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Non ho mai capito perché ci tenessi tanto a farmi conoscere la tua famiglia.

Detestavi tua madre. Telefonavi a Eve almeno una volta alla settimana, ma lei non si è mai degnata di venire a trovarti a Bristol. Tu invece andavi da lei ogni volta che te lo chiedeva. Non capivo perché. Obbedivi, da brava sorellina, lasciandomi solo per una notte, a volte anche di più. Scommetto che ti scioglievi davanti alla sua pancia che lievitava, e magari flirtavi con il suo ricco marito. Mi hai chiesto tante volte di accompagnarti ma io ho sempre rifiutato.

«Finiranno col pensare che non esisti» dicevi. Sorridevi, ma c’era una traccia di disperazione nella tua voce. «E poi voglio che trascorriamo il Natale insieme: l’anno scorso non è stata la stessa cosa senza di te».

«Allora resta qui». Era una scelta facile. Perché io non ti bastavo?

«Voglio stare anche con la mia famiglia. Non dobbiamo neanche fermarci a dormire, basta che andiamo lì per pranzo».

«Senza bere neanche un goccio? Sai che bel pranzo di Natale!».

«Guiderò io. Ti prego, Ian, vorrei davvero che ti conoscessero».

Praticamente mi stavi supplicando. Ti truccavi sempre meno, ma quel giorno ti eri messa il rossetto e mentre mi imploravi guardavo la curva della tua bocca.

«E va bene. Ma il prossimo anno lo passiamo io e te da soli».

«Grazie!» Ti sei illuminata e mi hai abbracciato.

«Immagino che dovremo portare dei regali. Mi viene da ridere, se penso a tutti i soldi che hanno».

«Ci ho pensato io» hai risposto, troppo felice per accorgerti del mio tono acido. «Eve adora i prodotti da bagno profumati e Jeff è contento con una bottiglia di Scotch. Davvero, andrà bene, vedrai. Ti piaceranno».

Ne dubitavo. Avevo sentito i tuoi racconti su “Lady Eve”. Mi ero fatto un’idea di che tipo fosse, anche se ero curioso di capire perché la venerassi. Non ho mai sofferto per il fatto di non avere fratelli. Trovavo irritante che vi sentiste così spesso. A volte entravo in cucina mentre eri al telefono con lei e ti bloccavi all’istante. Sapevo che stavi parlando di me.

«Che cosa hai fatto oggi?» ti ho chiesto per cambiare argomento.

«È stata una bella giornata. Sono andata a pranzo da Three Pillars. Hanno organizzato un incontro tra artigiani creativi. Sai, serve a creare gruppi di lavoro e reti di contatti. È incredibile quanti siamo. Lavoriamo tutti da soli, a casa, in piccoli studi o sul tavolo della cucina…». Avevi un’espressione colpevole.

Era diventato impossibile mangiare in cucina: il tavolo era perennemente ricoperto da uno strato di vernice e argilla e da fogli pieni di scarabocchi. Le tue cose erano ovunque, non c’era un angolo della casa in cui potessi rilassarmi. Quando l’avevo comprata, non mi era sembrata piccola. E anche quando ci abitavo con Marie lo spazio bastava per tutti e due. Lei era più tranquilla di te. Meno esuberante. In un certo senso era più facile convivere con lei. Peccato che mi raccontasse tante bugie. Ma ora sapevo come comportarmi. Non mi sarei più fatto fregare.

Stavi ancora parlando del pranzo a cui avevi partecipato, ho cercato di concentrarmi sulle tue parole.

«… E così abbiamo pensato che insieme, noi sei, saremmo in grado di pagare l’affitto».

«Quale affitto?».

«L’affitto per uno studio in condivisione. Non posso permettermene uno da sola, ma guadagno abbastanza con l’insegnamento per prenderne uno insieme agli altri. Così potrei avere una fornace come si deve e ti libererei di tutta questa roba».

Ti avevo suggerito io di tenere corsi di ceramica. Mi sembrava un’idea intelligente, meglio che dedicarti a quelle statuine che poi vendevi per una miseria. Non immaginavo certo che ti pagassero decentemente, avresti potuto aiutarmi con il mutuo. Ormai vivevi con me da molto tempo e non avevi mai contribuito. E invece stavi pensando di mettere in piedi un’attività con degli estranei.

«In linea di principio l’idea è buona, tesoro, ma se uno di voi se ne andasse come fareste? Chi coprirebbe la quota mancante?». Dalla tua espressione ho capito che non avevate considerato quell’eventualità.

«Mi serve un posto dove lavorare, Ian. Insegnare mi piace, ma non è quello che voglio fare nella vita. Le mie sculture cominciano a vendersi bene: se potessi lavorare più velocemente, otterrei più commissioni. Penso che riuscirei a mettere su un’attività decente».

«Quanti scultori e artisti riescono a mantenersi grazie alle loro opere? Cerca di essere realista: questo lavoro potrebbe alla fine restare solo un hobby, che al massimo ti frutterà qualche soldino».

Sentirti dire la verità non ti è piaciuto.

«Ma lavorando in gruppo potremmo aiutarci. I mosaici di Avril sono affini alle cose che faccio io. Grant fa bellissimi quadri a olio… Mi piacerebbe coinvolgere anche alcuni compagni dell’università, è una vita che non li sento più».

«Io credo che avrai solo un sacco di problemi».

«Può darsi. Ci penserò su».

Ma si capiva che avevi già deciso. Ti avrei perso se ti avessi lasciato inseguire quel sogno. «Senti» ho detto, cercando di non far trapelare l’ansia, «è da un po’ che sto pensando di cambiare casa».

«Sul serio?». Non sembravi convinta.

«Troveremo una casa con il giardino, dove potrai costruirti uno studio».

«Uno studio tutto per me?».

«Con tanto di fornace. Avrai tutto quello che ti serve».

«Faresti questo per me?». Sulla faccia ti si è dipinto un grande sorriso.

«Farei qualunque cosa per te, Jennifer. Lo sai».

Era vero. Avrei fatto qualunque cosa per non perderti.

 

Mentre eri sotto la doccia è squillato il telefono.

«C’è Jenna? Sono Sarah».

«Ciao, Sarah. Jenna è fuori con degli amici. Non ti ha richiamato l’ultima volta? Io le ho lasciato il tuo messaggio».

Silenzio.

«No».

«Ah. Le dirò che l’hai cercata di nuovo».

Ho frugato nella tua borsa. Non ho trovato niente di strano, nessuna sorpresa tra le ricevute: mi avevi detto di essere stata in quei posti. Ho sentito allentarsi la tensione. Come d’abitudine ho controllato i contanti. Il portafogli era vuoto ma ho sentito uno spessore sotto la fodera: era scucita e dentro c’erano alcune banconote. Le ho sfilate e le ho messe in tasca. Volevo metterti alla prova. Se le avevi nascoste lì per sicurezza, me ne avresti parlato appena ti fossi accorta che erano sparite. Se invece avevi dei segreti, se rubavi i miei soldi, avresti taciuto.

Non mi hai mai detto niente.

 

Quando te ne sei andata, non me ne sono accorto subito. Ho aspettato che tornassi a casa, solo più tardi, di sopra, ho visto che il tuo spazzolino non c’era più. Ho controllato le valigie: mancava solo una borsetta. Si è offerto di comprarti le cose che ti servivano? Ha promesso di regalarti tutto quello che volevi? E tu che cosa gli hai dato in cambio? Mi facevi schifo. Ma ti ho lasciato andare. Sarei stato meglio senza di te. Eri libera, purché non corressi dalla polizia per accusarmi di abusi, come direbbero loro. Avrei potuto cercarti ma non ti volevo. Capisci che cosa sto dicendo? Non ti volevo. Stamattina però ho visto quell’articolo sul Bristol Post. Non hanno pubblicato il tuo nome, ma credi che io non sappia che sei tu?

La polizia ti aveva interrogato, sulla tua vita, sulle tue relazioni. Ti avevano teso dei tranelli, avevano cercato di metterti le parole in bocca, ne ero certo. E tu avevi pianto, avevi spifferato tutto. Ero sicuro che fossi crollata e che presto avrebbero bussato alla mia porta. Mi avrebbero fatto domande seccanti e mi avrebbero accusato di violenze e maltrattamenti. Io non sono così. Non ti ho mai dato nulla che tu non mi avessi chiesto.

Indovina un po’ dove sono andato oggi? Avanti, indovina. Non lo sai? Sono stato a Oxford a trovare tua sorella. Solo lei può sapere dove ti trovi adesso. La casa non è cambiata molto in questi cinque anni. I soliti due alberelli ai lati della porta d’ingresso, perfettamente potati; il solito irritante campanello.

Il sorriso di Eve è sparito non appena mi ha visto.

«Ian» ha detto con freddezza. «Che sorpresa».

«È tanto che non ci vediamo». Non ha mai avuto le palle di dirmi in faccia quello che pensava di me. «Fa freddo fuori» ho aggiunto, avanzando sulle piastrelle bianche e nere dell’ingresso. Non aveva scelta, si è spostata e mi ha lasciato entrare. Passandole a fianco, mentre mi dirigevo in salotto, le ho sfiorato un seno. Si è affrettata a seguirmi, come per marcare il suo territorio. Era patetica.

Mi sono seduto sulla poltrona di Jeff, sapevo che le avrebbe dato fastidio. Si è accomodata di fronte a me. Moriva dalla voglia di conoscere il motivo della visita.

«Jeff non c’è?». Ho visto come un lampo nei suoi occhi e ho capito che aveva paura di me. Mi sono eccitato. Non era la prima volta. Avrei voluto sapere com’era a letto, se era silenziosa quanto te.

«Ha portato i bambini in centro».

Si muoveva a disagio sulla poltrona. Ho lasciato che il silenzio aleggiasse tra noi finché non ha più potuto trattenersi.

«Perché sei qui?».

«Ero da queste parti» . Mi guardavo attorno. La sala, enorme, era stata ridipinta dall’ultima volta che l’avevamo vista. A te piacerebbe. Hanno scelto quei colorini pallidi e insulsi che volevi usare per le pareti della cucina. «È passato un sacco di tempo, Eve».

Ha annuito appena.

«Sto cercando Jennifer».

«Che cosa vuoi dire? Finalmente si è decisa a lasciarti?». Non l’avevo mai sentita così arrabbiata.

Ho lasciato cadere la provocazione. «Sì, ci siamo lasciati».

«Lei sta bene? Dov’è?».

Ha avuto la faccia tosta di fingere di preoccuparsi per te, dopo tutto quello che ti ha detto. Puttana ipocrita.

«Non è corsa subito qui?».

«Non so dove sia».

«Ma davvero?». Non ci ho creduto neppure per un istante. «Eravate così legate, devi sapere per forza dove si trova». Ho sentito un muscolo vibrare, vicino all’occhio. Ho iniziato a sfregarmi.

«Sono cinque anni che non ci parliamo, Ian». Si è alzata. «Adesso dovresti uscire».

«In tutto questo tempo non l’hai mai sentita?». Ho allungato le gambe e mi sono appoggiato allo schienale. Decidevo io quando andarmene.

«No». Il suo sguardo si è fermato sul caminetto, per un istante. «Ora vorrei davvero che te andassi da qui».

Era un pezzo di arredamento scialbo, una lucida stufa a gas e pezzi di carbone finto. Sulla mensola bianca erano esposte cartoline e inviti, e al centro un orologio d’epoca.

Ho capito subito che cosa mi stava nascondendo. Avresti dovuto pensarci bene, Jennifer, prima di mandarle un messaggio tanto ovvio. Tra i bigliettini dai bordi dorati, spiccava la foto di una spiaggia, ripresa da una scogliera. Sulla sabbia erano tracciate le parole Lady Eve.

Mi sono alzato, mi ha accompagnato alla porta. L’ho baciata sulla guancia e ho percepito tutto il suo disgusto. Mi aveva mentito, avrei voluto scaraventarla contro il muro.

Ho fatto finta di cercare le chiavi. «Devo averle posate di là» ho detto. «Ci metto un secondo».

L’ho lasciata nell’ingresso e sono tornato in salotto. Ho preso la cartolina e l’ho voltata per leggere l’indirizzo. Ma dietro non c’era nulla, solo un messaggio sdolcinato per Eve nella tua brutta calligrafia. Hai sempre avuto l’abitudine di scrivermi biglietti, me li mettevi sotto il cuscino e nella valigetta. Perché hai smesso? Ho avvertito un nodo in gola. Dove potevi essere? Ho studiato la foto. Sentivo la tensione crescere, incontenibile. Ho strappato la cartolina in due, e poi ancora, finché non l’ho ridotta in tanti piccoli pezzi. Stavo meglio. Ho nascosto tutto dietro l’orologio proprio nel momento in cui Eve entrava nella stanza.

«Trovate» ho detto, indicando la tasca.

Si guardava intorno, circospetta. Lascia che guardi, mi sono detto. Lascia pure che la trovi.

«È stato un piacere incontrati, Eve. La prossima volta che verrò a Oxford tornerò a farti visita». Mi sono avviato alla porta.

Eve ha aperto la bocca, senza riuscire a emettere alcun suono. Così ho parlato io per lei.

«Non vedo l’ora».

 

Appena rientrato mi sono messo a cercare in rete. Erano le tipiche scogliere britanniche, circondavano la spiaggia su tre lati, sotto un cielo grigio e minaccioso. Ho digitato «spiagge regno unito». Ho scorso le immagini, una dopo l’altra ma ho trovato solo foto di depliant turistici e spiagge piene di bambini sorridenti. Allora ho cercato «spiagge regno unito con scogliere» e ho continuato a setacciare ogni pagina. Ti troverò, Jennifer. Ovunque tu sia andata, ti troverò.

E allora verrò a prenderti.