre vittime che chiedono giustizia».
«Ci hai provato, almeno?» chiese Kate, le guance accese di rabbia. «O ti sei arreso subito?».
«Kate» s’intromise Stumpy, «è meglio se ti calmi».
Lei lo ignorò e fissò Ray con aria di sfida. «Ma certo, hai la tua promozione a cui pensare. Metterti a litigare con il capo non ti agevolerebbe di sicuro».
«Non è questo il punto!» Ray stava cercando di rimanere calmo, ma alzò la voce suo malgrado. Si guardarono. Ray si accorse che Stumpy lo osservava preoccupato. Avrebbe dovuto dire a Kate di uscire dal suo ufficio, per ricordarle che era solo un’agente di un’unità anticrimine oberata di lavoro e che se il suo capo le diceva che un caso era chiuso, be’, il caso era chiuso. Fine del discorso. Aprì la bocca ma non gli uscirono le parole.
Il problema era che Kate aveva ragione. Neanche lui voleva chiudere il caso, e in altri tempi avrebbe affrontato i superiori proprio come stava facendo lei ora. Forse non era più così bravo nel suo lavoro, o forse Kate ci aveva visto bene: era troppo interessato a far carriera.
«È dura, quando ci hai messo tanto impegno, lo so» disse con gentilezza.
«Non è per questo», Kate indicò la foto di Jacob sulla parete di fronte, «è per quel bambino. Non è giusto».
Ray rivide la madre seduta sul divano, il dolore scolpito sul volto. Non poteva ribattere alle argomentazioni di Kate e non provò a farlo. «Mi dispiace, davvero». Si schiarì la voce e cercò di concentrarsi su altro. «A quali altri casi sta lavorando la squadra in questo momento?» chiese a Stumpy.
«Malcolm è in tribunale tutta la settimana per il caso Grayson, e ha una denuncia per gravi lesioni personali a Queen’s Street, il procuratore ha formulato l’accusa. Io mi sto occupando delle indagini sulle rapine nei supermercati e Dave è impegnato nella campagna sulle armi da taglio. Oggi è a scuola a fare “sensibilizzazione”».
Stumpy pronunciò il termine come se fosse una bestemmia e Ray rise.
«Bisogna stare al passo coi tempi, Stumpy».
«Puoi parlare ai ragazzi fino allo sfinimento» disse Stumpy. «Questo non gli impedirà di infilarsi un coltello in tasca».
«Forse, ma almeno ci avremo provato». Ray si segnò un promemoria sull’agenda. «Fatemi avere un aggiornamento prima della riunione di domattina. Vorrei proporre un’amnistia per la consegna spontanea di armi da taglio prima delle vacanze scolastiche. Proviamo a toglierne dalle strade il più possibile».
«Certo, capo».
Kate fissava il pavimento, tormentandosi le unghie. Stumpy le toccò il braccio e lei si volse a guardarlo.
«Che ne dici di un sandwich al bacon?» le sussurrò.
«Non mi farà sentire meglio» mormorò lei in risposta.
«No» concordò Stumpy, «ma starei meglio io se potessi evitare di vederti per il resto della giornata con la faccia di un bulldog che ha ingoiato una vespa».
A lei sfuggì una risatina sincera. «Ci vediamo di sopra».
Passò qualche istante. Kate aspettò che Stumpy lasciasse la stanza. Ray andò a chiudere la porta e tornò alla scrivania, si sedette e incrociò le braccia. «Tutto okay?».
Kate annuì. «Voglio chiederti scusa, non avrei dovuto parlarti in quel modo».
«Mi è capitato di peggio» disse con un sorriso. Ma Kate restò seria e Ray capì che non era in vena di battute. «So che questo caso significa molto per te».
Kate guardò di nuovo la foto di Jacob. «Mi sembra di averlo tradito».
Ray sentì le sue difese sgretolarsi. Era vero, avevano tradito Jacob, ma non lo avrebbe mai detto a Kate.
«Hai dato il massimo» disse. «Non c’è altro che tu possa fare».
«Ma non è bastato, giusto?». Guardò Ray e lui scosse il capo.
«No. Non è bastato».
Uscì dall’ufficio chiudendosi la porta alle spalle e Ray colpì la scrivania con un pugno, facendo cadere la penna. Si appoggiò allo schienale e intrecciò le mani dietro la nuca. Stava cominciando a perdere i capelli; chiuse gli occhi, sentendosi a un tratto vecchio e stanco. Pensò agli ispettori che incontrava quotidianamente: la maggior parte erano più vecchi, ma alcuni erano addirittura più giovani e sgomitavano per andare avanti senza guardare in faccia nessuno. Aveva la forza di competere con loro? E soprattutto, era disposto a farlo?
Tanti anni prima, appena entrato in polizia, tutto gli era sembrato semplice: arrestare i cattivi e proteggere i buoni, mettere insieme i pezzi per ricostruire le aggressioni, gli stupri, qualunque reato, e fare la sua parte perché il mondo fosse un posto migliore. Ma era ancora così? Stava chiuso in ufficio dodici ore al giorno, usciva per andare sulla scena di un crimine solo quando poteva trascurare le scartoffie, e difendeva le decisioni dei superiori anche quando facevano a pugni con quello in cui credeva.
Ray guardò il dossier di Jacob, pieno zeppo dei risultati di indagini infruttuose. Rivide l’espressione dura di Kate, la sua delusione: detestava l’idea di aver perso punti ai suoi occhi. Ma le parole del commissario gli risuonavano ancora nelle orecchie, e Ray sapeva di non poter trasgredire a un ordine tanto esplicito, per quanto Kate potesse soffrirne. Prese il dossier e lo infilò nell’ultimo cassetto della scrivania.