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Sabato 28 giugno 2014
Ore 3.50
Wolf cercò a tentoni il suo telefono cellulare, che a ogni vibrazione si spostava sempre più lontano da lui sul pavimento laminato. A poco a poco, l’oscurità iniziò a dissolversi rivelando le forme poco familiari del suo nuovo appartamento. Le lenzuola intrise di sudore aderirono al suo corpo, che scivolava sul materasso e si sporgeva verso quel fastidioso ronzio.
«Wolf» rispose, sollevato di averne azzeccata almeno una mentre cercava l’interruttore sulla parete.
«Sono Simmons.»
Wolf azionò l’interruttore e fece un profondo sospiro quando una debole luce giallastra gli ricordò dov’era. Fu tentato di spegnerla immediatamente. La piccola camera da letto era fatta di quattro pareti, un consunto materasso matrimoniale poggiato sul pavimento e una lampadina nuda appesa al soffitto. Una scatola che lo rendeva claustrofobico, anche per via dell’afa che la ammorbava per colpa del padrone di casa, il quale non aveva ancora rintracciato l’inquilino precedente per farsi dare le chiavi della finestra. Normalmente non sarebbe stato un problema, a Londra; tuttavia, Wolf era riuscito a far coincidere il suo trasloco con una delle rare ondate di caldo inglesi, che continuava da quasi due settimane.
«Che entusiasmo» disse Simmons.
«Che ore sono?» sbadigliò Wolf.
«Le quattro meno dieci.»
«Ma non ero di riposo, questo fine settimana?»
«Non lo sei più. Devi raggiungermi su una scena del crimine.»
«Accanto alla tua scrivania?» chiese Wolf, scherzando solo a metà visto che da anni non vedeva il suo capo uscire dall’ufficio.
«Divertente. Per questo caso, mi hanno lasciato uscire.»
«È così brutto?»
Ci fu una pausa all’altro capo della linea, poi Simmons rispose: «Piuttosto brutto, sì. Hai una penna?»
Wolf frugò in uno degli scatoloni impilati accanto alla porta e trovò una biro con cui scrivere sul dorso della mano.
«Trovata. Vai.»
Con la coda dell’occhio, notò un riflesso lampeggiare sulla credenza della cucina.
«Appartamento 108...» iniziò a dettare Simmons.
Quando entrò nella cucinetta malmessa, Wolf fu ipnotizzato dalle luci blu intermittenti che filtravano dalla piccola finestra.
«...Trinity Towers...»
«Hibbard Road, Kentish Town?» lo interruppe Wolf, abbassando lo sguardo verso la strada. C’erano auto della polizia, giornalisti e gli inquilini del palazzo di fronte che erano stati fatti evacuare.
«E tu come fai a saperlo?»
«Sono un detective.»
«Be’, allora sei anche il nostro sospettato numero uno. Muoviti.»
«Va bene. Devo solo...» disse Wolf, senza completare la frase perché Simmons aveva già riappeso.
Tra i riflessi lampeggianti, notò la spia arancione della lavatrice e ricordò di averci messo gli abiti da lavoro prima di andare a letto. Guardò gli scatoloni accatastati lungo le pareti. Erano tutti identici.
«Maledizione.»
Cinque minuti dopo, Wolf si fece largo tra la folla di spettatori che si erano assiepati fuori dal suo palazzo. Si avvicinò a un poliziotto e mostrò il tesserino, aspettandosi di poter oltrepassare tranquillamente il cordone. Ma il giovane agente gli sfilò il documento dalle mani e lo esaminò con attenzione, osservando scettico quell’uomo imponente vestito con un costume da bagno e una maglietta sbiadita dei Bon Jovi, del Keep the Faith Tour 1993.
«Agente Layton-Fawkes?» gli domandò, con voce dubbiosa.
Wolf fece una smorfia al suono così altisonante del proprio cognome. «Detective Fawkes, esatto.»
«Quello del massacro del tribunale? Quel Fawkes?»
«Si pronuncia William. Posso, adesso?» Wolf indicò con un gesto il palazzo di fronte.
Il giovane restituì a Wolf il tesserino e sollevò il cordone per farlo passare sotto.
«Devo accompagnarla su?» gli chiese.
Wolf abbassò lo sguardo sui boxer a fiori, le ginocchia nude e le scarpe da lavoro.
«Sa una cosa? Penso di cavarmela piuttosto bene da solo.»
Il poliziotto sogghignò.
«Quarto piano» disse a Wolf. «E stia attento se sale da solo, è un quartiere pericoloso.»
Wolf fece l’ennesimo sospiro profondo, entrò nell’androne che puzzava di candeggina e prese l’ascensore. I pulsanti del secondo e del quinto piano non c’erano, e un liquido marrone si era seccato raggrumandosi sulla pulsantiera. Impiegando tutte le sue abilità da detective per determinare se si trattasse di ruggine, Coca-Cola o cacca, usò un lembo della maglietta – il volto di Richie Sambora – per premere il pulsante del quarto piano.
Era salito in centinaia di ascensori identici, nella sua vita: scatole di metallo liscio, installate dai comuni in tutto il Paese. Non c’era copertura sul pavimento, nessuno specchio e nessuna luce né infisso. Non c’era assolutamente niente che degli sfortunati potessero distruggere o rubare per migliorare la propria qualità di vita, così si erano accontentati di scrivere oscenità su tutte le pareti con vernice spray. Wolf ebbe giusto il tempo di apprendere che Johnny Ratcliff era un ladro e un gay prima che le porte, scricchiolando, si aprissero al quarto piano.
Lungo il corridoio c’erano almeno dieci persone, sparse. Molti sembravano scossi e guardarono con disapprovazione l’abbigliamento di Wolf, tranne un uomo trasandato che portava un badge della Scientifica. L’uomo gli fece un cenno di approvazione e sollevò i pollici quando passò. C’era un odore molto debole, che aumentava a mano a mano che Wolf si avvicinava alla porta aperta in fondo al corridoio. Era l’inconfondibile odore familiare della morte. Chi lavora in quell’ambito impara presto a riconoscere quella mescolanza peculiare di aria stantia, merda, piscio e carne in decomposizione.
Wolf arretrò di scatto dalla soglia quando udì dei passi rapidi in avvicinamento dall’interno. Una giovane donna si precipitò fuori, cadde sulle ginocchia e vomitò nel corridoio, proprio ai suoi piedi. Wolf attese educatamente il momento giusto per chiederle di spostarsi, poi udì altri passi in avvicinamento. Istintivamente si spostò indietro prima che il detective Emily Baxter scivolasse nel corridoio.
«Wolf! Mi sembrava di averti visto appostato qua fuori» gridò entusiasta, rompendo il silenzio dell’androne. «Che figata, eh?»
Abbassò lo sguardo sulla donna che rimetteva sul pavimento in mezzo a loro.
«Puoi andare a vomitare da un’altra parte, per favore?»
La donna, umiliata, strisciò via. Baxter prese Wolf per un braccio, eccitata, e lo trascinò dentro l’appartamento. Aveva una decina d’anni di meno, ma era alta quasi quanto lui. I suoi capelli castano scuro sembravano neri nella penombra tetra dell’ingresso spoglio e, come sempre, aveva un trucco scuro che faceva sembrare i suoi splendidi occhi più grandi del normale. Vestita con una camicia aderente e pantaloni eleganti, scrutò la tenuta di Wolf con un sorriso malizioso.
«Non mi ero resa conto che fosse già carnevale. Da cosa sei vestito?»
Wolf non abboccò, sapendo che lei avrebbe presto perso l’interesse se lui non avesse raccolto la provocazione.
«Quanto sarà incazzato Chambers per essersi perso questa?» disse lei, raggiante.
«Personalmente anche io preferirei una crociera ai Caraibi a un cadavere» rispose Wolf, annoiato.
Gli occhi di Baxter si spalancarono dalla sorpresa. «Simmons non te l’ha detto?»
«Detto cosa?»
Lo precedette nell’appartamento affollato, illuminato fiocamente da una decina di torce elettriche messe in punti strategici. Anche se non era soffocante, l’odore si intensificò. Wolf capì che la fonte era vicina per via del numero di mosche che ronzavano febbrili attorno alla sua testa.
L’appartamento aveva soffitti alti, non conteneva mobilio ed era parecchio più ampio di quello di Wolf, ma non per questo più accogliente. Le pareti ingiallite erano cosparse di fori dai quali spuntavano come viscere vecchi cavi elettrici e imbottitura isolante impolverata. Né il bagno né la cucina sembravano essere stati sistemati dagli anni Sessanta.
«Detto cosa?» chiese ancora.
«Questo è il caso, Wolf» disse Baxter, ignorando la domanda. «Uno di quelli che ti capitano una sola volta nella carriera.»
Wolf, distratto, stava misurando mentalmente la camera degli ospiti, domandandosi se non gli chiedessero troppo d’affitto per quel monolocale butterato dall’altra parte della strada. Svoltarono l’angolo entrando nel salotto affollato e automaticamente esaminò il pavimento, scrutando fra le gambe e le attrezzature, in cerca di un corpo.
«Baxter!»
Lei si bloccò e si voltò a guardarlo, impaziente.
«Cos’è che Simmons non mi ha detto?»
Dietro di lei, un gruppo di persone, in piedi davanti a una grossa vetrata che occupava l’intera parete, si spostò. Prima che la poliziotta potesse rispondere, Wolf si allontanò a passo malfermo, gli occhi fissi su un punto sopra le loro teste. L’unica luce che non fosse stata portata dalla polizia, un faretto a illuminare un palcoscenico buio...
Il corpo nudo, contorto in una posizione innaturale, sembrava sospeso a trenta centimetri dalle assi irregolari del pavimento. Dava la schiena all’appartamento, guardava oltre l’enorme vetrata. Centinaia di fili quasi invisibili trattenevano la sagoma al suo posto, fissati all’altro capo a due ganci metallici industriali.
Wolf impiegò qualche secondo a identificare il particolare più sconvolgente di quella scena surreale: la gamba nera attaccata al busto bianco. Incapace di comprendere cosa aveva di fronte, si fece largo e avanzò. Avvicinandosi, notò le grosse cuciture che univano le membra spaiate, la pelle tesa nei punti in cui entrava e usciva il filo. Una gamba di un maschio di colore, l’altra di un bianco. Una grossa mano maschile da un lato, una femminile e abbronzata dall’altro. Capelli neri arruffati che scendevano su un busto femminile, pallido, con le lentiggini, magro.
Baxter lo raggiunse, godendosi visibilmente l’espressione disgustata di Wolf.
«Quello che non ti ha detto è questo: un cadavere... sei vittime!» sussurrò esaltata nel suo orecchio.
Lo sguardo di Wolf si abbassò sul pavimento. Era in piedi nel centro dell’ombra di quel corpo grottesco e, semplificate dalla proiezione, le membra sembravano ancor più disarmoniche, dissonanti, con fessure di luce che distorcevano le articolazioni tra gli arti e il corpo.
«Cosa ci fa la stampa già qui?» urlò il capo di Wolf, rivolto a nessuno in particolare. «Questo dipartimento ha più perdite del Titanic. Il primo che becco a parlare con un giornalista sarà sospeso, chiaro?»
Wolf sorrise, sapendo benissimo che quella di Simmons era una messinscena. Si conoscevano da dieci anni, ormai, e fino al caso di Khalid Wolf l’aveva considerato un amico. Sotto quella patina forzata di spavalderia, Simmons era a tutti gli effetti un poliziotto intelligente, competente e premuroso.
«Fawkes!» Simmons avanzò verso di loro. Spesso doveva sforzarsi per non chiamare i suoi sottoposti per soprannome. Era trenta centimetri più basso di Wolf, aveva passato la cinquantina e gli era cresciuta una pancetta da dirigente. «Non mi avevano detto che era carnevale.»
Wolf sentì Baxter ridacchiare. Decise di adottare la medesima tattica impiegata con lei e ignorò la provocazione.
Dopo un silenzio colmo d’imbarazzo, Simmons si rivolse a Baxter.
«Dov’è Adams?»
«Chi?»
«Adams. Il tuo nuovo protegé.»
«Edmunds?»
«Esatto, Edmunds.»
«E come faccio a saperlo?»
«Edmunds!» urlò Simmons sovrastando i rumori della stanza affollata.
«Lavori parecchio con lui adesso?» chiese Wolf a bassa voce, senza riuscire a nascondere la punta di gelosia nella sua voce, cosa che fece sorridere Baxter.
«Faccio il mio dovere di babysitter» mormorò lei. «È stato trasferito dall’ufficio frodi, ha visto pochi cadaveri finora. Non mi stupirei se più tardi si mettesse pure a piangere un po’.»
Il giovanotto che serpeggiava tra la folla verso di loro aveva solo venticinque anni, era magro come uno stecco ed era elegante e in ordine, esclusa la zazzera arruffata biondo rossiccio. Aveva un taccuino pronto in mano e sorrise volenteroso all’ispettore capo.
«Che sta facendo la Scientifica?» chiese Simmons.
Edmunds sfogliò il taccuino qualche pagina indietro.
«Helen ha detto che la sua squadra non ha ancora trovato nemmeno una goccia di sangue da nessuna parte in tutto l’appartamento. Hanno confermato che tutte e sei le parti del cadavere provengono da sei diverse vittime e sono state amputate in modo rozzo, probabilmente con una sega a mano.»
«E per caso Helen ha menzionato qualcosa che non sapessimo già?» sbottò Simmons.
«A dire il vero, sì. Per via dell’assenza di sangue e di costrizione dei vasi sanguigni attorno alle amputazioni...»
Simmons roteò gli occhi, poi consultò l’orologio.
«...abbiamo la certezza che le parti siano state rimosse post mortem» concluse Edmunds, con l’aria soddisfatta.
«Questo sì che vuol dire fare il poliziotto, Edmunds» disse Simmons, sarcastico, prima di urlare: «Qualcuno può far cancellare dai cartoni del latte l’avviso di scomparsa dell’uomo senza testa? Grazie!»
Il sorriso di Edmunds evaporò. Wolf incrociò lo sguardo di Simmons e sogghignò. Si erano trovati entrambi, in passato, vittime di simili battute. Faceva parte dell’addestramento.
«Intendevo dire che i proprietari di quelle gambe e braccia sono senza dubbio morti. Ne sapranno di più quando porteranno il cadavere in laboratorio» borbottò Edmunds, in imbarazzo.
Wolf notò il riflesso del corpo nella finestra scura. Rendendosi conto di non averlo ancora visto dal davanti, si spostò.
«E tu, che cos’hai per me, Baxter?» chiese Simmons.
«Non molto. Lievi danni alla serratura d’ingresso, forse scassinata. Degli agenti stanno interrogando i vicini, fuori, ma finora nessuno ha detto di aver visto qualcosa. Oh, e non c’è niente che non vada con l’elettricità: è stata tolta ogni lampadina dell’appartamento, tranne quella sopra la vittima... Cioè, le vittime. È come se fosse messa in mostra, una cosa del genere.
«E tu, Fawkes? Qualche idea? Fawkes?»
Wolf stava fissando il volto dalla pelle scura del cadavere.
«Chiedo scusa, ti diamo noia per caso?»
«No. Scusate. Nonostante il caldo, questa... cosa ha appena cominciato a puzzare, il che significa che o l’assassino ha ucciso tutte e sei le vittime ieri sera, cosa che mi pare improbabile, oppure ha tenuto i cadaveri sotto ghiaccio.»
«Concordo. Facciamo controllare da qualcuno se ci sono state effrazioni recenti in celle frigorifere, supermercati, ristoranti, dovunque ci siano celle frigorifere di dimensioni industriali» disse Simmons.
«E chiedete ai vicini se hanno sentito rumore di trapano da qui» aggiunse Wolf.
«È un rumore piuttosto comune» disse Edmunds, rimpiangendo quell’uscita non appena tre paia di occhi arrabbiati si posarono su di lui.
«Se questo è il capolavoro dell’assassino» proseguì Wolf, «non avrebbe mai rischiato che cadesse dal soffitto riducendosi a un ammasso di frattaglie ora del nostro arrivo. Quei ganci sono fissati a travi portanti con l’anima in metallo. I vicini devono averlo sentito, il rumore.»
Simmons annuì. «Baxter, di’ a qualcuno di occuparsene subito.»
«Capo, posso parlarti un attimo?» chiese Wolf mentre Baxter e Edmunds si allontanavano. Indossò un paio di guanti in lattice e sollevò una ciocca di capelli neri arruffati dal volto macabro della sagoma. La vittima era un uomo. Aveva gli occhi aperti, l’espressione calma, cosa inquietante data la fine chiaramente violenta. «Ti sembra familiare?»
Simmons fece il giro e raggiunse Wolf accanto alla finestra, per esaminare meglio quel volto. Dopo qualche istante, fece spallucce.
«È Khalid» disse Wolf.
«Impossibile.»
«Sicuro?»
Simmons guardò ancora il volto senza vita. A poco a poco la sua espressione scettica si trasformò in profonda preoccupazione.
«Baxter!» gridò. «Ho bisogno che tu e Adams...»
«Edmunds.»
«...andiate alla prigione di Belmarsh. Chiedete al direttore di portarvi direttamente da Naguib Khalid.»
«Khalid?» chiese Baxter, sotto shock, lanciando involontariamente un’occhiata a Wolf.
«Sì, Khalid. Chiamatemi non appena ce l’avete davanti vivo e vegeto. Andate!»
Wolf guardò il palazzo di fronte, in cui abitava. Molte finestre erano ancora buie, altre mostravano volti eccitati e cellulari che riprendevano lo spettacolo di sotto, sperando presumibilmente di filmare qualcosa di macabro da mostrare agli amici il mattino dopo. A quanto sembrava, non riuscivano a vedere dentro la scena del crimine, in penombra, altrimenti si sarebbero resi conto di essere in prima fila.
Wolf riusciva a vedere il suo appartamento, poche finestre più in là. Nella fretta di uscire, aveva lasciato tutte le luci accese. Notò uno scatolone di cartone, in fondo a una pila, con una scritta a pennarello: PANTALONI E CAMICIE.
«Ecco!»
Simmons si avvicinò a Wolf, strofinandosi gli occhi stanchi. Rimasero in silenzio ai lati del corpo appeso, osservando i primi segni del mattino inquinare il cielo scuro. Nonostante i rumori dentro la stanza, riuscivano a udire i canti sereni degli uccellini là fuori.
«Quindi, è o non è la cosa più sconvolgente che tu abbia mai visto?» disse Simmons, ma la battuta conteneva un umorismo stanco.
«Seconda per un pelo» replicò Wolf, senza distogliere lo sguardo dalle chiazze blu scuro del cielo.
«Seconda? Non so nemmeno se ho voglia di sapere cosa possa superare questa... questa cosa.» Simmons diede un’altra occhiata riluttante al collage di membra appese al soffitto.
Con delicatezza, Wolf picchiettò il dito sul braccio teso del cadavere. Il palmo della mano sembrava pallido in contrasto con la pelle abbronzata del braccio e le unghie dalla perfetta manicure, con lo smalto viola. Decine di fili sottili come seta sostenevano il braccio teso e altri ancora mantenevano puntato il dito indice.
Controllò che nessuno stesse origliando la loro conversazione e poi si sporse per sussurrare a Simmons:
«Sta puntando la finestra del mio appartamento».