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Mercoledì 2 luglio 2014
Ore 19.05
Wolf aveva ancora le scarpe quando finalmente si era gettato sul materasso scomodo. Erano le otto e cinquantasette del mattino. Lui e Finlay avevano lavorato tutta la notte alle due scene del crimine, a trecento metri di distanza l’una dall’altra. Per conservare le prove, contenere l’invasione dei media, interrogare i testimoni e compilare un rapporto. Quando Finlay l’aveva lasciato davanti casa, proprio mentre il resto della città andava al lavoro, erano entrambi troppo esausti per parlare. Wolf aveva semplicemente dato una pacca sulla spalla all’amico ed era sceso dall’auto.
Guardò il primo notiziario del giorno di Andrea seduto sul duro pavimento, con una fetta di pane tostato tra i denti, ma spense il televisore quando comparve una sua foto accanto al corpo martoriato di Elizabeth. Si trascinò fino alla camera da letto e si addormentò pochi istanti dopo aver chiuso gli occhi.
Voleva farsi dare un’occhiata al braccio da un dottore ma invece dormì difilato fino alle sei di sera, quando ricevette una telefonata da parte di Simmons. Dopo qualche parola sul funerale del sindaco Turnble, Simmons gli riepilogò i progressi del giorno e la tempesta mediatica della notte precedente. Solo dopo una pausa colma di esitazione gli riferì le scoperte di Baxter. La Scientifica aveva confermato che il DNA dei capelli prelevati dal pettine di Chambers combaciava perfettamente con quello della gamba sinistra della Ragdoll. Infine, ricordò a Wolf che poteva abbandonare l’indagine quando voleva.
Wolf si era preparato al microonde un piatto di pasta con le polpette, ma dopo la conversazione con Simmons non riuscì a togliersi dalla mente l’immagine del killer con il grembiule sporco di sangue. Mentre guardava la registrazione sgranata delle telecamere di sicurezza, si era chiesto a chi appartenesse quel sangue ormai secco sul grembiule, chi era morto prima ancora che il killer conquistasse l’ambito trofeo rappresentato da Naguib Khalid. Adesso tutto aveva senso. Il killer era stato costretto a uccidere Chambers prima che lasciasse il Paese.
Si rimise seduto di fronte al televisore, scoprendo solo che la fotografia da incubo era stata ormai diffusa su tutti i canali di notiziari, ciascuno dei quali sembrava impegnato a riempire la programmazione con dibattiti incentrati su Wolf e sull’opportunità di conferirgli un ruolo così preminente nelle indagini. Riuscì a ingollare soltanto due boccate di quel pasto a base di carne prima di arrendersi. Stava per gettare gli avanzi nel cestino quando il citofono suonò. Purtroppo non riusciva ancora ad aprire le finestre, altrimenti avrebbe potuto prendere due piccioni con una fava e liberarsi in un colpo solo sia di un giornalista ficcanaso sia di quel cibo rivoltante. Con riluttanza, premette un pulsante sul ricevitore.
«William Fawkes, capro espiatorio dei media, modello maschile e uomo morto che cammina» rispose, allegro.
«Emily Baxter, rottame emotivo e moderatamente ubriaca. Posso salire?»
Wolf sorrise, premette un altro pulsante, riordinò rapidamente gettando tutto nella camera da letto e chiudendola, poi aprì la porta d’ingresso. Baxter indossava jeans aderenti, stivali neri alla caviglia e un top di pizzo. Attorno agli occhi aveva un ombretto blu opaco e il suo profumo dolce e floreale attraversò la soglia prima di lei. Gli porse una bottiglia di vino ed entrò nella stanza spoglia e deprimente.
Wolf non riusciva ancora ad abituarsi a vedere Baxter con abiti così casual, nonostante la conoscesse da molti anni. Sembrava più giovane, fine e delicata. Una creatura più adatta a balli e cene di gala che a cadaveri e serial killer.
«Sedia?»
Baxter si guardò attorno nella stanza spoglia.
«Perché, ne hai una?»
«Per questo te la chiedevo» rispose Wolf secco.
Trascinò lo scatolone con scritto PANTALONI E CAMICIE nel centro della stanza per farla accomodare, mentre in quello su cui si stava per sedere lui trovò dei bicchieri da vino. Versò a entrambi una cauta dose.
«Be’, questo posto di certo ha un aspetto...» Baxter lasciò cadere la frase, con un’espressione che testimoniava il suo ribrezzo a toccare qualsiasi cosa lì dentro. Poi osservò i capelli arruffati e la camicia stropicciata di Wolf e la sua espressione non mutò.
«Mi sono appena svegliato» mentì lui. «Puzzo, devo farmi una doccia.»
Sorseggiarono entrambi il vino.
«Hai sentito?» chiese lei.
«Ho sentito.»
«So che non eri il suo fan numero uno, ma per me contava molto.»
Wolf annuì, gli occhi inchiodati al pavimento. Non parlavano mai di quelle cose.
«Così mi sono ritrovata a piangere tra le braccia della mia recluta» disse Baxter, mortificata. «Non la supererò mai.»
«Simmons mi ha detto che sei stata tu a capirlo.»
«Sì, comunque... La mia recluta! Se fossi stato tu avrei potuto accettarlo.»
Ci fu una pausa pesante, allungata ulteriormente dalla consapevolezza che entrambi si stavano immaginando la scena: lui che la abbracciava, lei che piangeva.
«Avrei tanto voluto che ci fossi, in quel momento» mormorò Baxter, rimarcando quell’immagine poco propizia, gli occhi appannati rivolti verso Wolf per valutarne la reazione.
Lui si mosse a disagio sullo scatolone, rompendo qualcosa all’interno. Baxter riempì generosamente i bicchieri e si avvicinò.
«Non voglio che tu muoia.»
Le parole sdrucciolavano fra le sue labbra e Wolf si chiese quanto avesse già bevuto prima di arrivare da lui. Lei si sporse e gli prese la mano.
«Ma ci pensi, che era convinta che tra noi ci fosse qualcosa?»
Wolf impiegò un istante a comprendere quel non sequitur. «Andrea?»
«Esatto! Assurdo, no? Insomma, se ci pensi, abbiamo entrambi sofferto le conseguenze negative di una relazione senza averne... i benefici.»
I suoi occhi spalancati lo fissavano ancora. Wolf le lasciò andare la mano e si mise in piedi. Baxter raddrizzò la schiena, seduta, e bevve il vino.
«Usciamo a mangiare qualcosa» le propose lui con entusiasmo.
«Non sono proprio dell’umo...»
«Certo che lo sei! C’è un cinese all’angolo. Lasciami fare una doccia veloce, cinque minuti e arrivo.»
Wolf praticamente corse in bagno. Dovette infilare un asciugamano sotto la porta storta per tenerla chiusa, e si svestì il più rapidamente possibile.
Baxter si alzò in piedi, la testa leggera. Barcollò fino al cucinino, scolò il resto del bicchiere e lo riempì di acqua corrente. Ne bevve tre di fila, lo sguardo fisso nell’appartamento vuoto di fronte, dove la mente criminale che aveva causato tutta quella sofferenza e quella morte aveva esposto con orgoglio il suo mostro.
Pensò a Chambers che chiamava Eve, probabilmente costretto a farlo, nel disperato tentativo di proteggerla.
Il rumore attutito dell’acqua che scorreva in bagno permeava la parete sottile.
Immaginò Elizabeth Tate che giaceva a terra, come una bambola rotta sotto la pioggia, rivide la fotografia in bianco e nero in cui Wolf le teneva la mano.
Wolf canticchiava stonato sotto la doccia.
Pensò a Wolf e al fatto che sapeva di non poterlo salvare.
Appoggiò il bicchiere nel lavandino, controllò il proprio riflesso nello sportello del microonde e andò verso il bagno. Per la seconda volta quel giorno, sentiva il cuore batterle all’impazzata nel petto. Una lama di luce tra la porta e lo stipite le rivelò che Wolf non aveva potuto chiuderla. O non aveva voluto. Strinse le dita attorno alla maniglia arrugginita, fece un respiro profondo...
Qualcuno bussò alla porta.
Baxter si raggelò dov’era, la mano sul metallo malfermo. Wolf, inconsapevole, stava ancora canticchiando sotto la doccia. Bussarono ancora, con più urgenza. Lei imprecò sottovoce, corse alla porta d’ingresso e la spalancò.
«Emily!»
«Andrea!»
Le due donne si guardarono in un silenzio imbarazzato, nessuna delle due sapeva cosa dire. Wolf emerse dal bagno con un asciugamano attorno alla vita. Era a metà strada verso la camera da letto quando notò che entrambe lo fissavano con sguardo d’accusa. Si fermò, squadrò la situazione tutt’altro che ideale in corso sulla soglia di casa sua, scosse il capo e si chiuse in camera.
«Che quadretto» disse Andrea, con un misto di soddisfazione per aver sempre avuto ragione e indignazione.
«Forse è meglio che entri» disse Baxter, facendosi di lato, le braccia conserte in atteggiamento difensivo. «Scatolone?»
«Sto in piedi.»
Baxter osservò Andrea ispezionare con lo sguardo l’appartamento malmesso di Wolf. La giornalista aveva un aspetto noiosamente perfetto, come al solito, e le sue scarpe di marca fecero un ticchettio irritante mentre lei proseguiva l’ispezione.
«Questo posto è...» iniziò a dire Andrea.
«Vero?» disse Baxter, per chiarire ad Andrea che il suo appartamento da classe media non aveva alcuna somiglianza con quel tugurio.
«Ma perché vive qui?» sussurrò Andrea.
«Be’, immagino che sia perché l’hai fottuto alla grande col divorzio» replicò Baxter con rabbia.
«Non che siano affari tuoi» continuò a sussurrare Andrea, «ma guarda che la casa la vendiamo e dividiamo.»
Entrambe si guardarono attorno in un silenzio scomodo.
«E per tua informazione» continuò Andrea, «quando Wolf è uscito dall’ospedale, io e Geoffrey l’abbiamo aiutato anche finanziariamente.»
Baxter prese la bottiglia di vino rosso mezza vuota.
«Vino?» le propose con educazione.
«Dipende. Che vino è?»
«Rosso.»
«Questo lo vedo. Intendevo dire, da dove viene?»
«Dal supermercato.»
«No, intendevo... Senti, lasciamo perdere.»
Baxter fece spallucce e tornò a sedersi sullo scatolone.
Wolf era vestito ormai da cinque minuti e passa ma era ancora fermo nella sua tremenda camera da letto aspettando che le urla nella stanza accanto scemassero. Baxter aveva accusato Andrea di guadagnare sciacallando le miserie altrui. Andrea si era offesa, anche se, senza alcun dubbio, era vero. Andrea allora aveva accusato Baxter di essere ubriaca. Baxter si era offesa, anche se, senza alcun dubbio, era vero.
Quando la discussione virò sulla relazione tra Baxter e Wolf, lui decise che era giunto il momento di uscire allo scoperto.
«Quindi, da quanto va avanti questa storia?» sbottò Andrea, rivolta a entrambi.
«Io e Baxter?» chiese Wolf, innocentemente. «Non essere ridicola.»
«Ah, lo trovi ridicolo?» urlò Baxter, offesa, cosa che non facilitò la situazione. «E cosa c’è di così ridicolo nel, non so, volermi bene, tipo?»
Wolf fece una smorfia, perfettamente consapevole che qualsiasi cosa avesse risposto sarebbe stata sbagliata.
«Niente. Non intendevo in quel senso. Sai che cosa penso di te, che sei bella e intelligente e spettacolare.»
Baxter sorrise soddisfatta ad Andrea.
«Spettacolare?» gridò Andrea. «E vuoi ancora negare? Sul serio?» Si girò verso Baxter. «Quindi adesso vivi con lui?»
«Non abiterei in questo cesso di posto nemmeno se ne andasse della mia vita» rispose Baxter, ubriaca.
«Ehi, piano!» sbraitò Wolf. «Certo, va fatto qualche lavoretto, ma...»
«Lavoretto? Sì, di demolizione totale» rise Andrea, che aveva appena calpestato qualcosa di appiccicoso con le sue scarpe costose. «Chiedo soltanto sincerità. Ormai cosa conta?»
Si avvicinò a Wolf per parlargli faccia a faccia.
«Will...»
«Andie...»
«Avevate una relazione?» gli chiese con calma.
«Ho detto di no!» urlò lui, esasperato. «Hai gettato al vento il nostro matrimonio per niente!»
«Ma se voi due avete praticamente vissuto insieme per mesi e mesi di fila. Vuoi davvero farmi credere che non avete mai fatto sesso?»
«Be’, noi ce la cavavamo piuttosto bene!» le urlò in faccia Wolf, poi prese il soprabito e uscì di casa, sbattendo la porta. Andrea rimase da sola con Baxter. Ci fu un lungo silenzio prima che qualcuno parlasse.
«Andrea, ascolta» disse poi Baxter, a bassa voce. «Sai benissimo che niente al mondo mi farebbe più piacere di darti una brutta notizia, ma... Non è mai successo niente fra noi.»
La lite era terminata. Anni di sospetti e di accuse cancellati da una sola, breve frase sincera. Andrea si lasciò cadere su uno scatolone, sconvolta dall’apprendere che una cosa che aveva creduto vera con tutta se stessa non era mai accaduta.
«Io e Wolf siamo amici, niente di più» mormorò Baxter, più per se stessa che per Andrea.
Si era resa ridicola, confusa com’era sulla natura della loro innegabilmente complicata relazione e dal proprio bisogno di conforto e rassicurazioni dopo la morte di Chambers, e per il panico che provava all’idea di perdere il suo amico.
Fece spallucce. Non doveva far altro che dare la colpa all’alcol.
«Chi era la donna nella foto con Will?» chiese Andrea.
Baxter alzò gli occhi al cielo.
«Non voglio sapere il suo nome» disse l’altra, sulla difensiva. «Voglio solo sapere... La conosceva bene?»
«Sì. Molto bene. Non meritava...» Baxter sapeva di dover stare attenta a non rivelare alcun dettaglio riguardante l’omicidio di Rana. «Non meritava niente di quello che le è successo.»
«Lui come sta?»
«Vuoi la verità? Mi ricorda sempre più com’era prima.»
Andrea annuì, comprendendo perfettamente: ricordava fin troppo bene gli ultimi tempi del loro matrimonio.
«È tutto troppo personale, è troppo sotto pressione. Si sta consumando, di nuovo» disse Baxter, cercando di spiegare il cambiamento in Wolf che solo lei aveva notato.
«Viene da chiedersi se non sia proprio questa l’intenzione» disse Andrea. «Spingerlo al limite, assicurarsi che Will sia tanto concentrato sulla cattura del killer da non pensare affatto a salvare se stesso.»
«Ma catturare il killer e salvarsi non sono la stessa cosa?»
«Non necessariamente. Potrebbe scappare via. Ma non lo farà mai.»
Baxter fece un debole sorriso. «No, mai.»
«Sai, abbiamo avuto una conversazione praticamente identica, prima» disse Andrea.
Baxter parve diffidente.
«Non preoccuparti, non l’ho mai detto ad anima viva e mai lo farò. Quello che voglio dire è che abbiamo già preso una decisione su cosa fare.»
«Una parola a Simmons e lo toglierà dal caso. Ma non posso fargli questo» disse Baxter. «Preferisco che sia là fuori ad autodistruggersi piuttosto che chiuso qui ad aspettare di morire.»
«Quindi abbiamo deciso. Non dire nulla. Ma aiutalo più che puoi.»
«Se solo riuscissimo a salvarne uno, a dimostrare che il killer non è infallibile, non sembrerebbe più tutto così disperato.»
«Cosa posso fare per aiutarvi?» chiese Andrea, sincera.
D’un tratto, Baxter fu colpita da un’idea. Ma discutere di una cosa così importante con una donna già arrestata una volta per aver diffuso materiale riservato era un rischio troppo grande. Non aveva alcuna intenzione di prendere in considerazione l’idea assurda di Garland di inscenare la propria morte, ma se aveva l’occasione di utilizzare la stampa come alleata invece che nemica, per una volta, forse c’era un modo di volgere la situazione a loro favore.
Andrea sembrava sincera, e di certo era molto preoccupata per Wolf. Era anche l’unica speranza che Baxter aveva di portare a compimento con successo il suo piano.
«Ho bisogno che mi aiuti a salvare Jarred Garland.»
«Vuoi coinvolgere me?» chiese Andrea.
«E il tuo cameraman.»
«Capisco.»
Andrea lesse tra le righe della richiesta incredibile di Baxter. Si immaginava già l’espressione trionfante di Elijah di fronte all’occasione di denunciare pubblicamente il preoccupante livello di disperazione della Metropolitan Police. Le avrebbe detto di dargli corda per qualche tempo per poi svergognarli la sera prima dell’omicidio.
Sarebbe stato un suicidio lavorativo, per un giornalista, scegliere di ingannare il pubblico, a prescindere dalla nobiltà delle intenzioni. Come avrebbero potuto poi fidarsi di nuovo di lei?
Ricordò i volti sorridenti dei suoi colleghi nella sala riunioni, contenti che Elizabeth Tate fosse morta così violentemente, come se si fosse lanciata davanti a quel bus per il loro esclusivo beneficio. Strinse i pugni immaginando come avrebbero esultato davanti al corpo senza vita di Wolf. Si sarebbero anche aspettati che lei «aggiungesse un po’ di dramma» a quello che sarebbe stato senz’altro il giorno peggiore della sua vita.
Non poteva abbassarsi al loro livello. Quella gente la ripugnava.
«Ci sto.»