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Ray salì al terzo piano negli uffici ovattati dell’anticrimine, lontani dai ritmi frenetici della stazione di polizia. Gli piaceva fermarsi lì la sera: riusciva a studiare i dossier, perennemente impilati sulla scrivania, senza continue interruzioni. Attraversò l’open space diretto al suo ufficio, in un angolo della grande stanza.
«Com’è andato il briefing?».
Ray trasalì. Si voltò e vide Kate seduta alla scrivania. «La Quattro è la mia vecchia pattuglia. Spero che almeno abbiano finto di essere interessati» disse lei sbadigliando.
«È andato bene. Sono un bel gruppo, e se non altro è servito a rinfrescargli i particolari».
Durante la prima settimana Ray era riuscito a tenere il caso del pirata della strada all’ordine del giorno nelle riunioni, ma poi nuovi casi lo avevano inevitabilmente scalzato. Lui continuava a fare del proprio meglio per ricordare alle pattuglie che avevano ancora bisogno della loro collaborazione.
Tamburellò con le dita sull’orologio. «Che cosa ci fai qui a quest’ora?».
«Sto esaminando le risposte agli appelli dei media» rispose Kate scorrendo col pollice la pila di fogli. «Non che serva a qualcosa».
«Nessun indizio interessante?».
«Zero. Un paio di auto che andavano un po’ troppo forte, qualche giudizio moralista sulla scarsa attenzione della madre, e la solita schiera di svitati, tra cui uno che ipotizza il ritorno di Cristo». Si lasciò sfuggire un sospiro. «Abbiamo disperatamente bisogno di una pista, qualcosa su cui lavorare».
«È frustrante, lo so» disse Ray «ma tieni duro e vedrai che arriverà. Arriva sempre».
Kate spinse indietro la sedia con un gemito. «Temo di non avere il dono della pazienza».
«Ti capisco». Ray si appoggiò al bordo della scrivania. «Questa è la parte noiosa del nostro lavoro, quella che non fanno vedere in tivù». Sorrise della sua espressione triste. «Ma ne vale la pena. Concentrati su questo: in mezzo a tutte quelle scartoffie potrebbe esserci la chiave per risolvere il caso».
Kate guardò la scrivania poco convinta e Ray rise.
«Andiamo, preparo del tè e poi ti do una mano».
Passarono in rassegna tutte le carte senza trovare il minimo appiglio.
«Okay, se non altro possiamo cancellare questa voce dalla lista delle cose da fare» disse. «Grazie per esserti fermata fino a tardi ».
«Credi davvero che lo troveremo?».
Ray annuì con decisione. «Dobbiamo crederci, altrimenti la gente non avrà più fiducia in noi. Ho lavorato a centinaia di casi: non li ho risolti tutti, purtroppo, ma sono sempre stato convinto che la risposta fosse dietro l’angolo».
«Stumpy mi ha detto che hai chiesto di fare un appello a Crimewatch».
«Sì. È una procedura standard per i pirati della strada, soprattutto quando la vittima è un bambino. Temo che porterà altre segnalazioni come queste». Indicò la pila di carta ormai straccia.
«Va bene» disse Kate. «Gli straordinari non sono un problema. Ho comprato casa l’anno scorso e non mi ci sono ancora abituata».
«Vivi da sola?». Si chiese se fosse lecito farle una domanda del genere. Quando era un semplice poliziotto, qualunque argomento di carattere vagamente personale era tabù. Avanti di quel passo e nel giro di qualche anno non sarebbero più riusciti a scambiare due parole tra colleghi.
«Per la maggior parte del tempo» rispose Kate. «La casa è mia, ma spesso il mio fidanzato si ferma a dormire. È la situazione ideale, o almeno così dicono».
Ray prese le tazze ormai vuote. «Be’, sarà meglio che tu vada allora» disse. «Si starà chiedendo che fine hai fatto».
«Oh, non c’è problema, lui fa il cuoco» disse Kate alzandosi a sua volta. «Ha orari peggiori dei miei. E tu? Tua moglie non se la prende se fai tardi?».
«È abituata» rispose Ray a voce alta mentre tornava nel suo ufficio a prendere la giacca. «Anche lei lavorava in polizia, ci siamo arruolati insieme».
La scuola di addestramento di Ryton-on-Dunsmore aveva davvero poche qualità, ma i prezzi politici del bar erano fra queste. Durante una serata di karaoke particolarmente penosa, Ray aveva adocchiato Mags seduta insieme alle compagne di corso. Sorrideva, il capo reclinato all’indietro per riuscire a sentire quello che le stava dicendo un’amica. Quando si era alzata per andare a prendere da bere, lui aveva tracannato d’un fiato la sua pinta e l’aveva seguita al bar, ma non era riuscito a dirle una parola. Per fortuna lei si era dimostrata meno timida e così, da quella prima conversazione, erano diventati inseparabili per il resto del corso. Ray soffocò una risatina ricordando l’epoca in cui alle sei del mattino sgattaiolava fuori dagli alloggi delle ragazze per tornare nella sua stanza.
«Da quanto siete sposati?» chiese Kate.
«Quindici anni. Avevamo appena finito il tirocinio».
«Lei non lavora più?».
«Si è presa un periodo di aspettativa quando è nato Tom, e dopo l’arrivo della seconda non è più rientrata» spiegò Ray. «Adesso Lucy ha nove anni e Tom è alle medie, e Mags sta pensando di tornare a lavorare. Vorrebbe insegnare».
«Come mai è rimasta ferma per tanto tempo?». Negli occhi di Kate c’era sincera curiosità e Ray ricordò che Mags mostrava lo stesso stupore ai tempi in cui erano due giovani poliziotti. Il suo sergente aveva lasciato il lavoro per seguire i figli e Mags non capiva che senso avesse far carriera per poi rinunciare a tutto.
«Voleva stare con i bambini» rispose Ray. Il senso di colpa lo trafisse. Lo voleva davvero? O semplicemente le era sembrata la cosa giusta da fare? Le babysitter costavano così tanto che smettere di lavorare era parsa la soluzione più pratica. Ray sapeva che per Mags era importante portare i bambini a scuola ed essere presente alle loro competizioni sportive e alle feste, eppure era brillante e in gamba quanto lui, anzi, di più.
«Se scegli un lavoro come il nostro, non resta molto spazio per altro». Kate spense la lampada da tavolo e, per un istante, furono avvolti dal buio, prima che Ray accendesse le luci in corridoio.
«Già, i rischi del mestiere» concordò Ray. «Voi da quanto state insieme?». Scesero, diretti al parcheggio.
«Solo da sei mesi» rispose Kate «ma per me è già un bel traguardo: di solito li scarico nel giro di qualche settimana. Mia madre dice che sono troppo esigente».
«Che cos’avevano i precedenti che non andava?».
«Oh, dipende» rispose in tono scherzoso. «Troppo entusiasti, o troppo apatici; privi di senso dell’umorismo, o veri e propri pagliacci…».
«Sei un tipo difficile» disse Ray.
«Può darsi». Kate fece una smorfia. «Ma è importante trovare quello giusto, no? Ho compiuto trent’anni il mese scorso, il tempo a mia disposizione sta per scadere». Non dimostrava trent’anni, ma Ray non era mai stato un buon giudice in fatto di età. Ancora adesso, quando si guardava allo specchio, si vedeva come a vent’anni, anche se le rughe raccontavano una storia diversa.
Cercò le chiavi nelle tasche. «Be’, non avere troppa fretta di sistemarti. Non è tutto rose e fiori».
«Grazie per il consiglio, papà…».
«Ehi, non sono così vecchio!».
Kate rise. «Grazie per l’aiuto con quelle scartoffie. A domani».
Ray continuò a ridacchiare tra sé mentre faceva manovra per uscire dal parcheggio. Lo aveva chiamato “Papà”. Che sfacciata.
Quando arrivò a casa trovò Mags in soggiorno davanti alla tivù. Indossava i pantaloni del pigiama e una delle sue vecchie felpe, ed era seduta sul divano con le gambe rannicchiate, come una bambina.
Un giornalista stava ricostruendo i fatti salienti del caso del pirata della strada per quanti si fossero persi il bombardamento mediatico della settimana precedente. Mags guardò Ray e scosse il capo. «Non riesco a smettere di guardare. Quel povero bambino…».
Si sedette accanto a lei, prese il telecomando e tolse l’audio. Sullo schermo scorrevano immagini di repertorio: Ray e Kate, di spalle, che si allontanavano dalla macchina insieme. «Lo so» disse abbracciandola. «Ma lo prenderemo».
L’inquadratura cambiò di nuovo e ora il suo volto riempiva lo schermo, mentre rilasciava una dichiarazione.
«Lo credi davvero? Avete una pista?».
«Non proprio». Si lasciò sfuggire un sospiro. «Nessun testimone oculare e, se ce ne sono, comunque non parlano. Dipendiamo dalla scientifica e dalle prove che riusciremo a trovare.
«È possibile che chi guidava non si sia reso conto di quello che è successo?». Mags si tirò su e si voltò, per poterlo guardare in faccia. Impaziente, si sistemò una ciocca dietro l’orecchio. Da quando si erano conosciuti, lei aveva sempre portato i capelli allo stesso modo, lunghi e lisci, senza frangia. Erano scuri come quelli di Ray, ma non mostravano la minima traccia di grigio. Ray aveva provato a farsi crescere la barba dopo la nascita di Lucy, ma ci aveva rinunciato nel giro di tre giorni, quando era parso evidente che fosse più sale che pepe. Ora si radeva regolarmente e si sforzava di ignorare la spruzzata di grigio sulle tempie che, a detta di Mags, gli dava un’aria “distinta”.
«Impossibile» disse Ray. «È rimbalzato sul cofano».
Lei non batté ciglio. L’emozione che le aveva visto sul viso entrando in casa aveva lasciato il posto alla concentrazione, come ai tempi in cui lavoravano insieme.
«Inoltre» continuò «l’auto si è fermata, ha fatto retromarcia e poi inversione. Forse il conducente non sapeva che Jacob fosse morto sul colpo, ma non può non essersi accorto di averlo investito».
«Avete mandato qualcuno negli ospedali?» chiese Mags. «È possibile che anche il conducente sia rimasto ferito…».
Ray sorrise. «Ci stiamo lavorando, te l’assicuro». Si alzò. «Ora scusami, è stata una lunga giornata e vorrei solo bere una birra, guardare un po’ di tivù e andarmene a dormire».
«Certo» disse Mags, asciutta. «Sai com’è, mi sono fatta trascinare dalle vecchie abitudini».
«Lo so, e ti prometto che lo prenderemo». Le diede un bacio sulla fronte. «Li prendiamo sempre». Ray si rese conto di aver appena promesso a Mags quello che non aveva potuto promettere alla madre di Jacob: «Faremo del nostro meglio» le aveva detto. Sperava solo che fosse abbastanza.
Andò in cucina a prendersi da bere. A turbare Mags era senz’altro il fatto che la vittima fosse un bambino. Raccontarle i dettagli dell’incidente non era stata una buona idea: lui per primo faticava a controllare le emozioni, era comprensibile che anche per Mags fosse difficile. D’ora in poi non le avrebbe più rivelato certi particolari.
Prese una birra e tornò in soggiorno; si sedette sul divano accanto a lei e cambiò canale, sintonizzandosi su uno dei reality show che le piacevano tanto.
Ray entrò in ufficio con un plico di stampate appena ritirate dalla sua cassetta di posta interna e lo posò in cima al mucchio già parcheggiato sulla scrivania, facendo crollare l’intera pila.
«Porca miseria» disse contemplando la scrivania. L’addetto alle pulizie aveva vuotato il cestino e provato a spolverare, facendo lo slalom tra il disordine: un po’ di polvere era rimasta intorno al vassoio della corrispondenza in entrata. Accanto alla tastiera c’erano due tazze con del caffè ormai freddo e numerosi post-it attaccati allo schermo riportavano messaggi telefonici più o meno importanti. Ray li rimosse tutti e li attaccò sulla copertina dell’agenda, dove un post-it rosa gli ricordò che doveva scrivere le valutazioni della squadra. Come se non avesse altro da fare. Era costantemente in lotta con se stesso riguardo agli aspetti più burocratici del suo lavoro. Non se ne lamentava apertamente – non con la promozione a cui aspirava ormai dietro l’angolo – ma neppure sposava la causa. Un’ora passata a discutere della crescita professionale della sua squadra era un’ora sprecata, per come la vedeva lui, soprattutto con un’indagine in corso sulla morte di un bambino.
Mentre aspettava che si avviasse il computer, si allungò sulla sedia e guardò la foto di Jacob sulla parete di fronte. Teneva sempre in vista una foto della vittima, sin da quando aveva cominciato all’anticrimine; il suo sergente gli aveva detto che la carriera era importante ma non dovevano dimenticare il motivo per cui facevano quello «sporco lavoro».
Un tempo metteva le foto sulla scrivania. Poi un giorno, anni prima, Mags era passata a trovarlo in ufficio. Gli aveva portato qualcosa, non ricordava bene, forse un dossier dimenticato a casa o il pranzo.
All’inizio l’interruzione lo aveva infastidito, ma poi il fastidio si era tramutato in senso di colpa: Mags era lì per fargli un piacere. Salendo si erano fermati a salutare il vecchio capo di Mags, che era diventato sovrintendente.
«Ti farà uno strano effetto essere qui» aveva detto Ray una volta nel suo ufficio.
Lei aveva riso. «È come se non me ne fossi mai andata. Puoi tenere una ragazza lontana dalla polizia ma non puoi tenerla lontana dalla poliziotta che è in lei». Si aggirava per l’ufficio inquieta, le dita che scorrevano sulla scrivania. «Chi è l’altra donna?» lo aveva punzecchiato prendendo la foto appoggiata al portaritratto con l’immagine di lei e i bambini.
«Una vittima» aveva risposto Ray, sfilandole con dolcezza la foto dalle dita e rimettendola sulla scrivania. «È stata pugnalata diciassette volte dal fidanzato perché non gli aveva preparato il tè».
Se Mags era rimasta colpita dall’informazione, non lo aveva dato a vedere. «Perché non la tieni nel dossier?».
«Preferisco averla sotto gli occhi» aveva risposto Ray. «Per non dimenticare che cosa sto facendo, il motivo per cui lavoro fino a tardi». Lei aveva annuito. Lo capiva più di quanto lui immaginasse.
«Non accanto alla nostra foto, però. Ti prego, Ray». Aveva teso la mano per riprenderla e si era guardata attorno in cerca di un posto più adatto. I suoi occhi si erano posati sul pannello di sughero in fondo alla stanza e, presa una puntina, aveva appeso esattamente al centro la foto della vittima sorridente.
E lì era rimasta.
Il fidanzato della vittima era stato da tempo condannato per omicidio e numerose altre foto avevano preso il posto di quella della giovane donna. Un anziano signore pestato a sangue da rapinatori adolescenti; quattro donne violentate da un tassista; e ora Jacob, raggiante nella divisa della scuola. Tutti loro contavano su Ray. Scorse gli appunti che aveva buttato giù sull’agenda la sera prima in vista del briefing di quella mattina. Non avevano molto su cui lavorare. Mentre il computer emetteva un bip per avvertirlo che era finalmente operativo, Ray si riscosse: non avevano una pista, ma c’era pur sempre del lavoro da fare.
Poco prima delle dieci, Stumpy e la squadra sfilarono nell’ufficio di Ray. Stumpy e Dave Hillsdon si sistemarono sulle poltroncine basse attorno al tavolino da caffè, mentre gli altri rimasero in fondo, vicino alla porta o appoggiati al muro. Ray sorrise divertito. Avevano lasciato libera la terza sedia in un gesto di cavalleria non dichiarato, ma Kate aveva ignorato l’offerta e si era unita a Malcolm Johnson in fondo alla stanza. Alla squadra erano stati temporaneamente aggiunti due agenti di pattuglia, ancora a disagio nei completi rimediati in fretta e furia, e l’agente Phil Crocker, dell’unità incidenti stradali.
«Buongiorno a tutti» disse Ray. «Non vi ruberò molto tempo. Vi presento Brian Walton della pattuglia Uno e Pat Bryce della Tre. È bello avervi con noi, ragazzi, e c’è molto da fare, quindi cominciamo». Brian e Pat fecero un cenno di saluto. «Okay,» proseguì Ray «lo scopo di questo incontro è fare il punto su tutto quello che sappiamo del pirata della strada di Fishponds e su come ci muoveremo da qui in poi. Come potete immaginare, il capo ci tiene parecchio». Guardò gli appunti, anche se conosceva ogni dettaglio a memoria. «Alle 16.28 del 26 novembre gli operatori del 999 hanno ricevuto una chiamata da una donna che abita in Enfieled Avenue. Ha riferito di aver sentito un colpo fortissimo e poi un grido. Quando è uscita a vedere era già tutto finito e la madre di Jacob era china sul bambino in mezzo alla strada. L’ambulanza è arrivata in sei minuti e Jacob è stato dichiarato morto».
Ray fece una pausa, per sottolineare la gravità del caso. Guardò Kate ma l’espressione del suo viso non tradiva nessuna emozione e Ray non seppe se sentirsi sollevato o deluso dal fatto che fosse già riuscita a mettere in atto dei meccanismi di difesa. Non era la sola a non mostrare alcuna emozione. Chiunque avesse assitito alla scena avrebbe potuto dedurre che alla polizia non importava granché della morte di quel bambino, ma Ray sapeva che quel caso aveva toccato nel profondo tutti loro. Continuò a fare il punto sull’indagine.
«Jacob aveva compiuto cinque anni il mese scorso, subito dopo aver cominciato la scuola alla St Mary, in Beckett Street. Il giorno dell’incidente era rimasto al doposcuola mentre sua madre lavorava. Lei ha detto che stavano tornando a casa e parlando di come era andata la giornata, quando ha lasciato andare la mano di Jacob e lui ha attraversato la strada per correre verso casa. A quanto pare è una cosa che aveva già fatto. La madre lo teneva sempre per mano quando c’erano delle macchine». Tranne quella volta, aggiunse tra sé. Un istante di disattenzione, di cui non si sarebbe mai perdonata. Ray rabbrividì.
«Che cosa ha notato della macchina?» chiese Brian Walton.
«Non molto. Però sostiene che stava accelerando, invece di frenare, nel momento in cui ha colpito Jacob e che anche lei per poco non è stata investita; infatti è caduta e si è fatta male. Gli agenti intervenuti sul posto hanno costatato che era ferita, ma ha rifiutato le cure. Phil, che cosa ci puoi dire della scena del crimine?».
Phil Crocker, l’unico agente in divisa nella stanza, era un investigatore della Stradale e, grazie ai molti anni di servizio, costituiva il punto di riferimento di Ray per casi analoghi a quello.
«Non molto». Phil scrollò le spalle. «Pioveva e non c’erano tracce di pneumatici, quindi non posso dirvi a quanto andava né se ha frenato. Abbiamo trovato un pezzo di plastica a una ventina di metri dal punto dell’impatto e il perito ha confermato che appartiene ai fari antinebbia di una Volvo».
«È già qualcosa» disse Ray.
«Ho passato i dettagli a Stumpy» disse Phil, «a parte questo, temo che non ci sia altro».
«Grazie, Phil». Ray tornò ai suoi appunti. «L’autopsia ha stabilito che Jacob è deceduto in seguito a trauma da impatto. Aveva fratture multiple e la milza spappolata». Ray aveva assistito all’autopsia, non tanto per necessità quanto perché non sopportava il pensiero del bambino, solo, sul tavolo dell’obitorio. Aveva guardato senza vedere davvero, senza mai posare lo sguardo sul volto di Jacob, concentrandosi piuttosto sulle informazioni che il patologo ripeteva come un automa. Una volta finita, si erano sentiti entrambi sollevati.
«A giudicare dal punto d’impatto cerchiamo un’auto di piccole dimensioni, quindi possiamo escludere tutti i proprietari di Suv. Il patologo ha estratto schegge di vetro dal corpo di Jacob ma, a quanto ho capito, non c’è modo di collegarle a un particolare modello di auto, giusto, Phil?». Ray guardò l’esperto, che annuì.
«Il vetro in sé non ci dice nulla dell’auto» disse Phil. «Se avessimo un sospettato potremmo cercare i frammenti sui suoi abiti, è praticamente impossibile eliminarli. Ma sulla scena non abbiamo trovato vetri: questo vuol dire che il parabrezza si è solo incrinato nell’urto, non si è frantumato. Se trovassimo l’auto, potremmo confrontare il parabrezza con i frammenti sul corpo della vittima, ma senza quella…».
«Questo però ci conferma il tipo di danno che può aver subito la macchina» disse Ray cercando di concentrarsi su uno dei pochi elementi positivi emersi durante le indagini. «Stumpy, perché non ci riassumi quello che abbiamo fatto finora?».
Il sergente guardò la parete dell’ufficio su cui erano appese le cartine e i grandi fogli con la lista delle cose fatte. «Abbiamo condotto l’indagine porta a porta la sera stessa, e poi di nuovo il giorno dopo. Molte persone hanno riferito di aver sentito un “forte colpo” seguito da un grido, ma nessuno ha visto l’auto. Abbiamo mandato agenti a scuola per parlare con i genitori dei compagni di Jacob e abbiamo distribuito richieste d’aiuto nelle cassette della posta in tutte le vie collegate a Enfield Avenue. Gli annunci stradali sono ancora esposti e Kate si sta occupando di vagliare le poche telefonate che abbiamo ricevuto».
«Qualche informazione utile?».
Stumpy scosse il capo. «Niente di promettente, capo».
Ray ignorò il pessimismo del suo sergente. «Quando va in onda l’appello a Crimewatch?».
«Domani sera. Abbiamo fatto una ricostruzione dell’incidente e loro hanno elaborato al computer alcune immagini di come potrebbe essere l’auto, poi trasmetteranno il pezzo girato in studio con il nostro agente».
«Ho bisogno che qualcuno di voi si fermi fino a tardi per ricevere le prime segnalazioni che arriveranno a caldo, mentre va in onda» disse Ray. «Il resto lo esamineremo con calma». Fece una pausa e si guardò attorno. «Qualcuno deve farlo…».
«Per me non c’è problema». Kate alzò la mano e Ray le rivolse un cenno di ringraziamento.
«E il fanale di cui parlava Phil?» chiese Ray.
«La Volvo ci ha dato il numero di serie del pezzo e abbiamo la lista di tutte le autofficine che ne hanno ordinato uno negli ultimi dieci giorni. Malcolm li sta contattando tutti, a cominciare da quelli in città, per farsi dare i numeri di targa delle auto a cui hanno sostituito il pezzo».
«Okay» disse Ray. «Teniamone conto ma non dimentichiamoci che è solo un indizio: non possiamo essere certi che sia proprio una Volvo quella che stiamo cercando. Le telecamere a circuito chiuso?».
«Ci stiamo lavorando, capo». Brian Walton alzò la mano. «Non ne abbiamo trascurata nessuna: sia quelle comunali che quelle di negozi, banche e distibutori della zona. Stiamo esaminando l’intervallo che va da mezz’ora prima dell’incidente a mezz’ora dopo, ma anche così si tratta comunque di centinaia di ore di registrazioni da guardare».
Ray trasalì al pensiero del budget che aveva a disposizione per gli straordinari. «Fatemi vedere la lista delle telecamere» disse. «Non potremo controllare tutte le registrazioni, quindi indicate quelle che secondo voi sono prioritarie».
Brian annuì.
«C’è molto su cui lavorare» disse Ray. Sorrise, cercando di nascondere lo sconforto. Erano già passate due settimane dall’incidente; le probabilità di trovare il colpevole erano più alte nell’ora immediatamente successiva al crimine. E nonostante stessero lavorando sodo non avevano fatto alcun passo avanti nelle indagini. Dopo una pausa annunciò la cattiva notizia: «Non vi sorprenderà apprendere che tutte le licenze sono sospese fino a nuovi sviluppi. Mi dispiace e farò il possibile perché tutti voi possiate passare un po’ di tempo con le vostre famiglie durante le feste natalizie».
Si udì un mormorio di disappunto mentre tutti sfilavano fuori dall’ufficio, ma nessuno si lamentò apertamente, e Ray sapeva che non lo avrebbero fatto. Pensavano tutti a come avrebbe passato il Natale la madre di Jacob.