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Venerdì 4 luglio 2014
Ore 14.45
Per via della gravità e dell’ignota eziologia delle ferite, Garland era stato trasportato in emergenza prioritaria al pronto soccorso dell’ospedale Chelsea & Westminster, dove era in attesa uno specialista in ustioni. Baxter gli aveva tenuto la mano per tutto il viaggio, lasciandola andare solo quando un’infermiera dal piglio deciso le aveva imposto di uscire dalla stanza.
Andrea e Rory erano giunti con una seconda ambulanza pochi minuti dopo. Da ciò che Baxter poteva vedere sotto le bende umide, la mano sinistra di Rory sembrava ferita e lacerata come l’aveva vista all’hotel, ma adesso gli mancava anche una larga fetta di pelle dal palmo destro. La ferita sembrava più simile a un morso che a un’ustione. Dopo aver parlato con l’infermiera, un paramedico tornò a prendere Rory per farlo vedere dallo specialista.
Baxter e Andrea rimasero sedute senza parlare davanti a uno Starbucks dall’altra parte della strada. Garland era stato portato in sala operatoria già due ore prima, e non avevano ancora avuto notizie di Rory. Baxter trascorse la maggior parte di quel tempo cercando di scoprire dove fosse stato portato Sam, per corroborare la storia assurda che, senza dubbio, risuonava a orecchie che non volevano sentire.
«Non riesco a capire cosa sia successo» mormorò Andrea giocherellando con uno stecchino rotto.
Baxter la ignorò. Aveva già chiarito a dovere che chiedere l’aiuto di Andrea era stato uno dei suoi errori più madornali e che non poteva fare a meno di domandarsi se l’altra non avesse qualcosa che non andava.
«Non ci si può fidare di te su niente» le aveva detto Baxter. «Ma non ti rendi conto che tutto ciò che tocchi va in merda?»
Fu tentata di ricominciare la discussione ma decise che non ne sarebbe venuto fuori niente di utile, e poi Andrea si sentiva chiaramente in colpa, quanto lei.
«Credevo di aiutarlo» disse Andrea, parlando in realtà a se stessa. «È come hai detto tu: se fossimo riusciti a salvarne uno, allora la situazione di Will non sarebbe sembrata così senza speranza.»
Baxter esitò, indecisa se raccontarle di quando Will, la mattina precedente, l’aveva bloccata dentro la sala riunioni. Decise di tenerlo per sé.
«Temo che lo perderemo» sussurrò Andrea.
«Garland?»
«Will.»
Baxter scosse il capo. «Non lo perderemo.»
«Voi due dovreste... Se tu vuoi... Tu sembri... Lui merita di essere felice.»
Baxter riuscì in qualche modo a decifrare il significato delle sue parole confuse, ma decise di ignorare la domanda sottintesa.
«Non lo perderemo» disse ancora, con maggior convinzione.
Mi dispiace. Faccio io da mangiare stasera. Tvb baci
Edmunds era seduto alla sua metà della scrivania di Baxter, cercando di scrivere un quarto messaggio a Tia senza che Simmons lo vedesse. Lei aveva ignorato i suoi primi tre di scusa.
«Edmunds!» abbaiò Simmons, alle sue spalle. «Se hai tempo per i messaggini allora hai anche tempo di andare alla Scientifica a scoprire che diavolo è successo oggi!»
«Io?»
«Sì, tu» disse Simmons, guardando orripilato il proprio ufficio quando il telefono ricominciò a squillare. «Fawkes e Finlay sono dall’altra parte del Paese e Baxter è ancora in ospedale. Quindi rimango io, poi tu e poi ancora tu.»
«Sissignore.»
Edmunds ripose ciò su cui stava lavorando, mise a posto la scrivania così che Baxter non avesse motivo di urlargli addosso e uscì dall’ufficio.
«Come sta?» chiese Joe, con l’aria più monastica che mai, mentre si lavava le mani nel laboratorio della Scientifica. «Ho visto i notiziari.»
«Mi sa che li ha visti tutto il Paese» disse Edmunds. «Non l’ho ancora sentita, ma Simmons sì. È ancora all’ospedale con Garland.»
«È premuroso, da parte sua, ma altrettanto inutile, temo.»
«Lo stanno operando, quindi forse pensano che abbia delle possibilità.»
«Non ne ha. Ho parlato con lo specialista di ustioni per spiegargli cos’hanno di fronte.»
«E cosa?»
Joe fece cenno a Edmunds di seguirlo a un banco di lavoro, sopra il quale c’erano i frammenti di vetro raccolti sul divano dell’hotel, messi sotto un microscopio. Qualche residuo di liquido riposava in fondo a una provetta. Una sbarra di metallo, attaccata con dei cavi a un’apparecchiatura, era immersa nella provetta. I resti della cinta protettiva erano disposti su un vassoio, con ancora attaccati rimasugli della pelle di Garland. Uno spettacolo nauseabondo.
«Immagino tu sappia che stavano cercando di simulare uno sparo per fingere la morte di Garland?» chiese Joe.
Edmunds annuì. «Simmons ce l’ha detto.»
«Un buon piano. Coraggioso» disse Joe, sincero. «Perciò come si fa a uccidere qualcuno con uno sparo a salve? Si modifica la pistola? Si sostituiscono i proiettili finti con proiettili veri? Si rimpiazza il debole esplosivo dietro la sacca di sangue, giusto?»
«Immagino di sì.»
«Sbagliato! Quelle cose sarebbero state controllate e ricontrollate. Così il nostro killer ha deciso di modificare la cintura protettiva stretta al petto di Garland. In fondo, era solo una striscia di gomma coperta da tessuto, nessuna minaccia, no?»
Edmunds si avvicinò ai resti della cintura, coprendosi il naso per via del puzzo di carne bruciata. Parecchie schegge di metallo annerito dal fuoco spuntavano qua e là dalla gomma.
«Strisce di magnesio avvolte attorno alla gomma» disse Joe, apparentemente indifferente all’odore. «Strette attorno al petto, hanno arso vivo quel poveraccio a una temperatura di qualche migliaio di gradi.»
«Quindi, quando hanno fatto esplodere la sacca di sangue...»
«Hanno incendiato le spire di magnesio. Ho trovato tracce di accelerante spalmato sul davanti per sincerarsi che prendesse fuoco.»
«Ma il vetro che c’entra?»
«Eccesso di zelo. Il killer voleva assicurarsi che Garland non sopravvivesse. Così, ha legato alcune fiale di acido all’interno della cinta, per precauzione, che poi sono esplose dentro la sua carne viva a causa dell’enorme calore... Ah, e non dimentichiamoci degli spasmi fatali e dell’edema dovuto all’inalazione di vapori tossici.»
«Gesù» disse Edmunds, prendendo freneticamente appunti. «Che tipo di acido?»
«In realtà non gli rende giustizia definirlo semplicemente acido. Questa roba è peggio, molto peggio. È quello che chiamano un superacido, probabilmente triflico, circa mille volte più potente del comune acido solforico.»
Edmunds arretrò allontanandosi dalla provetta dall’aria innocente.
«E adesso questa roba sta corrodendo gli organi di Garland?»
«Adesso capisci cosa intendevo? È senza speranza.»
«Dev’essere difficile procurarselo.»
«Sì e no» rispose Joe, senza essere d’aiuto. «È largamente utilizzato come catalizzatore dalle industrie, ma c’è anche una crescente e preoccupante domanda sul mercato nero, visto che è utilizzabile come arma.»
Edmunds fece un profondo sospiro.
«Non ti preoccupare, hai altre tracce molto più promettenti da seguire» aggiunse Joe, allegro. «Ho trovato qualcosa sulla Ragdoll.»
Baxter si allontanò dal tavolo per rispondere a una chiamata dell’ospedale. Durante la sua assenza, Andrea estrasse controvoglia il cellulare aziendale dalla borsa e lo accese. Undici chiamate perse: nove da parte di Elijah e due di Geoffrey, ricevute prima che lei si ricordasse di avvertirlo che stava bene. Poi c’era un nuovo messaggio vocale. Si fece forza e si portò il cellulare all’orecchio.
«Dove sei? All’ospedale? È da ore che ti cerco» iniziò Elijah, scocciato. «Ho parlato con uno del personale dell’albergo. Ha detto che stavate filmando qualcosa quando è successo. Voglio quelle riprese, e le voglio ora. Ho mandato il tecnico, Paul, all’albergo con una chiave di scorta del furgone. Le trasmetterà da lì. Chiamami quando senti questo messaggio.»
Baxter ritornò al tavolo e trovò Andrea scossa.
«Cosa?» le domandò.
Andrea si prese la testa tra le mani. «Oddio.»
«Cosa?»
Andrea alzò lo sguardo su Baxter, rassegnata.
«Hanno le riprese. Mi dispiace» disse.
Era vero: qualsiasi cosa toccasse si trasformava in merda.
Erano state richiamate all’ospedale e furono costrette ad aprirsi la strada in una muraglia di telecamere e giornalisti che assediavano l’ingresso principale. Andrea notò che Elijah aveva mandato Isobel e il suo cameraman per fare il servizio sull’ultimo orribile incidente al centro del quale si trovava proprio lei.
«Raccogli quello che semini» precisò Baxter. Un poliziotto le fece passare e raggiunsero riparo nell’ascensore.
Un infermiere le portò in una camera privata e Baxter capì subito dal suo atteggiamento quello che stava per dire: nonostante tutti i loro sforzi i danni erano troppo estesi e il cuore di Garland aveva cessato di battere sul tavolo operatorio.
Anche se se l’era aspettato e anche se conosceva Garland da soli tre giorni, scoppiò a piangere. Era impossibile anche solo immaginare che un giorno sarebbe riuscita a liberarsi da quell’immenso senso di colpa. Lo avvertiva fisicamente, come un immane peso sul petto. Lui era sotto la sua responsabilità. Se solo non avesse sentito il bisogno di agire alle sue spalle... Se solo lei...
L’infermiere disse che la sorella di Garland era stata informata ed era da sola in una camera in fondo al corridoio, qualora volessero incontrarla, ma Baxter non se la sentiva di affrontarla. Chiese ad Andrea di augurare a Rory una pronta guarigione e lasciò l’ospedale più velocemente che poté.
Joe rimosse l’ormai famigerato cadavere della Ragdoll dal congelatore e spostò la lettiga al centro del laboratorio. Edmunds avrebbe preferito non vedere più quell’orribile cosa. Come insulto finale alla povera donna il cui busto era stato già tanto crudelmente congiunto con altre cinque parti corporee diverse, ora c’era una nuova serie di punti che correva lungo il centro del tronco, dividendosi all’altezza dei piccoli seni per terminare sulle spalle. Anche se avevano stabilito già sulla scena del crimine che le mutilazioni e le amputazioni erano avvenute dopo la morte, Edmunds non poté fare a meno di pensare che quella povera donna pallida e senza nome avesse subito il destino peggiore.
«Hai scoperto qualcosa dall’autopsia?» chiese, sentendosi ingiustamente arrabbiato con Joe per un punto di sutura disallineato che aveva notato.
«Eh? No, niente.»
«E allora?»
«Guardalo un istante e poi dimmi cosa c’è che non va in questo corpo.»
Edmunds gli rivolse uno sguardo disperato.
«A parte l’ovvio, naturalmente» aggiunse Joe.
Pur non avendone affatto bisogno, Edmunds contemplò il grottesco cadavere. Dubitava che sarebbe mai riuscito a scacciare quell’immagine dalla sua memoria, e già detestava anche solo trovarsi nella stessa stanza di quella cosa. Pur sapendo che era del tutto irrazionale, sentiva che c’era qualcosa di macabro in quella figura. Tornò a guardare Joe senza aver compreso.
«Niente? Guarda le gambe. Benché abbiano un diverso colore della pelle e una taglia differente, sono state tagliate e attaccate in modo quasi simmetrico. Ma le braccia sono tutt’altra storia: un braccio femminile completo da una parte...»
«Anche se non avevamo bisogno di tutto il braccio per identificare lo smalto per unghie» intervenne Edmunds.
«...ma dall’altra il braccio appartiene al busto, solo la mano con l’anello è estranea.»
«Quindi il braccio che appartiene al busto dev’essere in qualche modo significativo» disse Edmunds, iniziando a capire.
«E infatti lo è.»
Joe estrasse alcune fotografie da una cartelletta e le porse a Edmunds, che le sfogliò confuso.
«È un tatuaggio.»
«Un tatuaggio che lei si è fatta cancellare. E piuttosto bene, aggiungerei. Il contenuto metallico dell’inchiostro è ancora visibile con le radiografie, ma l’immagine a infrarossi è ancora più chiara.»
«Che cos’è?» chiese Edmunds, capovolgendo la foto.
«Il tuo lavoro» sorrise Joe.
Simmons era seduto nel suo soffocante ufficio da più di un’ora con la comandante. Ascoltava le sue minacce che, come sempre, lei si «limitava a riferire» perché provenivano dai «piani alti». Aveva ripetuto infinite volte che era dalla sua parte, poi aveva iniziato a criticare i suoi detective, il suo dipartimento nel complesso e la sua reale capacità di comandarli. Chiuso nella stanzetta priva di finestre, Simmons riusciva a malapena a respirare e percepiva un progressivo volgere al brusco del suo umore a mano a mano che la temperatura lì dentro saliva.
«Voglio che la detective Baxter sia sospesa, Terrence.»
«E per quale motivo, di preciso?»
«Devo proprio spiegartelo? Praticamente ha ucciso lei stessa Jarred Garland con quel suo piano francamente ridicolo.»
Simmons era arcistufo del fiume infinito di sprezzo e veleno che scaturiva da quella donna. Sentiva il sudore sulle tempie e si rinfrescò usando un documento importantissimo come ventaglio.
«Lei giura che non ne sapeva nulla» disse Simmons. «E io le credo.»
«Nel qual caso, come minimo è incompetente» replicò Vanita.
«Baxter è uno dei miei migliori detective ed è quella che conosce meglio questo caso, quella che ci si è dedicata più di ogni altro, a parte Fawkes.»
«Il quale è un’altra catastrofe pronta ad abbattersi su di noi. Ma credi davvero che non sappia che la sua psichiatra ha suggerito di fargli fare un passo indietro dall’indagine?»
«Be’, là fuori c’è un serial killer che, utilizzando un orribile cadavere che indicava fuori da una finestra, ha espresso, diciamo, delle aspettative riguardo al coinvolgimento di Fawkes nelle indagini» sbottò Simmons, un po’ più aggressivamente di quanto avrebbe voluto.
«Terrence, fatti un favore. Devi mostrare a tutti che condanni le azioni azzardate di Baxter.»
«Non sapeva niente! Cosa doveva fare di diverso, secondo te?»
Stava perdendo le staffe. Non desiderava altro che uscire da quella sauna.
«Tanto per cominciare, io...»
«No, aspetta un attimo. Non me ne frega nulla» ringhiò. «Perché tu non hai la minima idea di cosa stia affrontando la mia squadra là fuori, e come potresti? Non sei una poliziotta.»
Vanita sogghignò di fronte a quell’uscita imprevista.
«E tu invece lo sei, Terrence? Davvero? Seduto qui, dentro questa specie di armadietto che è il tuo ufficio? Hai deciso tu, consapevolmente, di diventare un dirigente. Meglio che inizi a comportarti come tale.»
Simmons fu momentaneamente colto alla sprovvista da quella risposta caustica. Non aveva mai pensato di essere isolato dal resto della sua squadra.
«Non ho intenzione di sospendere, riassegnare e nemmeno rimproverare ufficialmente Baxter per aver fatto il suo lavoro e aver rischiato la vita oggi.»
Vanita si mise in piedi, rivelando un outfit decisamente appariscente.
«Allora vedremo cos’ha da dire il commissario in proposito. Ho programmato una conferenza stampa per le cinque. Dovremo rilasciare una dichiarazione ufficiale su ciò che è accaduto stamattina.»
«Fattela da sola» disse brusco Simmons, alzandosi a sua volta.
«Come, scusa?»
«Non ne voglio più fare, di conferenze stampa. Non voglio più ascoltare le panzane politiche con cui ti pari il culo. Non voglio nemmeno più stare seduto qui con il mio, di culo, mentre i miei colleghi rischiano la pelle là fuori.»
«Ti consiglio di pensarci molto bene prima di continuare a parlare.»
«Oh, non sto dando le dimissioni. È solo che adesso ho cose molto più urgenti e utili da fare. E adesso vai, conosci la strada, no?»
Simmons se ne andò sbattendo la porta. Ripulì la scrivania di Chambers e accese il computer.
Baxter era alla sua postazione quando Edmunds rientrò in ufficio. Sobbalzò quando scorse Simmons, che era su Internet a leggere gli articoli più controversi di Garland. Correndo da lei, la abbracciò e, sorprendentemente, lei non si sottrasse.
«Ero preoccupato per te» le disse sedendosi.
«Ho dovuto rimanere nei paraggi fino a che... Per Garland.»
«Non aveva possibilità» disse Edmunds. Le spiegò quello che le aveva detto Joe e le raccontò anche della scoperta del tatuaggio.
«Dobbiamo cominciare da...»
«Tu devi cominciare da» lo corresse subito Baxter. «Mi hanno tolto dall’indagine.»
«Cosa?»
«Simmons mi ha detto che la comandante insiste che io sia sospesa. Come minimo, ora di lunedì verrò riassegnata. Simmons prenderà il mio posto e Finlay ha accettato di farti da babysitter.»
Edmunds non aveva mai visto Baxter così abbattuta. Stava per suggerirle di uscire insieme a lui dall’ufficio, prendere le foto a infrarossi e fare il giro degli studi di tatuaggi, quando il trasandato postino interno si avvicinò a loro.
«Detective Emily Baxter?» le chiese, porgendole una sottile busta scritta a mano e coperta di bolli di corrieri.
«Sono io.»
Prese la busta dalle sue mani e stava per aprirla quando si rese conto che l’uomo la stava fissando.
«Cosa?»
«Di solito le porto su dei fiori, no? Cioè, che fine hanno fatto tutti quei fiori?»
«Messi nei sacchetti per le prove, portati alla Scientifica e poi bruciati. Hanno ucciso un uomo» disse, in tono monocorde. «Grazie comunque per avermeli portati quassù.»
Edmunds sogghignò quando l’uomo, interdetto dalla risposta, si voltò e si allontanò barcollando senza dire una parola. Baxter strappò la linguetta della busta. Una sottile spira di magnesio cadde sulla scrivania. Lei e Edmunds si scambiarono un’occhiata preoccupata, e lui le porse un paio di guanti usa e getta. Baxter estrasse una foto che la ritraeva mentre saliva sull’ambulanza insieme alla barella su cui c’era Garland. Era stata scattata dalla prospettiva della numerosa folla assiepata a guardare il caos davanti all’albergo. Sul retro della fotografia era stato scritto a mano un messaggio.
Se non giocate secondo le regole, non lo farò nemmeno io.
«Si sta avvicinando all’indagine, proprio come avevi detto tu» osservò Baxter.
«Non può farne a meno» rispose Edmunds, esaminando da vicino la foto.
«La punteggiatura e la grammatica sono impeccabili.»
«Niente di sorprendente. Ovviamente ha un’ottima istruzione.»
«’Se non giocate secondo le regole, non lo farò nemmeno io’» lesse ad alta voce Baxter.
«Non mi convince.»
«Non credi che sia lui?»
«Oh, sì, è lui. Ma non mi convince. Non volevo parlartene oggi, dopo tutto quello che hai passato, ma...»
«Sto benissimo» insistette Baxter.
«C’è qualcosa che non mi torna. Perché ha ucciso Garland un giorno prima del previsto?»
«Per punirci. Per punire Wolf di non essere stato presente.»
«Questo è ciò che vuole farci credere. Ma ha rinnegato la parola data e così ha rinunciato a un punteggio perfetto. Lui lo vede come un fallimento.»
«Dove vuoi arrivare?»
«Qualcosa l’ha spinto a uccidere Garland in anticipo. È andato in panico. O ci siamo avvicinati troppo a lui oppure era sinceramente convinto che domani non sarebbe riuscito ad arrivare a Garland.»
«Stava per essere consegnato alla Protezione Testimoni.»
«E anche Rana, solo che Elizabeth Tate è arrivata prima. E poi, nessuno a parte te sapeva dove stava andando. Quindi, cos’è successo di diverso?»
«Io? Io ero al comando. Né la squadra né Wolf ne sapevano nulla.»
«Esatto.»
«Cosa intendi dire?»
«Sto dicendo che o accettiamo la possibilità che il killer ci abbia messi tutti sotto sorveglianza ed era convinto che stamattina sarebbe stata la sua ultima occasione prima che Garland sparisse...»
«Mi sembra improbabile.»
«...oppure c’è qualcuno a conoscenza dei dettagli dell’indagine che gli passa le informazioni.»
Baxter rise e scosse il capo.
«Be’, tu sì che sai come farti degli amici.»
«Spero di sbagliarmi» disse Edmunds.
«E ti sbagli. Chi di noi potrebbe volere Wolf morto?»
«Non ne ho idea.»
Baxter rifletté per un istante.
«Quindi cosa facciamo?» chiese.
«Ce lo teniamo per noi.»
«Ovvio.»
«E prepariamo una trappola.»