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Mercoledì 2 luglio 2014
Ore 11.35
Baxter prese la District Line fino a Tower Hill e, senza troppo entusiasmo, seguì le vaghe indicazioni di Jarred Garland uscendo dalla stazione della metropolitana. Tenendo la torre di Londra sulla sinistra, si avviò lungo la strada principale, piena di gente. Non riusciva a capire perché non potessero incontrarsi a casa dell’uomo (dove avrebbe dovuto trovarsi, sotto la protezione della polizia) o agli uffici del giornale dove lavorava.
Eppure, con una svolta inaspettata, il giornalista amorale, egocentrico e aizza-folle le aveva chiesto di vedersi in chiesa. Si chiese se anche Garland avesse deciso di convertirsi, come accade a tanti in prossimità della fine. Se lei avesse avuto una fede di qualsiasi tipo, era sicura che avrebbe ritenuto quasi un insulto la sfrontatezza di quelle epifanie dell’ultimo minuto.
Il cielo coperto da nuvole scure stava iniziando ad aprirsi, consentendo al sole di riscaldare la città per qualche istante alla volta. Dopo dieci minuti di camminata scorse un alto campanile e imboccò la prima via laterale. Girò l’angolo, sentendo il sole splenderle alle spalle, e rimase a bocca aperta.
L’immacolato campanile della chiesa di St Dunstan torreggiava sopra le mura in rovina. Grossi alberi dal fogliame mosso dal vento spuntavano da un tetto immaginario e fuori dalle alte finestre ad arco, mentre erbe rampicanti si attorcigliavano sulle pareti di pietra per rovesciarsi dall’altra parte, in un intrico tanto fitto da proiettare ombre inquietanti sul piccolo giardino interno. Sembrava qualcosa di inventato, preso da una favola per bambini: un bosco segreto nel cuore della città, nascosto eppure presente, ma invisibile dagli anonimi palazzi d’uffici che, impettiti, gli voltavano le spalle.
Baxter entrò dal cancello metallico, si addentrò nella chiesa in rovina e seguì un rivolo d’acqua sotto un enorme arco strozzato dai rampicanti, fino a un cortile acciottolato costruito attorno a una piccola fontana. C’era una coppia che cercava di farsi un selfie, mentre una donna sovrappeso dava da mangiare ai piccioni. Si avvicinò alla figura solitaria seduta in silenzio nell’angolo più lontano.
«Jarred Garland?» chiese.
L’uomo alzò lo sguardo, sorpreso. Aveva più o meno l’età di Baxter, con una camicia su misura, le maniche rimboccate fin sui gomiti, ed era moderatamente attraente: sbarbato con cura, i capelli fin troppo pettinati. La guardò dalla testa ai piedi con un sorriso arrogante.
«Be’, la giornata adesso è decisamente migliorata» disse, con un forte accento dell’East End. «Si sieda.»
Batté la mano sullo spazio libero alla sua destra. Baxter si mise a sedere alla sua sinistra. Garland reagì con un ampio sorriso.
«Perché non ti levi quel sorriso idiota dalla faccia e mi spieghi perché non potevamo vederci nel tuo ufficio?» disse secca Baxter.
«Alle redazioni dei giornali non è che vada molto a genio avere dei poliziotti che vagano per l’ufficio. Se possono, evitano. Perché non potevamo vederci nel tuo?»
«Perché ai poliziotti non è che vada molto a genio avere dei giornalisti opportunisti, sparamerda e arroganti...» Annusò l’aria. «...e con deodoranti orrendi che vagano per l’ufficio. Punto.»
«Hai letto i miei articoli, vedo.»
«Non per mia scelta.»
«Sono lusingato.»
«Non esserlo.»
«E che te ne è parso?»
«Com’è il detto? Non sputare...»
«...nel piatto dove mangi?»
«No, non è così. Ah sì: non sputare nel piatto che ti ha preparato qualcuno che rappresenta l’unica protezione che hai contro un serial killer geniale, spietato e prolifico.»
Stavolta, una smorfia comparve sui lineamenti da ragazzino di Garland.
«Sai, ho già cominciato a scrivere l’articolo di oggi. Inizio congratulandomi con la polizia per l’ennesima efficace esecuzione.»
Baxter si chiese che guai avrebbe dovuto affrontare se avesse preso a cazzotti l’uomo che in teoria doveva proteggere.
«Ma non è del tutto esatto, giusto? Vi siete superati. Il detective Fawkes ne ha fatti fuori due al prezzo di uno!»
Baxter non rispose. Guardò il giardino circostante. Garland aveva scoperto un nervo sensibile, e infatti lei stava controllando se ci fossero testimoni attorno, nel caso perdesse le staffe.
Mentre parlavano, il sole era scomparso dietro un banco di nuvole e il giardino segreto, alla penombra, aveva assunto un aspetto ancor più sinistro. D’improvviso, l’immagine di quell’edificio sacro sventrato dall’interno le apparve inquietante. Le forti mura che crollavano sotto la stretta dei rampicanti, come serpenti, trascinando le macerie, pezzo dopo pezzo, nel ventre della terra, prova irrefutabile che non esisteva più nessuno, in quella città senza Dio, che ci tenesse abbastanza da salvare quella chiesa.
Dopo essersi così rovinata la scoperta di un nuovo posto in cui venire a fare un picnic, Baxter si voltò verso Garland e notò la cima di una scatoletta nera spuntare dal taschino della camicia.
«Oh, che stronzo!» imprecò, sfilandogli il miniregistratore. La spia rossa della registrazione era accesa.
«Ehi, non puoi...»
Baxter lo scagliò sull’acciottolato e lo frantumò sotto il tacco, per sicurezza.
«Immagino di essermelo meritato» ammise Garland, con sorprendente candore.
«Ascolta bene, funziona così: ci sono due agenti piazzati davanti a casa tua. Approfittane. Wolf si metterà in contatto con te domani.»
«Non voglio lui. Voglio te.»
«Non è una scelta.»
«Ascolta bene, detective, funziona così: non sono un prigioniero. Non sono in arresto. La Metropolitan Police non può trattenermi, e non sono obbligato ad accettarne l’aiuto. E francamente, lo dico con tutto il rispetto possibile, ma non è che finora abbiate mostrato di saper proteggere. Sono pronto a lavorare con te, ma alle mie condizioni. La prima è che voglio te.»
Baxter si alzò in piedi. Non era certo dell’umore di avviare una trattativa.
«La seconda è che voglio inscenare la mia morte.»
Baxter si strofinò la tempia, con una smorfia, come se la stupidità di Garland le provocasse dolore fisico.
«Pensaci. Se sono già morto, il killer non può uccidermi. Dovremmo farlo in modo realistico, però, di fronte a testimoni.»
«Forse non è del tutto campata per aria, come idea» disse Baxter.
Il volto di Garland si illuminò. Lei si risedette al suo fianco.
«Potremmo cambiarti la faccia con quella di John Travolta... Oh no, aspetta, quello era un film. C’è il teletrasporto, ma... no, no, ci sono: noleggiamo un caccia, credo che Wolf abbia la patente per pilotarli, e poi abbattiamo un elicottero...»
«Non fa ridere» disse Garland, in imbarazzo. «Ho come la sensazione che tu non mi prenda sul serio.»
«Forse ce l’hai perché non ti sto prendendo sul serio.»
«La mia vita è in pericolo» disse Garland e, per la prima volta, Baxter ebbe l’impressione di percepire paura e autocompatimento nella sua voce.
«E allora vai a casa» gli disse.
Poi si alzò e se ne andò.
«Grazie, lo apprezzo davvero. Altrettanto.»
Edmunds posò la cornetta proprio mentre Baxter rientrava in ufficio dopo l’incontro con Garland. Si diede un forte pizzicotto alla gamba per sincerarsi di non sorridere davanti a lei.
Odiava quando lui sorrideva.
Baxter si mise a sedere davanti al computer, sbuffò sonoramente e iniziò a pulire la tastiera dalle briciole, raccogliendole nella mano a coppa.
«L’hai mangiato, qualsiasi cosa fosse, o l’hai solo sbriciolato qui sopra?» lo rimbrottò.
Lui decise di non puntualizzare che aveva avuto troppo da fare per poter pranzare e che quelle briciole provenivano dalla barretta che aveva mangiato lei. Baxter alzò gli occhi e lo vide guardarla con pazienza, un’espressione tirata in faccia. Sembrava che stesse per esplodere dall’eccitazione.
«Ok, spara» sospirò.
«Collins & Hunter. È un’azienda familiare con sede principale nel Surrey e parecchie branche specializzate e soci in tutto il Paese. Hanno una lunga tradizione secondo la quale regalano ai dipendenti un anello...» Edmunds sollevò la bustina di plastica con lo spesso anello di platino. «Un anello proprio come questo, in effetti, dopo cinque anni di servizio.»
«Sei sicuro?» chiese Baxter.
«Sì.»
«Quindi la lista di possibili soggetti non dovrebbe essere troppo lunga.»
«Venti, trenta persone al massimo, stando alla signora con cui ho parlato poco fa. Mi manda l’elenco completo, inclusi i contatti, questo pomeriggio.»
«Era ora che ottenessimo qualcosa» sorrise Baxter.
Edmunds fu sconvolto nel vedere quanto fosse diversa quand’era felice.
«Com’è andata con Garland?»
«Vuole che lo uccidiamo. Qualcosa da bere?»
La risposta scioccata di Edmunds fu soffocata sul nascere dall’offerta di Baxter. Non era mai accaduto prima, perciò Edmunds andò in panico.
«Un tè» borbottò.
Detestava il tè.
Cinque minuti dopo, Baxter tornò alla loro scrivania condivisa e poggiò una tazza di tè lattiginoso davanti a lui. Evidentemente aveva dimenticato (o forse non l’aveva mai ascoltato) che Edmunds era intollerante al lattosio. Lui fece finta di sorseggiarlo come se fosse la cosa più buona del mondo.
«A che ora rientra Simmons?» chiese lei. «Devo parlargli della faccenda di Garland.»
«Alle tre, credo.»
«Hanno ottenuto qualche informazione da Georgina Tate?»
«Non molto» replicò Edmunds, consultando il taccuino. «Un uomo bianco. Ma lo sapevamo già. Con delle cicatrici sull’avambraccio destro.» Gli ci volle qualche istante per decifrare la propria calligrafia nell’ultima frase. «Ah, sì. Mentre eri fuori ti ha cercato qualcuno: Eve Chambers. Ha detto che hai il suo numero.»
«Ha telefonato Eve?» chiese Baxter, perplessa che la moglie di Chambers l’avesse richiamata.
«Sembrava preoccupata.»
Baxter prese immediatamente il cellulare. Non potendo parlare in privato con Edmunds davanti a lei, si alzò e si spostò alla scrivania vuota di Chambers. La donna rispose al secondo squillo.
«Emily» disse, con voce sollevata.
«Eve, tutto bene?»
«Oh, sì. Immagino di sì. Sono io che mi metto in ansia da vecchia stupida quale sono. È solo che... Ieri ho sentito il tuo messaggio in segreteria.»
«Già, scusa, mi dispiace» disse Baxter, imbarazzata.
«Oh, non ti preoccupare. Ho pensato che ci fosse stato un fraintendimento, solo che poi Ben ieri sera non è rientrato a casa.»
Baxter era confusa. «Rientrato da dove?»
«Be’, dal lavoro, tesoro.»
Baxter raddrizzò istintivamente la schiena, d’improvviso allarmata, ed esaminò con cura la risposta da dare per non far preoccupare ulteriormente la brava donna all’altro capo del telefono.
«Ma quando sei rientrata dalle vacanze?» chiese, in tono normale.
«Ieri mattina, e quando sono arrivata a casa Ben era già uscito per andare al lavoro. Non c’era cibo nel frigo, nemmeno un bigliettino per augurarmi il bentornata a casa... Ah, quell’uomo!»
Eve fece una risatina stiracchiata. Baxter si strofinò la fronte. A ogni frase di Eve, la sua confusione aumentava, e cercò di non essere imbronciata con lei.
«Ok. Come mai sei tornata a casa dopo di Chamb... Di Ben?»
«Scusa, tesoro, non capisco.»
«Ben quand’è tornato dalle vacanze?» precisò Baxter, quasi urlando.
Ci fu una lunga pausa all’altro capo prima che Eve replicasse, con un sospiro rauco e pieno d’ansia.
«Non è venuto in vacanza.»
Durante il silenzio stupefatto, in cui Baxter si sforzò di formulare un pensiero utile, Eve iniziò a piangere al telefono. Chambers era scomparso da oltre due settimane senza che nessuno se ne accorgesse. Baxter sentì il cuore pulsare all’impazzata, la gola secca.
«Credi che gli sia successo qualcosa?»
«No, sono sicura che sta bene» disse Baxter, senza riuscire a suonare convincente. «Eve?»
Le rispose soltanto un lamento distante.
«Eve, ho bisogno di sapere come mai Ben non è venuto in vacanza con te... Eve?»
La stava perdendo.
«Te lo chiedo perché a me continuava a parlarne» proseguì Baxter, nel tono più leggero che le venne. «Continuava a farmi vedere le foto della casa sulla spiaggia di tua sorella e dei ristoranti sulle palafitte. Non vedeva proprio l’ora, eh?»
«Sì, tesoro, non vedeva l’ora. Ma la mattina che avevamo il volo mi ha chiamato a casa. Io avevo tutte le valigie pronte e lo stavo aspettando. Era passato dal dottor Sami a prendere le medicine e alla fine era stato ricoverato per dei ’controlli’. Il giorno dopo mi ha mandato un messaggio dicendomi che era tutto a posto e che tornava al lavoro.»
«E che altro ha detto?»
«Che mi amava e che negli ultimi tempi aveva dei problemi a una gamba. Non mi aveva detto nulla per non farmi preoccupare. Io gli avevo detto che rimanevo a casa, naturalmente, ma lui aveva insistito che dovevo partire, altrimenti sarebbe stato uno spreco di denaro. Abbiamo pure litigato.»
Eve ricominciò a piangere.
«La sua gamba, Eve?»
Baxter ricordava che Chambers di tanto in tanto zoppicava un pochino, ma non le era mai sembrata una cosa tanto grave da causare problemi, né Chambers se n’era mai lamentato davanti a lei.
«Sì, ricordi, cara, quell’incidente di anni fa? Tante sere torna a casa e gli fa male. Ma non ne parla. Ha dentro delle placche e delle viti e... Aveva quasi perso la gamba, sai? Pronto?»
Baxter aveva lasciato cadere il telefono e stava frugando frenetica nei cassetti della scrivania di Chambers. Tremava violentemente e iniziava a iperventilare. Estrasse del tutto il cassetto in cima e ne rovesciò il contenuto sul ripiano della scrivania. I colleghi la guardarono con un misto di stupore e imbarazzo.
Edmunds si avvicinò proprio mentre lei rovesciava sul pavimento il secondo cassetto pieno di documenti, cancelleria, antidolorifici e cibo spazzatura. Si era inginocchiata a terra, continuando a frugare in quel caos. Lui si mise in ginocchio di fronte a lei.
«Cosa devo cercare?» le chiese, dolcemente. Distribuì gli oggetti sul tappeto, senza capire di cosa Baxter avesse un così disperato bisogno. «Lascia che ti aiuti.»
«DNA» sussurrò Baxter, il respiro sempre più concitato.
Si asciugò le lacrime dagli occhi e tirò fuori l’ultimo cassetto. Stava per rovesciare anche quello sul pavimento quando Edmunds allungò una mano e prese un pettine di plastica.
«Una cosa così?» le chiese, porgendoglielo.
A carponi, lei gli si avvicinò, prese il pettine e scoppiò in un pianto isterico, singhiozzando con il volto appoggiato al suo petto. Edmunds, esitando, le mise un braccio attorno alle spalle e con l’altro scacciò rabbiosamente i colleghi curiosi.
«Che cosa succede, Baxter?»
Le ci volle un minuto pieno per riprendersi quanto bastava per rispondergli. E anche così, riusciva a malapena a parlare tra i singulti.
«La Ragdoll... la gamba... è di Chambers.»