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Sabato 28 giugno 2014

Ore 12.10

Negli uffici silenziosi si stava diffondendo sommessamente un’atmosfera di esasperazione e risentimento, a mano a mano che le ore sprecate trascorrevano con lentezza. La palese iniquità esibita garantendo un trattamento preferenziale al sindaco Turnble, a dispetto di tutte le altre vittime di seconda classe della città, era l’argomento discusso in parecchie conversazioni animate, benché condotte in sussurri. Baxter sospettava che questa rinnovata passione per l’eguaglianza, scoppiata improvvisamente tra alcuni degli uomini più sciovinisti e bigotti che avesse mai conosciuto, fosse radicata più nella loro autostima che in un effettivo desiderio di un mondo più giusto. Tuttavia, doveva ammettere che qualche ragione l’avevano.

Occhiate scettiche venivano lanciate periodicamente verso la sala interrogatori, quasi augurandosi che succedesse qualcosa che giustificasse quel supplizio. C’era un limite anche alle scartoffie noiose, che costituivano un inglorioso novanta per cento del lavoro di un poliziotto, da sbrigare di fila una dopo l’altra. Una manciata di agenti, al termine di un turno di tredici ore, aveva piazzato una lavagna mobile bianca di fronte al grottesco collage che Wolf aveva appiccicato alla parete. Impossibilitati a rientrare a casa, avevano spento le luci nel tentativo di riposare un po’ prima dell’inizio del turno seguente.

Simmons aveva perso le staffe con la settima persona che gli aveva chiesto un’esenzione speciale per uscire dall’isolamento, e da quel momento nessuno aveva più osato chiederglielo. Ciascuno di loro aveva valide ragioni, e lui era più che consapevole che le sue drastiche misure avrebbero avuto un impatto negativo, forse irrecuperabile, su altri casi ugualmente importanti, ma che altro poteva fare? Avrebbe preferito che lui e il sindaco non fossero amici, un particolare che sicuramente l’avrebbe tormentato in futuro, ma le sue decisioni sarebbero state comunque le stesse. Tutto il mondo stava a guardare la Metropolitan Police messa alla prova. Se si fossero dimostrati deboli, vulnerabili, incapaci di prevenire un omicidio annunciato, le ripercussioni sarebbero state devastanti.

Con imbarazzo di Simmons, la comandante si era piazzata nel suo ufficio, quindi lui si era trasferito temporaneamente alla scrivania libera del detective Chambers. Simmons si chiese se la notizia degli omicidi fosse già arrivata ai Caraibi e se l’esperto detective in vacanza sarebbe stato in grado di dare una svolta alle indagini.

Baxter trascorse la mattinata rintracciando il proprietario dell’appartamento in cui era stato rinvenuto il corpo. L’uomo era convinto che il vecchio appartamento fosse occupato da una coppia di sposini con un neonato. Baxter sospettò che la coppia avesse contribuito alla composizione del corpo esposto e non volle soffermarsi troppo sul destino di quel bambino indifeso. Tuttavia, scoprì con sollievo che non esistevano registrazioni del matrimonio e che i limitati dettagli forniti al padrone di casa erano falsi.

Quando lo richiamò un’ora dopo, l’uomo ammise di essere stato avvicinato in privato e di aver accettato del contante, lasciato nella cassetta postale. Le disse che aveva gettato tutte le buste, non aveva mai incontrato l’inquilino di persona e poi la implorò di non denunciarlo per evasione. Sicura che il fisco lo avrebbe comunque rintracciato prima o poi, e non avendo alcuna voglia di accollarsi altro lavoro, lei passò oltre. Aveva già sprecato ore per finire in un vicolo cieco.

Edmunds, da parte sua, si sentiva euforico, appollaiato sull’angolo della scrivania di Baxter. La sua posizione era dovuta in parte a quella della sua non-scrivania, situata direttamente sotto una ventola del soffitto attraverso cui filtrava una corrente continua di aria gelida che gli finiva proprio in testa; ma soprattutto, cosa più importante, era lì perché aveva ottenuto progressi significativi con il compito che Baxter gli aveva assegnato.

Incaricato di scoprire da dove provenisse il cibo della prigione, aveva scoperto rapidamente che per la maggior parte veniva preparato in sede, ma dopo uno sciopero della fame nel 2006, un’azienda di nome Complete Foods aveva ottenuto l’appalto per fornire cibo adeguato ai tanti prigionieri di fede musulmana. Una rapida telefonata alla prigione aveva confermato che Khalid era l’unico prigioniero a ricevere regolarmente la versione senza glutine dei pasti. Quando la Complete Foods ammise che stava indagando su un possibile caso di contaminazione dopo aver ricevuto due segnalazioni di gente finita in ospedale dopo aver consumato pasti di quel tipo, Edmunds trattenne a stento la propria eccitazione. Voleva far colpo su Baxter, che invece non stava andando da nessuna parte con la sua indagine.

Il supervisore della Complete Foods gli spiegò che i pasti erano preparati la notte, pronti per essere inviati a ospedali, prigioni e scuole nelle prime ore del mattino. Edmunds gli chiese di compilare un elenco degli impiegati che erano di turno quella notte e di preparare i video della sorveglianza, che sarebbero passati a ritirare il giorno seguente. Aveva appena preso il telefono per contattare le due società che avevano sporto reclamo per i pasti avariati, sicuro di conoscere già la diagnosi dei malcapitati e lo spiacevole esito, quando qualcuno gli picchiettò un dito sulla spalla.

«Scusa, collega, ma il capo vuole che tu vada a sostituire Hodge alla porta. Mi serve per una faccenda» disse l’uomo sudato, che chiuse gli occhi in estasi sotto il getto di aria fredda.

Dalla vaghezza di quella scusa, Edmunds sospettò che in realtà gli stesse chiedendo di soccorrere un amico, sollevandolo dal noiosissimo incarico di rimanere seduto davanti a una porta un’ora dopo l’altra. Cercò lo sguardo di Baxter per chiederle aiuto, ma lei lo liquidò con un cenno. Rimise il telefono al suo posto e, senza alcun entusiasmo, andò a sostituire il piantone davanti alla sala interrogatori.

Edmunds cambiò posizione e appoggiò la schiena stanca alla porta che sorvegliava da quasi cinquanta minuti. La mancanza di sonno iniziava a farsi sentire, ora che non aveva più niente da fare per tenere la mente occupata, e la quiete circostante, permeata di conversazioni a bassa voce, rumore di tasti del computer e ronzii della fotocopiatrice, sembrava una ninna nanna. Gli si abbassarono le palpebre. Non aveva mai desiderato tanto qualcosa come poter chiudere gli occhi in quel momento. Inclinò la testa fino a posare la nuca sulla porta e il sonno fu sul punto di vincerlo quando inaspettatamente udì una voce da dentro la stanza.

«La politica è una cosa strana.»

Wolf sussultò all’uscita improvvisa, ma evidentemente pianificata, del sindaco. I due uomini sedevano in silenzio da quasi cinque ore di fila. Wolf appoggiò sul tavolo il fascicolo che stava leggendo e attese che l’altro si spiegasse. Il sindaco era seduto con lo sguardo a terra. Quando la pausa si allungò in un silenzio imbarazzato, Wolf si chiese se il sindaco si fosse reso conto di aver parlato a voce alta. Con esitazione, allungò una mano per riprendere il fascicolo, ma a quel punto il sindaco si decise a proseguire il discorso.

«Uno vuole fare del bene, ma non può farlo senza averne il potere. Ma non si può avere potere senza ottenere voti, e i voti si ottengono solo compiacendo il pubblico. Ma a volte compiacere il pubblico significa sacrificare proprio il bene che volevi fare. La politica è un gioco complicato.»

Wolf non aveva la minima idea di quale fosse la risposta appropriata a quella particolare perla di saggezza, quindi attese, a disagio, che il sindaco continuasse oppure si azzittisse di nuovo.

«Inutile far finta che io le piaccia, Fawkes.»

«Va bene» rispose Wolf, un po’ troppo rapidamente.

«Il che vuol dire che ciò che sta facendo per me oggi è ancor più umiliante.»

«Sto facendo il mio lavoro.»

«Anche io. È questo che voglio che lei sappia. L’opinione pubblica non era a suo favore, perciò nemmeno io lo ero.»

Wolf riteneva che l’espressione «non a suo favore» fosse poco azzeccata per descrivere l’implacabile ondata di condanne, le continue riprovazioni della sua condotta fatte per soddisfare l’appetito dell’opinione pubblica, stufa della corruzione, e il ritratto senza appello di Wolf come simbolo dell’immoralità che l’aveva reso un bersaglio contro cui i virtuosi potevano finalmente sfogare la loro rabbia.

E cavalcando quell’ondata inesauribile di sostegno dell’opinione pubblica contro l’inefficacia della polizia, il sindaco aveva svelato il suo rivoluzionario piano Polizia e gestione del crimine. Aveva ripetutamente invocato una punizione esemplare per Wolf durante una conferenza davanti a una sala piena di suoi pari, durante la quale aveva coniato lo slogan ormai famoso: «Pulire la polizia».

Wolf ricordava il voltafaccia quasi comico dopo che Naguib Khalid era stato arrestato la seconda volta. Ricordava come l’uomo che aveva di fronte, utilizzando ancora Wolf come simbolo, avesse sbandierato la sua Strategia per le diseguaglianze sanitarie condannando l’inadeguatezza del sostegno medico e psicologico «ai nostri uomini migliori e più coraggiosi» e ai londinesi in generale.

Guidati da una figura carismatica e insolitamente popolare, i sostenitori del sindaco avevano applaudito e manifestato con obbedienza rispondendo a tempo alle sue manipolazioni. Le stesse voci appassionate che avevano chiesto a gran voce la testa di Wolf adesso richiedevano a gran voce che fosse curato. C’era chi era stato intervistato in televisione chiedendo con uguale ardore prima una cosa e poi l’altra.

Non c’era alcun dubbio che senza l’influenza del sindaco e la sua tanto pubblicizzata crociata a favore del rientro in servizio di uno degli «eroi in difficoltà» che piacevano alla gente, Wolf sarebbe stato ancora dietro le sbarre. Tuttavia, sapevano entrambi che non gli era debitore di nulla.

Wolf rimase chiuso in un silenzio mortale, temendo ciò che sarebbe uscito se avesse osato aprire la bocca.

«Ha fatto la cosa giusta, comunque» continuò pomposo il sindaco, senza minimamente accorgersi del drastico cambiamento d’umore di Wolf. «C’è una differenza tra corruzione e disperazione. Adesso lo so. Personalmente, avrei preferito che lei fosse riuscito ad ammazzare quel bastardo pervertito in tribunale. L’ultima ragazzina bruciata viva aveva l’età di mia figlia.»

La respirazione del sindaco si era regolarizzata durante le ore di quiete tesa, ma parlare così a lungo annullò i progressi fatti. Agitò l’inalatore blu e il rumore metallico prodotto dai residui di farmaco contro le pareti del tubetto non lo sorprese. Era in overdose, aveva consumato la dose settimanale di Salbutamol da quando era entrato in quella saletta. Per nulla preoccupato, si fece un’altra dose e trattenne il fiato prezioso più a lungo che poté.

«È da tanto tempo che volevo dirglielo» riprese. «Non c’è mai stato nulla di personale. Stavo solo facendo...»

«Il suo lavoro, certo» concluse con amarezza Wolf. «Capisco. Stavate tutti facendo il vostro lavoro: la stampa, gli avvocati, l’eroe che mi ha rotto il polso per allontanarmi da Khalid. Lo capisco».

Il sindaco annuì. Non era sua intenzione irritare Wolf, ma adesso che aveva detto quello che pensava si sentiva meglio. Nonostante l’inevitabilità della sua situazione attuale, avvertì un piccolo peso sganciarsi dallo stomaco, un peso che si portava dentro da troppo tempo. Aprì la valigetta e prese il pacchetto di sigarette.

«Le dispiace?»

Wolf guardò incredulo l’uomo col respiro affannato. «Sta scherzando, vero?»

«Abbiamo tutti i nostri vizi» disse il sindaco, senza scusarsi. La sua pomposità non scemò affatto mentre gli faceva le scuse a suo modo, anzi: la sua autorità adesso aveva mano libera visto che non si sentiva più in alcun modo in difetto con Wolf. «Se vuole che rimanga chiuso in questa stanza per altre undici ore, mi aspetto che non mi contraddica. Una adesso, una all’ora di cena, tutto qui.»

Wolf stava per protestare quando, con aria di sfida, il sindaco si infilò la sigaretta tra le labbra, accese l’accendino e, con la mano a coppa a proteggerla dall’aria condizionata, avvicinò la fiamma al volto.

Per un breve istante, i due uomini si fissarono, incapaci di comprendere cosa stesse accadendo. Wolf vide la fiamma attecchire al filtro della sigaretta, in prossimità della bocca del sindaco, per poi consumargli in un secondo l’intera parte inferiore del volto. Il sindaco prese fiato per urlare, ma l’inferno seguì il suo respiro riempiendogli il naso, la bocca e i polmoni.

«Aiuto!» gridò Wolf, avvicinandosi all’uomo che stava bruciando vivo, in silenzio. «Ho bisogno d’aiuto!»

Afferrò le braccia del sindaco che si agitavano, senza saper bene cosa fare. Edmunds si precipitò dentro e rimase bloccato a bocca aperta. Il sindaco fece un orrendo colpo di tosse gutturale che inondò il braccio sinistro di Wolf di sangue schiumoso e fuoco liquido. Per un momento Wolf perse la presa sul braccio che si contorceva e fu colpito pesantemente al volto. La manica della sua camicia prese fuoco. Capì che se solo fosse riuscito ad avvicinarsi abbastanza da chiudere il naso e la bocca del sindaco, il fuoco, senza ossigeno ad alimentarlo, si sarebbe estinto subito.

Edmunds era tornato in corridoio, mentre l’allarme antincendio partiva. Tutte le persone dentro l’ufficio scattarono in piedi, guardandolo strappare da una parete una coperta ignifuga. Vide Simmons correre tra le scrivanie verso la sala interrogatori. Edmunds rientrò. Gli spruzzatori erano entrati in azione, ma la pioggia sui due uomini produceva più danni che benefici. A ogni boccata d’acqua che l’uomo in panico sputava nella stanza, le fiamme si diffondevano, come se stesse letteralmente respirando fuoco. Wolf stava ancora tentando di bloccarlo a terra quando Edmunds sollevò la coperta e si lanciò verso entrambi. Caddero tutti e tre a terra sul pavimento bagnato.

Simmons entrò sguazzando e si raggelò, rivoltato, quando Edmunds sollevò la coperta dal corpo devastato dell’amico che era stato un bell’uomo fino a poco prima. Quando capì che l’aria che respirava puzzava di carne ustionata ebbe dei conati. Altri due agenti entrarono di corsa mentre Simmons indietreggiava e usciva. Uno di loro gettò un’altra coperta addosso al braccio di Wolf, ancora in fiamme, mentre Edmunds tastava il collo del sindaco in cerca di una pulsazione carotidea e si sforzava di udire un respiro uscire dalla bocca devastata.

«Non c’è battito!» gridò, senza sapere chi ci fosse nella stanza con lui.

La camicia di Savile Row si disintegrò fra le sue mani quando la aprì e iniziò il massaggio cardiaco, contando ad alta voce. Ma ogni volta che premeva sullo sterno del sindaco, fuoriuscivano sangue e brandelli di tessuto carbonizzato dalla sua gola squarciata. Le primissime cose che gli avevano insegnato al corso di pronto soccorso erano l’ABC: senza una via d’aria aperta, il massaggio cardiaco non poteva salvarlo. Edmunds a poco a poco rallentò fino a fermarsi, e si lasciò scivolare sul pavimento fradicio. Alzò lo sguardo verso Simmons, che era in piedi appena fuori dalla porta.

«Mi dispiace, signore.»

I capelli zuppi di Edmunds sgocciolavano sul suo volto. Chiuse gli occhi e cercò di dare un senso agli eventi surreali dei due minuti e mezzo appena trascorsi. Da qualche parte, in lontananza, udiva le sirene avvicinarsi.

Simmons rientrò nella sala interrogatori. Aveva un’espressione indecifrabile, gli occhi puntati sul cadavere bruciato del suo amico. Costretto a distogliere lo sguardo da un’immagine che sapeva l’avrebbe tormentato per il resto della sua vita, rivolse la propria attenzione a Wolf, che era in ginocchio, dolorante, e si stringeva il braccio. Simmons lo afferrò per la camicia e lo tirò in piedi, scagliandolo contro la parete. Tutti i presenti ne furono colpiti.

«Dovevi proteggerlo!» urlò Simmons con occhi colmi di lacrime, sbattendo ripetutamente Wolf contro il muro. «Dovevi sorvegliarlo, era compito tuo!»

Edmunds si rimise in piedi prima che chiunque altro reagisse e bloccò le braccia del suo capo. Seguendo il suo esempio, gli altri due agenti e Baxter, che era appena comparsa sulla soglia, allontanarono di forza Simmons da Wolf e lo portarono fuori dalla stanza. Chiusero la porta uscendo, per preservare la scena del crimine, e lasciarono Wolf da solo con quel grottesco cadavere.

Wolf scivolò di schiena lungo la parete e si raggomitolò in un angolo. Stupefatto, si tastò la nuca e poi fissò il sangue sulle dita, confuso. Era circondato da una miriade di fiammelle oleose, che ancora ardevano con vigore sulla superficie della marea crescente, come lanterne d’acqua giapponesi che guidavano gli spiriti perduti nel mondo dei morti. Appoggiò la testa alla parete e osservò le fiammelle estinguersi lentamente sotto la pioggia. Lasciò che l’acqua lavasse il sangue dalle sue mani.