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«Mi dispiace» disse. Si appoggiò alla scrivania di Kate e le porse un foglio.
Lei lo mise via, senza nemmeno guardarlo. «È la decisione della procura?».
Ray annuì. «Non ci sono prove che Jenna stia nascondendo qualcosa, non possiamo più rimandare. Deve presentarsi oggi pomeriggio, sarà incriminata ufficialmente». Kate era delusa. «Hai fatto un buon lavoro. Non ti sei limitata a considerare l’evidenza dei fatti. Hai agito come un vero detective. Ma un bravo detective deve anche sapere quando fermarsi».
Le cinse le spalle, scrollandola con delicatezza, poi la lasciò sola. Era frustrante, lo sapeva bene, ma quando seguivi l’istinto eri consapevole di correre dei rischi. L’’istinto non era infallibile.
Alle due li chiamarono, Jenna era arrivata. Aveva i capelli legati in una coda, gli zigomi sporgenti e il viso pallido. Ray lasciò che registrassero il suo ingresso, poi le disse di aspettare sulla panca di metallo vicino alla sala di custodia cautelare, mentre lui avrebbe redatto i capi d’accusa.
Fece stampare il documento dal sergente e la raggiunse. «È accusata dell’omicidio colposo per guida pericolosa di Jacob Jordan avvenuto il 26 Novembre 2012, articolo 1 del Codice della strada del 1988; e inoltre accusata di omissione di soccorso, articolo 170 del Codice della strada del 1988. Vuole dire qualcosa?». La guardò attentamente, cercando sul suo viso una traccia di paura, di shock, ma Jenna chiuse gli occhi e scosse il capo.
«No».
«La rimandiamo in cella, domani mattina dovrà comparire davanti alla Corte dei Magistrati di Bristol».
L’agente di custodia fece un passo avanti ma Ray lo fermò.
«La accompagno io». Condusse Jenna attraverso il corridoio dell’ala femminile, tenendola per un braccio. Al suono dei loro passi, partirono le richieste più disparate dalle celle adiacenti.
«Posso uscire a fumare?».
«È arrivato il mio avvocato?».
«Mi portate un’altra coperta?».
Ray le ignorò, sapendo che era compito della guardia occuparsene, ma le grida si trasformarono in mormorii di protesta. Si fermò davanti alla cella numero sette.
«Tolga le scarpe, per favore».
Jenna slacciò le stringhe, si sfilò gli stivali e li appoggiò all’ingresso. Dalle suole si staccò un po’ di sabbia. Guardò Ray, che le fece segno di entrare; Jenna andò a sedersi su un materasso di plastica azzurro.
Ray si appoggiò allo stipite.
«Ci sta nascondendo qualcosa, Jenna?».
Si voltò di scatto. «Che cosa intende?».
«Perché è scappata?».
Non rispose. Si scostò i capelli dal viso e Ray vide di nuovo la brutta cicatrice sul palmo della mano. Sembrava un’ustione, il segno di un infortunio sul lavoro.
«Come è successo?» chiese indicando la ferita.
Jenna distolse lo sguardo e ignorò la domanda. «Che cosa mi succederà in tribunale?».
Ray sospirò. Non avrebbe cavato nient’altro da Jenna Gray, era evidente. «Domani ci sarà l’udienza preliminare» disse. «Le chiederanno se vuole fare dichiarazioni e il caso sarà rinviato alla Corte della Corona».
«E poi?».
«Verrà condannata».
«Andrò in prigione?». Guardò Ray dritto in faccia.
«È probabile».
«Per quanto tempo?».
«Fino a un massimo di quattordici anni». Per la prima volta sembrava spaventata.
«Quattordici anni» ripeté, deglutendo a fatica.
Ray trattenne il fiato. Sperava che stesse per rivelargli che cosa l’aveva spinta a fuggire quella sera. Ma Jenna si sdraiò sul materasso e chiuse gli occhi.
«Se non le spiace, adesso vorrei dormire».
Rimase a osservarla per un momento. Poi se ne andò, sbattendo la porta della cella, il rimbombo lo accompagnò per tutto il corridoio.
«Bel lavoro». Mags lo accolse con un bacio sulla guancia quando entrò in casa. «Ho visto il telegiornale. Hai fatto bene a non darti per vinto».
Non riusciva a gioire, era ancora turbato dal comportamento di Jenna.
«Il tuo capo sarà contento».
Si spostarono in cucina, Mags gli versò della birra.
«È felicissima. Ovviamente ora sostiene che l’idea di lanciare un nuovo appello sia stata sua…». Fece un sorriso amaro.
«E questo non ti va giù».
Bevve un sorso e posò il bicchiere soddisfatto. «In realtà non mi importa, mi interessa solo che le indagini siano state condotte in modo corretto e che possiamo ottenere un buon risultato in tribunale. E poi, in questo caso, è stata Kate a fare il grosso del lavoro».
Forse era un’impressione, ma Mags si irrigidì. «Quanto credi che daranno alla Gray?».
«Sei o sette anni. Dipende se il giudice vorrà darle una pena esemplare. Quando c’è di mezzo un bambino ci sono sempre implicazioni emotive».
«Sei anni non sono niente». Sapeva che Mags stava pensando a Tom e Lucy.
«Potrebbero anche essere troppi» disse quasi soprappensiero.
«Che cosa vuoi dire?».
«C’è qualcosa che non torna in tutta questa faccenda».
«In che senso?».
«Abbiamo il sospetto che non ci abbia detto tutto. Ma ormai è stata incriminata, non possiamo più farci niente: Non potevo concedere a Kate altro tempo».
Mags gli rivolse un’occhiata tagliente. «Credevo fossi tu a dirigere il caso. Quindi è stata Kate a suggerire che la Gray potesse mentire? È per questo che l’hai rilasciata la prima volta?».
Aveva un tono accusatorio, Ray era sorpreso. «L’ho rilasciata perché ci serviva altro tempo per verificare i fatti, e per accertarci che fosse colpevole».
«La ringrazio, Ispettore Stevens, ma so come funziona. Anche se ora passo le mie giornate cucinando e scarrozzando in giro i ragazzi, sono stata anch’io un poliziotto. Non parlarmi come se fossi stupida».
«Scusa. Mi arrendo». Ray alzò le mani, ma Mags lo ignorò. Prese una spugna e si mise a pulire la cucina.
«Sono solo sorpreso, tutto qui. Questa donna scappa, fa sparire la macchina e si nasconde nel nulla, poi a distanza di un anno viene arrestata e confessa tutto. Mi sembra troppo facile».
Si sforzava di celare l’irritazione. Era stata una lunga giornata, avrebbe voluto solo bere una birra e rilassarsi sul divano. «Credo anch’io che ci sia dell’altro» aggiunse. «E mi fido di Kate: ha un ottimo istinto». Stava arrossendo, forse la stava difendendo con troppo slancio.
«Davvero?» commentò Mags, asciutta. «Be’, buon per lei».
Fece un sospiro, esasperao. «Cosa c’è che non va?».
Lei continuò a pulire.
«Sei preoccupata per Tom?».
Mags scoppiò a piangere.
«Oh Dio, perché non l’hai detto subito? Che cosa è successo?» Si alzò e andò ad abbracciarla, prendendole la spugna dalle mani.
«Credo che rubi».
La rabbia lo travolse, per un istante non riuscì a parlare.
«Che cosa te lo fa pensare?». Poteva tollerare che saltasse la scuola e se ne andasse in giro per casa in preda agli sbalzi d’umore e alle tempeste ormonali, ma rubare era davvero troppo.
«Non ne ho la certezza. Non gli ho ancora parlato». Alzò una mano in segno di avvertimento. «Non voglio farlo fino a quando non sarò sicura».
Ray inspirò a fondo. «Raccontami tutto».
«Prima stavo pulendo la sua camera». Chiuse gli occhi un istante, come se il solo ricordo fosse insopportabile. «Ho trovato una scatola sotto il letto. C’era dentro un iPod, alcuni DVD, diversi pacchetti di caramelle, e un paio di scarpe da ginnastica nuove».
Ray scrollò il capo ma rimase in silenzio.
«Non può avere soldi da parte, ci sta ancora ripagando il vetro che ha rotto. Perciò non so proprio come abbia potuto procurarsi tutte quelle cose, se non rubandole».
«Fantastico. Finirà per farsi beccare. Suona bene, non trovi? Il figlio dell’ispettore fermato per taccheggio».
Mags lo guardò sgomenta. «È questo l’unica cosa che ti preoccupa? Tuo figlio ha un problema serio, ormai da un anno e mezzo. Era un bambino felice, in gamba e con un sacco di amici, e adesso salta la scuola e ruba. E tu pensi alla conseguenze per la tua carriera?». Si bloccò e lo mise in guardia. «Non mi va di continuare a parlare».
Fece per andarsene, ma prima aggiunse: «Mi occupo io di Tom. Tu faresti solo danni. Sei troppo impegnato con cose più importanti».
Salì le scale di corsa e sbatté la porta. Ray sapeva che non sarebbe servito a niente correrle dietro. La carriera non era il suo primo pensiero. Ma vivevano con un solo stipendio, Mags non avrebbe dovuto liquidare le sue preoccupazioni in modo così arrogante. Che si occupasse pure di Tom, se lo desiderava tanto. Anche perché lui, in realtà, non avrebbe saputo da che parte cominciare.