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Lunedì 14 luglio 2014
Ore 5.14
Baxter fu svegliata dal rumore della pioggia contro le finestre del suo appartamento. Aprì gli occhi, e l’eco gentile di un tuono da qualche parte nel cielo riecheggiò dalla distanza. Era distesa sul divano, alla luce soffusa dei faretti in cucina e il cordless era schiacciato fra la sua guancia e un cuscino, e le faceva male. Ci si era addormentata sopra.
Una parte di lei si era aspettata che Wolf la chiamasse. Come poteva non farlo? Per quanto lei si sentisse arrabbiata e tradita, c’erano troppe cose in sospeso... o davvero lei significava così poco per lui? Non era nemmeno sicura di cosa volesse da quella che sarebbe stata la loro ultima conversazione: delle scuse? Delle spiegazioni? Forse la conferma che Wolf aveva completamente perso il senno e che quello che credeva un amico era, a tutti gli effetti, non malvagio ma semplicemente molto malato.
Prese il cellulare dal tavolino, ma non trovò nessuna chiamata persa e nessun messaggio. Si mise a sedere, posando i piedi a terra e facendo inavvertitamente cadere una bottiglia di vino vuota sul pavimento. Si augurò che il rumore non svegliasse i vicini del piano di sotto. Andò alla finestra e guardò i tetti imperlati di pioggia. Le nubi gonfie sembravano coprire tutte le sfumature possibili del grigio quando venivano improvvisamente illuminate da un lampo.
Qualsiasi cosa succedesse, avrebbe perso qualcosa per sempre prima che il giorno terminasse.
Avrebbe soltanto voluto capire cosa.
Edmunds aveva lavorato tutta la notte analizzando i traffici di denaro che attraversavano la città, come briciole di pane in forma di cifre. Insieme al computer di Chambers, ora rientrato in loro possesso, erano prove irrefutabili della colpevolezza di Lethaniel Masse e, incredibilmente, del fatto che gli omicidi della Ragdoll e quelli faustiani erano una cosa sola. Provava una punta di delusione al pensiero che non sarebbe stato presente all’arresto di quell’affascinante serial killer pieno di immaginazione, anche se, indubbiamente, la rivelazione del coinvolgimento di Wolf era più scioccante di qualsiasi mostro potesse evocare nella propria immaginazione.
Si chiese se il mondo l’avrebbe mai saputo.
Era stanco e doveva sforzarsi per trovare la concentrazione necessaria a terminare il lavoro. Aveva ricevuto un messaggio dalla madre di Tia attorno alle quattro e aveva immediatamente richiamato. Tia aveva avuto una piccola emorragia durante la notte e l’ospedale le aveva detto di presentarsi al reparto maternità, in via precauzionale, per sincerarsi che il bambino stesse bene. Erano andate in ospedale, avevano fatto i controlli, tutto andava bene e non c’era nulla di cui preoccuparsi. Volevano soltanto tenerla sotto controllo per qualche altra ora.
Quando Edmunds, irritato, le chiese come mai non le fosse venuto in mente di chiamarlo subito, la donna gli aveva spiegato che Tia non voleva farlo preoccupare in un giorno così importante, e che si sarebbe arrabbiata a sua volta scoprendo che lei l’aveva invece chiamato. L’idea di Tia costretta ad affrontare quello spavento da sola l’aveva sconvolto e, dopo aver terminato la conversazione, non riusciva a pensare ad altro che a quanto volesse stare accanto a lei.
Alle 6.05 Vanita entrò in ufficio con un tailleur pantalone molto appariscente, pronta ad affrontare una giornata davanti alle telecamere. Il suo ombrello sgocciolante marcò il tragitto dalla porta fino alla brusca deviazione verso la scrivania di Edmunds.
«Buongiorno, Edmunds» lo salutò. «Bisogna ammetterlo, i giornalisti sono pieni di determinazione. Là fuori c’è l’apocalisse.»
«Hanno iniziato poco prima di mezzanotte» disse lui.
«Hai fatto di nuovo nottata?» gli chiese, più colpita che sorpresa.
«Non è un’abitudine che intendo coltivare.»
«Nessuno di noi vorrebbe, eppure...» Gli sorrise. «Hai un futuro, Edmunds. Continua così.»
Lui le porse il rapporto finanziario che aveva trascorso l’intera notte a compilare. Vanita sfogliò i documenti.
«A prova di bomba?»
«Completamente. L’appartamento di Goldhawk Road è di proprietà di un ente di beneficenza che offre alloggi a soldati feriti, ecco perché era così difficile da trovare. Lui paga un affitto fortemente agevolato. È tutto a pagina dodici.»
«Eccellente lavoro.»
Edmunds prese una busta dalla scrivania e gliela porse.
«E questa è collegata al caso?» gli chiese, aprendola.
«In un certo senso» disse Edmunds.
Lei fece una pausa sentendo il tono delle sue parole, aggrottò la fronte, poi si allontanò e andò nel proprio ufficio.
Baxter arrivò alle 7.20 in ufficio, dopo che le era stato chiesto di lasciare in pace il reparto audiovisivo della Scientifica. In verità, era stata più che lieta di uscire da quella stanza buia. Non aveva idea di come facessero gli agenti di quel reparto a lavorare ore e ore in un posto così da mal di testa, a guardare tutto il giorno i filmati delle telecamere di sicurezza sparse per tutta la città.
Una squadra di super riconoscitori, cioè persone con una spiccata abilità nell’isolare e identificare strutture facciali singole all’interno di grandi folle, aveva lavorato tutta la notte, in parallelo con il software di riconoscimento facciale, per cercare Wolf e Masse. Baxter sapeva che era come cercare due aghi in un pagliaio, ma questo non diminuì la sua frustrazione quando, com’era prevedibile, non riuscirono a scovare nessuno dei due.
Aveva rimproverato uno dei tecnici quando era ritornato con due minuti di ritardo dalla pausa caffè. Il supervisore se l’era presa con lei e l’aveva rimproverata a sua volta, davanti a tutti e con toni piuttosto accesi, chiedendole di andarsene. Lei era rientrata furiosa nel suo ufficio alla Omicidi e si era avvicinata a Edmunds, che stava finendo di scrivere un messaggio a Tia.
«Qualche progresso con i filmati?» chiese, dopo aver finito di digitare e aver rimesso via il telefono.
«Mi hanno cacciata» disse Baxter. Edmunds fece spallucce senza nemmeno chiederle il perché: non ce n’era bisogno, conoscendola. «E comunque è uno spreco di tempo, non sanno dove guardare. Stanno controllando la zona attorno all’appartamento di Wolf, dove lui ovviamente non ritornerà, e attorno a quello di Masse, dove non vedo proprio perché debba tornare.»
«E il riconoscimento facciale?»
«Stai scherzando, vero?» rise Baxter. «Finora, ha segnalato Wolf tre volte. Una volta era una vecchia cinese, la seconda un cagnolino e la terza un poster di Justin Bieber.»
Nonostante l’enorme pressione a cui erano sottoposti e le gravi conseguenze della mancata localizzazione dei due uomini da parte della Scientifica, entrambi sogghignarono a quel terzetto di identificazioni così improbabili.
«Devo parlarti di una cosa» disse Edmunds.
Baxter lasciò cadere rumorosamente la borsa a terra e si appollaiò sull’angolo della scrivania per ascoltarlo.
«Detective Edmunds?» lo chiamò Vanita dalla soglia dell’ufficio. Aveva in mano un foglio ripiegato. «Un momento?»
«Oh, oh» disse Baxter in tono scherzoso. Lui si alzò e andò verso l’ufficio della comandante. Entrò e si chiuse la porta alle spalle, per poi sedersi davanti alla scrivania sopra la quale giaceva aperta la lettera che aveva scritto quella notte alle quattro e trenta.
«Devo ammettere di essere sorpresa» disse Vanita. «E poi, proprio oggi.»
«Sento di aver contribuito al massimo che potevo a questo caso» disse lui, indicando il voluminoso fascicolo posato accanto alla lettera.
«Ed è stato un eccellente contributo.»
«Grazie.»
«Sei sicuro di questo?»
«Sono sicuro.»
Lei sospirò. «Io lo vedo davvero, un futuro brillante per te.»
«Anche io. Sfortunatamente, non qui.»
«E va bene, manderò avanti la richiesta di trasferimento.»
«Grazie, comandante.»
Edmunds e Vanita si strinsero la mano e poi lui uscì dall’ufficio. Stando accanto alla fotocopiatrice, Baxter aveva osservato il breve scambio, cercando di origliare. Edmunds prese la giacca e le si avvicinò.
«Vai da qualche parte?»
«In ospedale. Tia è stata ricoverata stanotte.»
«Ma sta... Il bambino... ?»
«Credo che stiano entrambi bene, ma devo andare lì.»
Edmunds capì che Baxter stava cercando di bilanciare la comprensione per la sua situazione e l’incredulità per il fatto che voleva abbandonare la squadra, abbandonare lei, in un momento così critico.
«Non hai bisogno di me qui» la rassicurò.
«E lei» disse Baxter indicando l’ufficio di Vanita, «lei te l’ha permesso?»
«A essere sinceri, non mi importa. Ho appena presentato una richiesta di trasferimento, voglio tornare alle Frodi.»
«Cos’è che hai fatto?»
«Matrimonio. Detective. Divorzio» la citò Edmunds.
«Ma non dicevo... Non succede a tutti.»
«Ho un figlio in arrivo. Non ce la posso fare.»
Baxter sorrise, ricordando il modo spietato in cui aveva reagito quando lui le aveva dato la notizia che la sua fidanzata era incinta.
«Allora perché non la smetti di farmi perdere tempo e non te ne ritorni alle Frodi?» recitò parola per parola, con un sorriso triste. Poi, con grande sorpresa di Edmunds, lo abbracciò stretto.
«E comunque, anche se volessi non potrei rimanere» le disse. «Qui tutti mi odiano. A quanto pare, uno non deve mai prendersela con un collega, nemmeno quando è colpevole come la morte. Se oggi hai bisogno di me, mi trovi al telefono. Per qualsiasi cosa» disse, e poi ripeté con forza: «Qualsiasi cosa».
Baxter annuì e lo lasciò andare.
«Tornerò al lavoro domani» rise lui.
«Lo so.»
Edmunds le fece un sorriso affettuoso, indossò la giacca e uscì dall’ufficio.
Mentre svoltava in una via laterale di Ludgate Hill, Wolf gettò in un cestino il coltello da cucina che aveva rubato al bed & breakfast. Riusciva a malapena a distinguere il campanile della cattedrale di St Paul attraverso il velo di pioggia battente, che si attenuò mentre camminava lungo l’Old Bailey, la strada che dava al famoso tribunale centrale il suo famigerato soprannome. Gli alti edifici offrivano un po’ di riparo dalla tempesta.
Non sapeva perché avesse scelto proprio le aule di giustizia, quando c’erano parecchi altri posti che avevano molto più significato per lui: la tomba di Annabel Adams, il punto in cui Naguib Khalid era stato ritrovato in piedi davanti al corpo in fiamme della ragazza, il St Ann’s Hospital. Per qualche misterioso motivo, il tribunale gli sembrava quello giusto, il posto dove tutto aveva avuto inizio, il luogo in cui aveva già affrontato faccia a faccia un demone ed era sopravvissuto.
Nel corso della settimana Wolf si era lasciato crescere la barba scura, e ora aveva anche un paio di occhiali. La pioggia incessante gli aveva appiattito sul cranio i folti capelli, cosa che contribuiva a rendere efficace il semplice travestimento. Raggiunse l’ingresso visitatori del vecchio tribunale e si mise in fondo alla lunga coda di turisti fradici. A quanto capiva dal chiassoso americano davanti a lui, c’era un importante processo per omicidio in corso nell’aula due. Mentre la coda lentamente cresceva alle sue spalle, origliò diverse persone fare il suo nome e snocciolare eccitate previsioni sul gran finale degli omicidi della Ragdoll.
Le porte finalmente si aprirono e la folla, obbediente, entrò al chiuso e al riparo dalla pioggia, superando i controlli ai raggi X e la sicurezza. Un’ufficiale della corte accompagnò quelli del primo gruppetto, che includeva Wolf, lungo i corridoi silenziosi, abbandonandoli davanti all’ingresso dell’aula due. Wolf non ebbe altra scelta che chiedere se poteva andare a sedersi nell’aula uno, invece. Avrebbe preferito non attirare l’attenzione su di sé e per un istante si preoccupò che l’ufficiale di corte, sorpreso dalla sua richiesta, l’avesse riconosciuto, ma poi l’uomo fece spallucce e lo scortò fino alla porta corretta. Gli indicò di rimanere insieme alle altre quattro persone in attesa fuori dalla galleria riservata al pubblico. Gli altri sembravano conoscersi e lo guardarono con sospetto.
Dopo una breve attesa, le porte furono aperte e fuoriuscì l’odore familiare di legno lucidato e cuoio dell’aula in cui Wolf non aveva più messo piede da quando era stato trascinato fuori, con il polso rotto, coperto di sangue. Seguì gli altri all’interno e prese posto in prima fila, abbassando lo sguardo sulla corte.
Il personale, gli avvocati, i testimoni e i giurati entrarono e riempirono a poco a poco l’aula sotto di lui. Quando l’imputato fu scortato al banco, Wolf udì dei movimenti alle proprie spalle: i suoi compagni spettatori stavano salutando con ampi gesti l’uomo tatuato e a Wolf bastò un’occhiata per concludere che poteva serenamente giudicarlo colpevole di qualsiasi crimine fosse accusato in quel momento. Poi tutti si alzarono quando il giudice entrò e prese posto allo scranno isolato sulla pedana rialzata.
Vanita aveva rilasciato fotografie di Masse alla stampa dopo aver ricevuto conferma che le prove raccolte da Edmunds erano schiaccianti. Ora, il suo inconfondibile volto sfregiato era in mostra su ogni notiziario televisivo del mondo. Di solito, quelli delle relazioni pubbliche dovevano implorare gli studi televisivi di trasmettere anche per soli tre secondi le loro fotografie dei sospettati, perciò Vanita non perse tempo ad approfittare di quell’esposizione mediatica senza precedenti. Sorrise al cliché: sarebbe stata la stessa ambizione alla notorietà del killer a causare la sua sconfitta.
Nonostante le chiare istruzioni al pubblico, i centralini furono inondati da telefonate che annunciavano avvistamenti di Masse risalenti addirittura al 2007. Baxter si era presa l’incarico di controllare gli aggiornamenti ogni dieci minuti e di fare da collegamento con il reparto audiovisivi della Scientifica. A mano a mano che il tempo passava, la sua frustrazione aumentava.
«Ma perché la gente non è capace di ascoltare? Maledizione!» gridò, accartocciando l’ultima stampata. «Cosa me ne frega se Masse era a Sainsbury cinque anni fa? Ho bisogno di sapere dov’è adesso!»
Finlay non osò dire una parola. Un segnale provenne dal computer di Baxter.
«Fantastico, ecco un’altra infornata.»
Accasciandosi contro lo schienale della sedia, Baxter aprì la mail del centralino. Scorse distrattamente l’elenco di inutili date fino a che non trovò un orario, le 11.05 di quel mattino. Fece scorrere il dito sullo schermo mentre leggeva i dettagli. La chiamata era stata effettuata da un impiegato di banca, che le parve subito un testimone più affidabile rispetto agli psicopatici e ai vagabondi ubriachi che costituivano i tre quarti delle chiamate. La posizione: Ludgate Hill.
Baxter scattò in piedi e superò di slancio Finlay prima che lui potesse chiederle cosa avesse scoperto, poi scese rapida le scale verso la sala controllo della Scientifica.
Wolf trovò strano assistere a un processo così calmo e civile rispetto alla sua esperienza con il processo a Khalid. L’imputato si era dichiarato colpevole di aggressione ma non di omicidio. Il processo era al terzo giorno e non doveva determinare se l’imputato fosse colpevole, ma quanto lo fosse.
Dopo novanta minuti, due delle persone alle spalle di Wolf nella galleria scivolarono fuori, disturbando l’aula quando le porte si chiusero pesantemente alle loro spalle. L’avvocato difensore aveva appena ricominciato la sua arringa quando partì il primo allarme antincendio, in una parte distante dell’edificio. Come tessere del domino, gli altri allarmi si innescarono uno dopo l’altro e l’ululato si avvicinò simile a un’ondata di marea, fino a riempire la quiete dell’aula.
«No! No! No! Ho detto fuori!» urlò lo stesso supervisore che quel mattino aveva già cacciato fuori a pedate Baxter.
«Ludgate Hill, 11.05» disse lei, senza fiato.
L’agente al pannello di controllo guardò il proprio superiore, in attesa di istruzioni. Quando lui, riluttante, annuì, l’uomo sintonizzò gli schermi sulla telecamera di sicurezza più vicina alla zona indicata da Baxter, per accedere alle registrazioni.
«Un attimo!» urlò Baxter. «Un attimo, che sta succedendo?»
Gli schermi erano pieni di gente che vagava senza meta. Molti indossavano completi eleganti, c’era anche una donna con una tonaca nera e una parrucca. L’agente digitò qualcosa rapidamente su un altro computer.
«Allarmi antincendio al tribunale centrale» lesse pochi secondi dopo.
Lo sguardo di Baxter si accese, e scappò dalla sala controllo senza dire una parola. L’agente al computer guardò il supervisore, confuso.
«Vado avanti a controllare o no?» chiese educatamente.
Baxter risalì di corsa le scale e rallentò quando vide la porta dell’ufficio. Si avvicinò con calma a Finlay e si abbassò per parlargli in privato.
«So dov’è Wolf» sussurrò.
«Eccellente!» disse Finlay, chiedendosi come mai dovessero parlare a bassa voce.
«È all’Old Bailey. Sono entrambi lì. Ha senso.»
«Non credi che dovresti riferirlo a qualcuno di più importante di me?»
«Sappiamo entrambi cosa succederebbe se dicessi a qualcun altro che Wolf e Masse sono nello stesso edificio. Manderebbero lì tutti gli agenti armati di Londra.»
«E sarebbe giusto» disse Finlay, capendo dove voleva andare a parare l’altra.
«Credi davvero che Wolf si lascerebbe rinchiudere di nuovo?»
Finlay sospirò.
«Esatto, lo penso anche io» disse Baxter.
«Quindi?»
«Quindi dobbiamo arrivare prima noi. Dobbiamo parlare con lui, convincerlo ad arrendersi.»
Finlay fece un sospiro ancora più profondo.
«Mi dispiace, ragazza. Non posso farlo.»
«Come?»
«Emily, io... Sai che non voglio che succeda niente di male a Will, ma lui ha fatto le sue scelte. E io devo pensare alla mia pensione. E a Maggie... Non posso correre rischi.»
Baxter parve ferita.
«E se credi che ti lasci andare lì da sola...»
«È quello che farò.»
«No.»
«Mi serve giusto qualche minuto con lui, e poi chiamerò i rinforzi, lo giuro.»
Finlay rifletté per un istante.
«Devo denunciare la cosa» disse poi.
Baxter parve a pezzi.
«Ma lo farò tra un quarto d’ora» aggiunse lui.
Baxter sorrise. «Mi serve mezz’ora.»
«Venti minuti. Stai attenta.»
Baxter gli diede un bacio sulla guancia e prese la borsa dalla scrivania. Finlay tremava dalla preoccupazione. Avviò il cronografo dell’orologio al polso. La guardò passare lenta davanti all’ufficio di Vanita per poi mettersi a correre non appena superata la soglia.
Wolf rimase seduto, mentre le persone dietro e sotto di lui raccoglievano le proprie cose ed evacuavano con ordine. L’imputato parve tentato di approfittarne per scappare, ma ebbe un attimo di indecisione di troppo e due agenti di sicurezza corsero dentro per prelevarlo e portarlo via. Dopo che un avvocato affannato tornò dentro di corsa a recuperare il computer portatile e uscì, Wolf rimase da solo nella famosa aula di tribunale. Nonostante l’ululato degli allarmi, sentiva porte sbattere e gente del personale urlare di procedere verso le uscite di sicurezza più vicine.
Wolf avrebbe tanto voluto che si trattasse soltanto di un incendio, ma temeva che fosse qualcosa di molto più pericoloso.