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Sabato 28 giugno 2014
Ore 7.19
Edmunds era quasi certo che Baxter avesse travolto una bicicletta a Southwark. Chiuse gli occhi mentre sfrecciavano lungo il fiume contromano, sfiorando per un pelo una vagonata di pedoni che cercavano di attraversare la strada alla fermata della metropolitana di Temple.
L’Audi di Baxter aveva i lampeggianti blu nascosti dietro la griglia del radiatore, invisibili quando erano spenti e, a giudicare dagli incidenti che stavano evitando per un soffio, non troppo facili da notare nemmeno quando erano accesi. Appena lei rientrò sulla corsia corretta, serpeggiando veloce nel traffico, Edmunds allentò la presa sulla maniglia. Durante una pausa di silenzio del motore, quando furono costretti a star dietro a un bus, si accorse che il telefono suonava. Una foto di Tia, una donna di colore sui venticinque anni, molto attraente, riempì lo schermo.
«Ehi, tesoro, tutto bene?» urlò nel telefono.
«E tu? Sei scomparso nel cuore della notte e ho visto le notizie e... Volevo solo sapere come stai.»
«Non è il momento migliore, T. Posso richiamarti tra un po’?»
Tia parve delusa. «E va bene. Puoi comprare del latte mentre torni a casa stasera?»
Edmunds prese il taccuino e scrisse un appunto subito sotto la definizione di tetrodotossina.
«E degli hamburger di manzo» aggiunse lei.
«Ma sei vegetariana!»
«Hamburger!» ruggì Tia.
Li aggiunse alla lista della spesa.
«E Nutella.»
«Ma che cosa devi cucinare, si può sapere?» le chiese.
Baxter lanciò uno sguardo a Edmunds, che fece uno strillo da ragazzina con gli occhi sbarrati dal terrore. Lei tornò a guardare la strada e sterzò violentemente, evitando per un pelo un’altra macchina.
«Merda!» rise, sollevata.
«Ok, va bene» disse Edmunds, con il fiato corto. «Devo andare. Ti amo.»
Oltrepassarono la barriera di sicurezza e scesero la rampa del garage sotto New Scotland Yard. Il saluto di Tia fu troncato a metà quando il segnale scomparve.
«La mia fidanzata» le spiegò Edmunds. Sorrise. «È di ventiquattro settimane.»
Baxter lo guardò impassibile.
«Incinta di ventiquattro settimane, intendo.»
L’espressione della poliziotta non mutò.
«Congratulazioni. Stavo giusto pensando che i poliziotti dormono fin troppo, ma un bambino in arrivo ti sistemerà a dovere.»
Baxter parcheggiò, più o meno, l’auto e si voltò a guardare Edmunds.
«Senti, non ce la puoi fare. Perché non la smetti di farmi perdere tempo e non torni alle Frodi?»
Scese e sbatté la portiera, lasciando Edmunds da solo. La reazione di lei l’aveva scosso, non per via della sua schiettezza o per il totale disinteresse verso la sua imminente paternità. Invece, lo preoccupava il sospetto che lei fosse la prima persona a dirgli la verità.
E se avesse avuto ragione?
L’intero dipartimento della Omicidi si era concentrato nella sala riunioni, inclusi coloro che non erano direttamente coinvolti nel caso ma che sarebbero stati comunque condizionati dall’isolamento di emergenza. Il sistema di aria condizionata non era all’altezza della situazione: soffiava una debole brezza attraverso le ventole, sollevando gli angoli delle fotografie appese al tabellone sulla parete. L’enorme ricostruzione della scena del crimine sembrava ondeggiare lievemente, proprio come aveva fatto il vero cadavere appeso al soffitto alto.
Simmons e Vanita stavano parlando da più di cinque minuti. Il loro pubblico iniziava a mostrare segni di irrequietudine mano a mano che la temperatura nella stanza saliva.
«...attraverso l’entrata del garage. A quel punto metteremo al sicuro il sindaco Turnble nella sala interrogatori uno» disse Simmons.
«Meglio usare la due» intervenne qualcuno. «Nella uno c’è ancora il tubo che perde, e dubito che il sindaco voglia aggiungere la tortura cinese della goccia all’elenco dei guai di oggi.»
Ci fu qualche sporadica risata, presumibilmente da parte di chi aveva condotto interrogatori non ufficiali nella sala uno proprio per quella ragione.
«Sala due, allora» concesse Simmons. «Finlay, è tutto pronto?»
«Sissignore.»
Simmons non sembrò convinto della risposta. Wolf diede di gomito all’amico senza farsi vedere.
«Ah, ho detto di lasciar entrare Emily e... e...»
«Edmunds» gli mormorò Wolf.
«Come si chiama di nome?» sibilò Finlay di rimando.
Wolf fece spallucce. «Edmund?»
«E Edmund Edmunds. Ci sono addetti alla sicurezza a tutte le porte, i ragazzi armati della DPG sono in garage per l’arrivo e i cani hanno ispezionato il posto. Abbiamo chiuso tutte le tende a questo piano e bloccato tutti gli ascensori, il che vuol dire che dovremo usare le scale... O meglio, dovrà usarle Will.»
«Eccellente» commentò Simmons. «Fawkes, quando sarai con il sindaco un agente armato vi scorterà fin quassù. Tieni a mente che è un grosso edificio e non conosciamo tutti quelli che ci sono. Una volta che sarete nella sala interrogatori, ci rimarrete fino a nuovo ordine.»
«Per quanto tempo?» chiese Wolf.
«Fino a che non avremo la certezza che il sindaco è al sicuro.»
«Vi faccio portare un vaso da notte» disse un arrogante detective di nome Saunders, ridendo alla propria battuta.
«In effetti mi stavo chiedendo cosa c’è per pranzo» rispose Wolf.
«Pesce palla» disse Saunders, mettendo alla prova la pazienza di Simmons.
«Lo trovi tanto divertente, Saunders?» urlò Simmons, reagendo un po’ eccessivamente a beneficio della comandante. «Fuori di qui!»
Il detective dalla faccia da topo balbettò come uno scolaretto sgridato.
«È fisicamente impossibile... Per via dell’isolamento.»
«Allora stai seduto e stai zitto.»
Baxter e Edmunds entrarono nella sala riunioni, scegliendo il momento peggiore.
«Gentile da parte vostra unirvi a noi. Ho una lunga lista di deboli indizi da farvi seguire.» Simmons gettò a Baxter un incartamento, che lei passò subito a Edmunds.
«Cosa ci siamo persi?» chiese Baxter.
«Io e Will siamo di sorveglianza e protezione» le rispose Finlay. «Tu e Edmund Edmunds dovete identificare i pezzi di corpo mentre Saunders stava...»
«Facendo lo stronzo?» suggerì Baxter mettendosi a sedere.
Finlay annuì, grato che lei gli avesse risparmiato di infrangere la regola contro le imprecazioni.
«Ok, prendete posto» ordinò Simmons. «Bene, ora che siete tutti qui: abbiamo sei vittime cucite insieme, una minaccia di morte nei confronti del sindaco e un elenco di altri cinque obiettivi.» Continuò ignorando gli sguardi curiosi di tutta la stanza. «Qualcuno ha qualche...»
«E poi c’è il fatto che il pupazzo mostruoso indicava la finestra di Will» interruppe Finlay, allegro.
«E c’è quello, sì. Qualcuno ha qualche teoria?» Per tutta risposta Simmons ottenne una stanza piena di sguardi vacui. «Nessuno?»
Esitando, Edmunds alzò una mano. «È una sfida, signore.»
«Avanti.»
«All’università ho scritto una dissertazione esaminando le ragioni per cui i killer mandano dei messaggi ai media o alla polizia: il killer dello Zodiaco, l’Happy Face Killer...»
«Il Killer di Faust, il cattivone di Seven» aggiunse Saunders, imitando il tono di Edmunds e ottenendo qualche risata di scherno e un’occhiataccia da parte di Simmons.
«Ma tu non sei il tizio del reparto Frodi?» chiese qualcuno.
Edmunds li ignorò.
«Spesso, ma non sempre, i loro messaggi contengono prove irrefutabili per dimostrare che sono loro i veri assassini» continuò. «A volte si tratta di dettagli che non sono stati resi pubblici. Altre volte si tratta di qualcosa di più sostanziale.»
«Come le fotografie che ha mandato alla moglie di Fawkes oggi» disse Vanita, senza rendersi conto della gaffe.
«Ex moglie» la corresse Wolf.
«Esatto. E in casi molto rari si tratta di una specie di richiesta d’aiuto, un modo di implorare la polizia di fermarlo, di impedirgli di uccidere ancora. In questi casi i killer sono convinti di essere soltanto delle vittime dei loro impulsi incontrollabili. Oppure non tollerano l’idea che qualcun altro prenda il merito del loro lavoro. In entrambi gli scenari, in modo conscio o inconscio, l’intenzione finale è sempre la stessa: farsi prendere.»
«E tu credi che questo sia uno di quei rari casi?» gli domandò Vanita. «Perché?»
«L’elenco, tanto per cominciare... Gli orari così precisi... L’esca lanciata alla stampa... Credo che il killer si manterrà alla larga, per saggiare il terreno, ma non riuscirà a resistere a lungo alla tentazione di avvicinarsi sempre di più all’indagine. A ogni omicidio diverrà più sicuro di sé, il suo complesso di superiorità si alimenterà allo spasimo e inizierà a correre rischi sempre maggiori. E alla fine, sarà lui a venire da noi.»
L’intera sala fissò Edmunds, sorpresa.
«Mi sa che è la prima volta che sento la tua voce» disse Finlay.
Edmunds fece spallucce, imbarazzato.
«Ma perché io?» chiese Wolf. «Perché non puntare quell’orribile dito verso la finestra di qualcun altro? Perché mandare le foto a mia moglie?»
«Ex moglie» lo corressero in coro Baxter e Finlay.
«Perché la mia...» Wolf si fermò. «Perché io?»
«Sarà per via della tua faccia» lo prese in giro Finlay.
Gli occhi si puntarono tutti su Edmunds, in attesa.
«È molto raro che un serial killer scelga un individuo invece della polizia nel suo insieme, ma succede, e quando succede le ragioni sono sempre personali. In un certo senso, è una lusinga. Evidentemente ritiene Wolf, e soltanto Wolf, un avversario alla sua altezza.»
«Ah, allora va bene. Purché lo intenda in senso buono» osservò Wolf.
«Chi altro c’è su quella lista, si può sapere?» disse Baxter, pur di deviare la conversazione su un argomento che Edmunds non avesse trattato in una dissertazione.
«Rispondo io, Terrence» disse Vanita facendosi avanti. «In questa fase abbiamo deciso di non divulgare quest’informazione perché, A, non vogliamo diffondere il panico; B, in questo momento dovete concentrarvi sul sindaco; e C, non abbiamo la certezza che la minaccia sia fondata, e l’ultima cosa di cui questo dipartimento ha bisogno è un’altra querela.»
Wolf avvertì diverse teste girarsi in accusa verso di lui.
La linea interna della sala riunioni squillò, e il gruppo ascoltò la risposta di Simmons.
«Procedete pure. Grazie.» Fece un cenno d’assenso a Vanita.
«Ok, gente, date il vostro meglio oggi. La seduta è aggiornata.»
Quando Wolf raggiunse il parcheggio sotterraneo, la Mercedes del sindaco era già posteggiata. Diversamente dal resto dell’edificio, i garage mancavano del beneficio dell’aria condizionata e il calore che saliva dall’asfalto, intriso dell’odore di gomma, benzina e fumi di scarico, era quasi soffocante. Le opprimenti luci al neon che illuminavano tutto tranne gli angoli più bui ingannarono l’orologio interno di Wolf. Esausto com’era si chiese se fosse già di nuovo sera e controllò l’ora: le sette e trentasei del mattino.
Mentre si avvicinava all’auto, una delle portiere posteriori si aprì e il sindaco scese, con grande delusione del suo autista ormai inutile.
«Qualcuno può dirmi per cortesia che diavolo sta succedendo?» esclamò sbattendo la portiera.
«Signor sindaco, sono il detective Fawkes.»
Wolf gli porse la mano per salutarlo, e la rabbia del sindaco evaporò all’istante. Parve momentaneamente a disagio, poi riprese compostezza e strinse con calore la mano di Wolf.
«Finalmente la incontro di persona, detective» disse raggiante, come se dovesse mettersi in posa per una fotografia all’evento di beneficenza cui avrebbe dovuto partecipare di lì a poco.
«Mi segua, prego» disse Wolf, indicando l’agente armato che li avrebbe accompagnati di sopra.
«Un attimo, per favore» disse il sindaco.
Wolf tolse la mano che, inconsciamente, aveva posato sulla schiena dell’uomo nel tentativo di mettergli fretta.
«Vorrei capire che cosa sta succedendo. E lo vorrei sapere adesso.»
Wolf si sforzò di ignorare il tono sostenuto. Rispose a denti serrati: «Simmons preferirebbe informarla di persona».
Il sindaco non era abituato a sentirsi dire di no, ed ebbe un istante di esitazione.
«E sia. Anche se, devo dire, mi sorprende che Terrence l’abbia mandata qua a farmi da babysitter. L’ho sentita alla radio stamattina. Non dovrebbe occuparsi del caso di quel serial killer?»
Wolf sapeva che non avrebbe dovuto dire nulla, ma doveva far sì che quell’uomo si desse una mossa e si stava già spazientendo per le sue maniere saccenti. Si voltò verso il sindaco e lo guardò negli occhi.
«È quello che sto facendo.»
Il sindaco era più veloce di quanto sembrava.
Se non fosse stato per l’asma cronica e per i danni che decenni di sigarette avevano provocato ai suoi polmoni, non sarebbero riusciti nemmeno a stargli dietro. I tre uomini rallentarono il passo solo quando si trovarono nell’ingresso principale.
L’ampia area minimalista era una delle poche a essersi liberata di qualsiasi traccia del design anni Sessanta. Il commissario aveva rifiutato senza appello la richiesta di Simmons di chiudere anche la lobby e la tromba delle scale mentre facevano salire il sindaco, dichiarando che le guardie armate, le telecamere di sicurezza, i metal detector e una quantità enorme di agenti di polizia lo rendevano già l’edificio più sicuro di tutta la città.
La lobby era più calma di quanto lo sarebbe stata durante la settimana, anche se c’erano comunque parecchie persone che si muovevano o indugiavano nei pressi del caffè al centro. Individuando uno spazio libero nel traffico di pedoni, Wolf aumentò il passo e si diresse verso la porta che conduceva alle scale.
Il sindaco, adesso visibilmente teso, fu il primo a notare l’uomo calvo che entrò dall’ingresso e cominciò a correre verso di loro.
«Detective!»
Wolf si voltò, vide la minaccia e spinse il sindaco alle sue spalle, mentre l’agente di scorta alzava la pistola.
«Sul pavimento! Giù sul pavimento! Adesso!» urlò l’agente con quanto fiato in gola all’uomo che portava un sacchetto di carta marrone.
Il bersaglio si fermò di colpo e alzò le mani, terrorizzato.
«Sul pavimento!» L’agente dovette ripetere ogni ordine due volte perché l’altro comprendesse. «Lascia a terra il sacchetto. Mettilo giù!»
L’uomo scagliò lontano il sacchetto, facendolo scivolare sul pavimento lucido in direzione del sindaco. Non sapendo se fosse un gesto deliberato o semplicemente l’errore di un uomo nervoso, Wolf fece arretrare di parecchi passi il sindaco.
«Cosa c’è dentro il sacchetto?» urlò l’agente all’uomo, che alzò lo sguardo verso Wolf e il sindaco. «Sguardo a terra! Guarda il pavimento! Cosa. C’è. Dentro. Il. Sacchetto?»
«La colazione!» gridò l’uomo, spaventato.
«Perché correvi?»
«Sono in ritardo! Di venti minuti! Lavoro nel reparto informatico.»
L’agente del DPG mantenne la mira sull’uomo e indietreggiò verso il sacchetto. Con cautela, si inginocchiò e poi lentamente, molto lentamente, guardò dentro.
«Abbiamo una specie di panino, qui» disse a Wolf, come se stesse identificando un ordigno sospetto.
«Che cosa c’è dentro?» chiese Wolf.
«Cosa c’è dentro?» ruggì l’agente.
«Prosciutto e formaggio!» urlò l’uomo sul pavimento.
Wolf sorrise. «Confiscalo!»
Raggiunsero l’ufficio senza ulteriori contrattempi. Wolf ringraziò l’agente di scorta e poi Finlay li condusse all’interno. La salita di sette piani aveva avuto un prezzo: Wolf udiva un fischio acuto ogni volta che il sindaco respirava.
L’ufficio era soffocante con tutte le tende tirate, l’aspra luce artificiale un’imitazione scadente della luce vera. Avanzarono rapidamente nella stanza, in mezzo a facce che li osservavano da dietro i monitor dei computer e a mazzi di fiori. Simmons si affrettò fuori dall’ufficio quando li scorse e strinse la mano del suo vecchio amico.
«Mi fa piacere vederti, Ray» disse, sincero, prima di rivolgersi a Wolf. «Problemi al piano terra?»
«Falso allarme» bofonchiò Wolf masticando un boccone di panino al prosciutto e formaggio.
«Terrence, ti sarei grato se mi spiegassi cosa sta succedendo» disse il sindaco.
«Ma certo. Parliamone in privato.» Simmons lo portò nella sala interrogatori e chiuse la porta. «Ho mandato un’autopattuglia a casa tua. Posso confermarti che Melanie e Rose sono sane e salve.»
«Lo appr...» La respirazione del sindaco era peggiorata da quando era entrato nell’ufficio. Fu colpito da un accesso di tosse e singulti. Fin troppo familiare con quella sensazione, come se qualcuno gli si fosse seduto sul petto, frugò nella valigetta e stavolta prese l’inalatore blu. Aspirò due volte, profondamente, e parve sollevato. «Lo apprezzo, grazie.»
Il sindaco rimase in attesa. Cogliendo il segnale, Simmons iniziò a camminare avanti e indietro nella stanza.
«Ok, da dove comincio? Immagino tu abbia sentito dei sei corpi che abbiamo trovato stamani. Be’, le cose non sono così semplici...»
Nel quarto d’ora seguente Simmons gli spiegò tutto ciò che era accaduto quella mattina. Wolf rimase in silenzio. Lo sorprendeva sentire il suo capo rivelare al sindaco dei dettagli che di certo non volevano finissero in pasto alla stampa. Ma Simmons, ovviamente, si fidava del suo amico. E poi, Wolf ragionò, il sindaco aveva il diritto di essere informato. L’unico particolare che Simmons rifiutò di condividere, anche quando il sindaco glielo chiese esplicitamente, fu quello relativo agli altri cinque nomi della lista.
«Non voglio che ti preoccupi. Sei più che protetto qui» lo rassicurò Simmons.
«Ed esattamente quanto tempo ti aspetti che rimanga chiuso qui dentro, Terrence?»
«Direi che la cosa più sensata è tenerti qui almeno fino a mezzanotte. A quel punto, il killer avrà fallito. Rinforzeremo la sicurezza attorno a te, naturalmente, ma potrai tornare alla normalità... relativamente parlando.»
Il sindaco annuì, rassegnato.
«Ora, se vuoi scusarmi, prima prendiamo questo bastardo prima potrai andartene» disse Simmons, con tono sicuro, spostandosi verso la porta. «Fawkes rimarrà con te.»
Il sindaco si alzò per parlare a tu per tu con Simmons. Wolf si voltò, come se mettersi faccia al muro potesse impedirgli di udire quello che si dicevano in una stanza così piccola.
«Sei proprio sicuro che sia una buona idea?» sussurrò il sindaco.
«Certo. Andrà tutto bene.»
Simmons uscì dalla stanza. Da dentro, lo udirono impartire ordini all’agente di sorveglianza alla porta. Il sindaco prese altre due boccate dall’inalatore, poi si voltò a fronteggiare Wolf. Fece un altro sorriso forzato, stavolta inteso a trasmettere quanto adorasse l’idea di trascorrere tutto un giorno chiuso lì dentro con quel famigerato detective.
«Quindi» disse poi, reprimendo un altro violento attacco di tosse. «Adesso che facciamo?»
Wolf prese il primo fascicolo delle scartoffie che Simmons, gentile da parte sua, gli aveva lasciato sul tavolo. Piantò i piedi sul ripiano e si appoggiò allo schienale della sedia, inclinandola indietro.
«Adesso aspettiamo.»