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Domenica 13 luglio 2014
Ore 13.10
Finlay sbarrò un altro nome sulla lista e poi si concesse dieci secondi di stretching prima di ritornare alla sua metà dei rimanenti quattrocento soldati congedati. Vide Baxter al suo angolo della scrivania, il capo chino, concentrata, le cuffiette infilate per cancellare i rumori dell’ufficio.
Edmunds aveva lasciato la sala riunioni in condizioni pietose, nonostante ora fosse alla scrivania di Simmons per accedere a un programma del computer che Finlay nemmeno riconosceva. Vanita si era chiusa con Simmons nel suo ufficio angusto per guardare l’intervista di Andrea Hall, probabilmente per controllare i danni, trattenendo il fiato nell’attesa della bomba sconosciuta che l’ex moglie di Wolf avrebbe sganciato. Anche se il conto alla rovescia della morte era scomparso per la durata dell’intervista, nessuno aveva bisogno di qualcosa che ricordasse i limiti ristretti di tempo che avevano per lavorare.
Finlay abbassò lo sguardo sul successivo nome dell’elenco. Stava combinando le poche informazioni a cui il ministero della Difesa aveva garantito loro l’accesso, il database nazionale della polizia e Google per restringere il numero dei sospettati. Si sarebbe sentito più a suo agio se avessero potuto controllare maggiormente i rischi: in fondo, era ancora del tutto possibile che il loro killer non fosse mai stato congedato dall’esercito, o che nemmeno si fosse mai arruolato. Ma cercava di non pensarci. Era la loro unica possibilità di trovare Wolf, perciò lui e Baxter avrebbero continuato a fornire a Edmunds dei nomi papabili mano a mano che li trovavano.
Saunders si avvicinò impettito alla scrivania di Baxter. Lei tenne le cuffiette e continuò a lavorare, sperando che l’altro capisse l’antifona e se ne andasse, ma quando lui le agitò le mani davanti agli occhi fu chiaro che voleva dirle qualcosa ad alta voce.
«Non rompere, Saunders» gli disse secca lei.
«Ehi, che bisogno c’è? Volevo solo sapere come stavi. Sai, con Andrea Hall che fa delle illazioni piuttosto scandalose su Wolf e una ’sconosciuta’ collega...» disse, con un sorriso sornione. «Insomma, lo pensavamo comunque tutti, ma...»
Quando vide l’espressione di Baxter, lasciò cadere la frase e fece un passo indietro. Borbottò qualcosa di incomprensibile e si allontanò. La notizia tuttavia aveva sconvolto Baxter e la imbarazzava ammettere a se stessa che si sentiva ferita. Era convinta che lei e Andrea avessero risolto i loro problemi e che Andrea avesse finalmente accettato la verità, e cioè che non era mai successo niente tra lei e Wolf. D’altra parte, però, era la stessa donna che in quell’istante era in televisione davanti al mondo a mostrare i panni sporchi del suo ex marito, poche ore prima della sua morte annunciata.
Eppure, quelle minime offese erano nulla in confronto a ciò che Baxter provava verso Wolf.
Un’ora dopo, Finlay digitò con mano pesante un nuovo nominativo nel computer. Era lento in modo imbarazzante, in confronto a Baxter, ma voleva esaminarne il più possibile prima che lei finisse la sua metà e andasse da lui a prendere un po’ dei suoi. La descrizione del ministero della Difesa era prevedibilmente asciutta:
Sergente Lethaniel Masse, data di nascita 16/02/74, (HUMINT) Intelligence Corps, congedo per motivi di salute, giugno 2007.
«Ma da che parte stanno?» borbottò, chiedendosi se anche provandoci avrebbero mai potuto essere più vaghi. Scrisse le parole servizi segreti militari su un tovagliolo di carta avanzato dal suo pranzo alla scrivania.
Una rapida ricerca su Google produsse pagine e pagine di risultati, per lo più articoli e discussioni su forum. Cliccò sul primo link.
...sergente Masse distaccato presso il Royal Mercian Regiment... unico sopravvissuto all’attacco che ha ucciso le altre nove persone della sua unità... Il loro convoglio ha incrociato un ordigno esplosivo improvvisato a sud di Hyderabad nella provincia di Helmand... È in pericolo di vita, in cura per ferite interne gravi e ustioni «devastanti» alla faccia e al petto.
Sopravvissuto – Manie di grandezza?, scrisse Finlay accanto a una macchia di sugo. Inserì i dettagli nel database nazionale della polizia e fu piacevolmente sorpreso di scoprire una nutrita serie di informazioni sul soggetto, inclusa la statura (un metro e novanta), lo stato civile (non sposato), l’impiego (disoccupato), la registrazione fra gli invalidi (presente), il parente più prossimo (nessuno), l’indirizzo conosciuto (nessuno negli ultimi cinque anni).
Incoraggiato dalle somiglianze con il profilo elaborato da Edmunds, Finlay proseguì alla seconda pagina, dove la ragione di tutte quelle informazioni registrate sul conto del sergente Masse divennero evidenti. C’erano due file allegati. Il primo era un rapporto redatto dalla Metropolitan Police nel giugno del 2007.
2874 26/06/2007
Occupational Health Suite, terzo piano, 57 Portland Place, W1
[14.40] Sopralluogo all’indirizzo in seguito a denuncia di aggressione. Un paziente, Lethaniel Masse, aggrediva verbalmente e fisicamente il personale.
All’arrivo sul luogo, si udivano grida provenienti dal piano superiore. Individuato il signor Masse (maschio, 30-40 anni, 1,90 m, bianco/britannico, cicatrici sul volto) seduto a gambe incrociate sul pavimento, sguardo fisso nel vuoto, sangue da una ferita a un lato del volto. Scrivania rovesciata, vetro della finestra incrinato. Mentre il collega si occupava del signor Masse, ricevevo informazione che la ferita al volto era autoinflitta e che nessun altro era ferito. Il dottor James Bariclough mi informava che il paziente soffriva di disturbo post-traumatico da stress e che l’attacco era dovuto alla notizia riferita al paziente che non poteva rientrare in servizio all’esercito a causa delle ferite fisiche e mentali.
Né il dottore né il personale desideravano sporgere denuncia. Nessun motivo di arresto, né di ulteriore coinvolgimento della polizia. Richiesta ambulanza per ferita alla testa e per possibile rischio di suicidio date le condizioni correnti del paziente, attendevo sulla scena l’arrivo.
[15.30] Arrivo dell’ambulanza sulla scena.
[15.40] Accompagnavo l’ambulanza fino all’University College Hospital.
[16.05] Abbandonavo la scena.
Finlay si rese conto di essere già in piedi, ansioso di condividere con il resto della squadra il sospettato più promettente fino a quel momento. Spostò il mouse sul secondo file allegato e fece doppio clic. Comparve la fotografia di un computer rotto accanto a una scrivania rovesciata a terra. Passò alla foto seguente: una grossa finestra col vetro incrinato. Passò oltre rapidamente, aprendo la terza e ultima fotografia.
Un brivido gelido gli percorse la schiena.
La fotografia era stata scattata accanto a una porta aperta, con il personale sullo sfondo che, impaurito, osservava la scena. Mostrava la profonda lacerazione sul volto già pesantemente martoriato di Lethaniel Masse. Ma non era la gravità delle sue deturpazioni a preoccupare Finlay. Erano i suoi occhi: chiari, morti, lo sguardo calcolatore.
Finlay aveva conosciuto più mostri di quanti riuscisse a ricordare e aveva scoperto che quelli che avevano commesso i crimini più atroci avevano un tratto in comune, lo sguardo: distaccato, freddo, in tutto e per tutto simile a quello che vedeva sullo schermo davanti a sé in quel momento.
«Emily! Alex!» gridò nell’ufficio.
Lethaniel Masse era un killer, su questo non aveva dubbi. A Finlay non importava se fosse il Ragdoll Killer, il Faustian Killer o entrambi. Ci avrebbe pensato Edmunds a reperire le prove.
A lui e Baxter toccava un altro compito: trovarlo.
Wolf era teso. Da ore ormai osservava la pioggia cadere sulla via principale, ripulendo a intervalli regolari la condensa sul vetro dell’unica finestra in quell’appartamento claustrofobico. Pregava di poter scorgere Masse rientrare a casa da un momento all’altro, sapendo fin troppo dolorosamente di aver sprecato quella che poteva essere l’unica opportunità di mettere la parola fine a ciò che lui stesso aveva iniziato anni prima.
Avrebbe dovuto adattarsi alle circostanze. Avrebbe dovuto improvvisare. Sentiva di aver ormai oltrepassato ogni possibilità di redenzione. Non avrebbe mai potuto aspettarsi di dover recitare la propria parte sotto una tale attenzione da parte dei media, né che Masse scegliesse proprio Andrea come sua messaggera. Se gli eventi si fossero svolti diversamente, il martedì mattina seguente sarebbe entrato a New Scotland Yard da eroe, l’ennesimo obiettivo innocente del folle ex militare che Wolf aveva inavvertitamente ucciso in un atto di autodifesa. Ogni prova del suo coinvolgimento nel caso sarebbe morta con lui. Aveva ancora con sé la selezione accurata di ritagli di giornale che aveva avuto intenzione di piazzare nell’appartamento di Masse.
La maggior parte degli articoli aveva a che fare con il processo al Cremation Killer: elencavano uno per uno e condannavano tutti gli errori fatti dalle persone che avevano causato la morte della giovane studentessa Annabelle Adams. Altri erano servizi riguardanti i tentativi dell’esercito di nascondere il numero delle vittime civili in Afghanistan, specialmente bambini, durante le schermaglie con il reggimento cui apparteneva Masse. Wolf era sicuro che quel semplice filo rosso sarebbe stato considerato un più che plausibile fattore scatenante della mente clinicamente instabile di Masse e che le circostanze relative alla sua miracolosa sopravvivenza all’ordigno improvvisato avrebbero aggiunto ulteriore credibilità alla storia.
Ma adesso era tutto irrilevante. Invece, Wolf aveva lasciato libero un predatore sadico, e ogni speranza che aveva nutrito di tornare a una vita normale si era disintegrata insieme al suo piano. Elizabeth Tate e sua figlia non avrebbero mai dovuto essere coinvolte. Era stato un rischio eccessivo nascondersi con Ashley. Ma soprattutto, il fattore cruciale era che non si era aspettato Edmunds.
Il giovane detective gli era stato alle costole fin dall’inizio e aveva scoperto almeno uno dei primi omicidi di Masse, quelli meno «puliti». Wolf sapeva che era solo questione di tempo prima che Edmunds unisse i puntini. Se non fosse stato tanto stupido da aggredirlo, adesso avrebbe per lo meno saputo esattamente che cosa avevano scoperto i suoi colleghi e quanto ne sapevano.
Ma niente di tutto ciò lo angosciava quanto il fatto che Baxter scoprisse cosa aveva fatto, cosa ancora doveva fare. Sapeva che lei non sarebbe mai riuscita a capirlo, per quanto si sforzasse. Nonostante sembrasse l’esatto opposto, Baxter credeva ancora nella legge e nella giustizia, nel sistema che puniva i bugiardi e i corrotti che operavano con arroganza in una cultura intrisa d’apatia. L’avrebbe visto come un nemico, come un essere non migliore di Masse.
Era un pensiero che Wolf non riusciva a sopportare.
Si udì un forte rumore al piano di sotto quando il portone di quel palazzo semiabbandonato sbatté. Wolf afferrò il pesante martello che aveva trovato sotto il lavandino e si appostò in ascolto accanto alla sottile porta. Pochi minuti dopo il rumore si ripeté quando qualcuno entrò nell’appartamento sottostante, e poi il frastuono di un televisore acceso riverberò su per le pareti. Wolf rilassò i muscoli contratti e ritornò davanti alla finestra, osservando la deprimente vista sul mercato chiuso di Sheperd’s Bush e le rotaie più in là.
Era rimasto in qualche modo deluso dalla tana del sociopatico assassino più famoso del mondo. Gli sembrava di aver scoperto il trucco di un numero di magia. Si era aspettato figure grottesche dipinte col sangue, oscuri messaggi religiosi scritti sulle pareti, fotografie macabre o trofei prelevati dal numero crescente di vittime, ma non c’era niente di tutto ciò. Eppure, c’era qualcosa di inquietante in quella stanza vuota e imbiancata.
Non c’era un televisore, un computer, nessuno specchio da nessuna parte. C’erano sei corredi di abiti identici, alcuni appesi nell’armadio, altri piegati con cura e riposti dentro dei cassetti. Il frigorifero conteneva soltanto un cartone di latte e non c’era il letto, soltanto un materasso sottile appoggiato direttamente sul pavimento, una pratica comune fra i soldati appena rientrati in patria, apparentemente integri eppure, dentro, cambiati per sempre. Una parete era nascosta da file di libri, suddivisi apparentemente per colore. On War and Morality, The Accidental Species: Misunderstanding of Human Evolution, Encyclopaedia of Explosive, Medical Biochemistry...
Wolf tolse di nuovo la condensa dal vetro e notò un’auto appostata all’ingresso di un vicolo. Attraverso la finestra dagli infissi consunti poteva udire il motore acceso. Non riusciva a vedere chiaramente l’auto ma era evidente che era un modello troppo costoso per appartenere a un inquilino di quel palazzo fatiscente. Si mise in piedi, con la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava.
D’un tratto, l’auto accelerò con foga lungo il vicolo, seguita a stretta distanza da due veicoli delle Squadre di Assalto, che poi si fermarono sbandando sulla piazzola d’erba e sassi direttamente sotto alla sua finestra al secondo piano.
«Oh, merda!» esclamò Wolf, correndo verso la porta.
Irruppe nel corridoio in penombra, lasciando che la porta dell’appartamento di Masse si chiudesse con uno scatto alle sue spalle. Le scale malmesse in fondo al corridoio scricchiolavano già sotto il peso della prima squadra di agenti armati.
Non aveva vie di fuga.
Stivali pesanti facevano rimbombare le scale, correvano verso di lui. Non c’era nessuna uscita d’emergenza, nessuna finestra, soltanto la porta scrostata e graffiata dell’appartamento dall’altro lato del corridoio.
Wolf la prese a calci, ma la porta resistette.
Sferrò un altro calcio e nel legno si aprì una crepa.
Disperato, la prese a spallate. La serratura spaccò il legno, e lui cadde nella stanza vuota proprio mentre gli agenti arrivavano in cima alle scale. Richiuse la porta. Qualche secondo dopo, ci furono dei colpi pesanti contro quella dell’appartamento di Masse.
«Polizia! Aprite subito!»
Dopo un altro istante, ci fu un nuovo schianto quando gli agenti usarono un ariete per sfondare la porta ed entrare nel piccolo appartamento. Il cuore di Wolf era sul punto di esplodere. Si mise sul pavimento ad ascoltare i rumori minacciosi del raid che stava avvenendo a pochi metri da lui.
«È una sola stanza, accidenti!» disse una voce familiare, che litigava con qualcun altro sulle scale. «Se non l’hanno trovato, ormai non lo troveranno più.»
Wolf si rimise in piedi e guardò dallo spioncino. Vide Baxter e Finlay. Mentre aspettavano spazientiti in corridoio, Baxter lo fissò direttamente e, per un istante, Wolf fu certo che l’avesse visto. Baxter abbassò lo sguardo sulla serratura fracassata.
«Bel posto» disse a Finlay, poi diede una lieve spinta alla porta. Si aprì di un paio di centimetri, fermandosi contro la punta del piede di Wolf. Lui si guardò alle spalle, vide la stanza vuota, il tetto basso dell’edificio adiacente, che sarebbe stato in grado di raggiungere dalla finestra.
«Libero! Tutto libero!» gridò qualcuno in corridoio.
L’agente a capo della squadra uscì dall’appartamento di Masse con in mano qualcosa.
«Ho trovato questo dentro il materasso. Uno dei vostri, credo» disse in tono d’accusa, passando a Baxter un laptop con un’etichetta della divisione Omicidi. Impronte insanguinate imbrattavano il rivestimento argenteo del computer, che alla luce polverosa del corridoio sembrava nero e sporco.
Baxter lo aprì guardinga e poi lo porse subito a Finlay, come se non potesse sopportarne la vista.
«È quello di Chambers» spiegò, togliendosi i guanti che aveva indossato per maneggiarlo.
«Come fai a dirlo?»
«La password.»
Finlay lesse il pezzo di carta insanguinato infilato tra la tastiera e lo schermo.
«Eve2014.»
Premette un tasto. Il computer, in stand by, si risvegliò. Con attenzione, digitò la password e trovò la familiare schermata iniziale del server sicuro della Metropolitan Police. C’era una breve email aperta, risalente al 7 luglio.
La presente email è per segnalare la sua rimozione dal gruppo email Comando_Divisione_Omicidi. Se ritiene che la rimozione sia dovuta a un errore o desidera richiedere nuovamente l’accesso, la preghiamo di contattare l’Helpdesk.
Cordialmente,
Supporto informatico
Finlay voltò lo schermo per mostrarlo a Baxter.
«È stato collegato al nostro server per tutto questo tempo» si lamentò lei. «Ecco come faceva a essere sempre un passo avanti a noi. Edmunds non capisce niente. Wolf non era la talpa!»
«So che vuoi crederlo. E anche io lo voglio. Ma non lo sappiamo con certezza.»
Lei lo guardò irritata e poi si allontanò.
«Grazie... Grazie davvero... Andiamo pure...» disse, spingendo gli agenti armati fuori dalla porta.
Wolf corse alla finestra, la scavalcò, si calò sul tetto e scese dalla prima scaletta antincendio che trovò. Cercò di nascondersi il volto mentre passava accanto ai poliziotti di guardia all’ingresso del vicolo e udì il tintinnio della pioggia sulle serrande del mercato coperto affievolirsi mentre saliva le scale della Goldhawk Road Station. Prese un treno al volo, prima che le porte si chiudessero, e osservò i lampeggianti blu svanire sotto di lui mentre il convoglio procedeva sferragliando sul ponte.
Aveva appena perso l’unico vantaggio che aveva.